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Articolo pubblicato su LA CITTÀ DEL SECONDO RINASCIMENTO, N.22

UN VACCINO PER IL LINFOMA FOLLICOLARE

Intervista di Ruggero Chinaglia, medico, cifrante, presidente dell’Associazione Cifrematica di Padova a Maurizio Bendandi ematologo, professore associato di Ematologia all’Università di Navarra a Pamplona

Qual è l’oggetto della ricerca che sta conducendo con il suo staff a Pamplona?

Ci stiamo occupando di vaccini anti idiotipo, cioè vaccini per un tipo specifico di tumore, il linfoma follicolare, una malattia incurabile dal decorso indolente, che nella grande maggioranza dei casi uccide il paziente in un tempo variabile tra i dieci e i quindici anni. Sperimentiamo un vaccino a carattere terapeutico che, a differenza di quelli a cui siamo abituati, non previene la malattia, come nel caso delle malattie infettive, ma stimola il sistema immunitario contro una proteina che si esprime solo sulla superficie delle cellule tumorali. In questo modo si cerca di migliorare la percentuale di sopravvivenza dei pazienti e possibilmente di curarne almeno alcuni. Infatti, affinché il vaccino contro un qualsiasi tipo di tumore abbia buone possibilità di successo, è indispensabile che il suo bersaglio, la proteina contro cui si vuole attivare il sistema immunitario, si trovi soltanto sulle cellule tumorali e non sulle cellule sane. Questa strategia cominciò a essere utilizzata già alla fine degli anni ottanta negli Stati Uniti. In seguito, nel 1992, all’Università di Stanford, fu dimostrato che i pazienti sottoposti a questa terapia rispondevano con anticorpi alla proteina del tumore con cui erano stati vaccinati. Era una novità assoluta, non era mai stato raggiunto un simile risultato agendo sull’essere umano. Nel 1999, ho lavorato con un’equipe della regione di Washington, che ha fatto un altro importante passo avanti nella ricerca, dimostrando che, in seguito alla chemioterapia, con cellule tumorali ancora circolanti, nei pazienti che rispondevano alla vaccinazione, il sistema immunitario diventava capace di uccidere queste cellule malate. Che la chemioterapia uccida le cellule tumorali non è una novità, ma che il sistema immunitario da solo, senza l’uso di farmaci, faccia lo stesso sulle cellule più resistenti e refrattarie alla chemioterapia fu un risultato incredibile.

In questi giorni avete avuto conferme importanti. Può dircene qualcosa?

Quello che abbiamo dimostrato è stato pubblicato il 20 settembre 2006 da una rivista di Washington di enorme prestigio nel campo oncologico mondiale, il “Journal of the National Cancer Institute”. Abbiamo pubblicato la dimostrazione formale del primo vaccino, in questo caso anti idiotipo, pietra miliare di molti altri; abbiamo dimostrato per la prima volta che i pazienti il cui sistema immunitario risponde favorevolmente alla cura vivono più tempo senza che la malattia si ripresenti. Per le caratteristiche biologiche di questa malattia, l’indolenza e il lungo decorso, bisogna aspettare qualche anno in più per proclamare i pazienti guariti. Quello che è certo è che, anche se gli stessi pazienti dopo la chemioterapia si aspettano una ricaduta, dopo la vaccinazione si accorgono che il tempo trascorso è tre o quattro volte superiore rispetto a quello normale, e il tumore non si è ancora riformato.

Qual è la percentuale di pazienti su cui il vaccino funziona?

Per dare una stima approssimativa, l’ottanta per cento dei pazienti vaccinati risponde, producendo anticorpi o dando una risposta cellulare incapace di uccidere cellule tumorali o entrambe le cose, mentre il venti per cento non risponde. Per il momento, non sappiamo ancora perché. Una cosa certa è che i pazienti che non rispondono al vaccino, qualunque sia la ragione, sfortunatamente, ricadono nei tempi previsti.

La vostra scoperta riguarda finora solo il linfoma follicolare…

Il problema con gli altri tumori è che non sono state ancora individuate proteine presenti unicamente sulla superficie delle cellule tumorali. Ne sono state individuate tante che si trovano sia sulla superficie delle cellule normali sia su quelle patologiche, ed è chiaro che, attivando il sistema immunitario contro entrambe, c’è il rischio che subiscano danni anche le cellule sane. I nostri risultati hanno però un’importanza enorme; l’assunto “datemi un punto d’appoggio e solleverò il mondo” può essere parafrasato liberamente dicendo “datemi una proteina specifica delle cellule del tumore e attiverò il sistema immunitario contro di essa”.

Lei, nato a Rimini, già ricercatore a Bologna, ora lavora a Pamplona, in Spagna. Che cosa pensa della ricerca in Italia? Sarebbe interessato a tornare?

Ho vissuto i primi trent’anni della mia vita in Italia, poi, per quattro anni negli Stati Uniti. Fin dall’inizio avevo intenzione di tornare in Italia; non andai negli Stati Uniti per vocazione, ma perché, non avendo un nome che mi difendesse, dovevo crearmene uno da difendere. Sono tornato per due anni in Italia, ma quando ho capito che era assolutamente impossibile pensare di trasferire qui le scoperte degli Stati Uniti provai a farlo in Spagna, e andò bene. Per cui non ho avuto interesse a tornare in Italia.


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