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Articolo pubblicato su “LA CITTÀ DEL SECONDO RINASCIMENTO”, N.50

IL CRITERIO DELL’ASCOLTO

Il libro di Sergio Dalla Val, In direzione della cifra. La scienza della parola, l’impresa, la clinica (Spirali), non è un manuale che spiega cosa bisogna fare o come stanno le cose: le cose non stanno affatto, le cose accadono, avvengono e divengono. Nel libro c’è scrittura dell’esperienza.

Se qualcosa entra nel racconto non è più com’era creduto accadere, è un’altra cosa. Quando qualcuno si reca dal medico e gli racconta i sintomi o i pretesti che l’hanno condotto lì, se il medico si attiene alla casistica, a ciò che la letteratura riporta di quel sintomo, quella persona è spacciata, entra nella letteratura come lettera morta, diventa un caso comune, per cui non verrà colta la specificità della domanda che l’ha condotta, tramite quel sintomo, dal medico. Il medico non è l’impositore delle mani che guarisce magicamente, occorre che sia interlocutore, che dia indicazioni, che tenga conto delle implicazioni di quel sintomo: il più delle volte si tratta di un grido di allarme che esige di essere ascoltato; il sintomo propone una variazione, perché qualcosa in quella vita deve variare, perché c’è un’abitudine che opprime quella vita volgendola a sistema.

Il sistema termodinamico punta all’equilibrio, ma quell’equilibrio è la morte: è noto che quando un sistema termodinamico giunge all’equilibrio muore. Questa è la questione che oggi la medicina occorre che intenda. La tecnologia medicologica, che esclude la medicina a favore del discorso sanitario, non fa che contare i decessi, mentre è sempre più raro che fornisca indicazioni di vita.

Nelle pagine in cui l’autore affronta la questione della salute, emerge lo scandalo assoluto della proposta. Quale confraternita scientifica potrebbe accogliere il verbo di un non medico in materia di salute? Già il caso di Freud è emblematico: egli addirittura faceva parte della comunità scientifica, ma diceva cose che non potevano essere accettate da chi fondava sull’anatomia patologica, quindi sul reperto autoptico come indicatore del vero sul corpo morto, il valore scientifico della ricerca medica. Ebbene, Dalla Val è un esperto di diritto, di psicanalisi, di cifrematica, d’impresa, che affronta nel suo libro questioni di salute. E qui può trovarsi qualcosa di utile anche per i medici, non già per i cosiddetti pazienti che vanno dal medico. I pazienti in realtà sono impazienti, perché non ne possono più di quel sintomo, quindi attendono un’indicazione di vita, non una certificazione di malattia. Ma il medico rifugge dall’indicazione che riguarda la vita, la trasformazione della vita, la rifugge perché non è formato a questo, perché egli stesso partecipa ai luoghi comuni, alle paure, alle fobie, ai tabù che il paziente gli riferisce.

Questo libro lancia un grido verso l’esigenza di formazione, per il medico, per l’imprenditore, per il cittadino, per il politico, per l’economista, per il commerciante. Se interviene un altro criterio, un altro modo di leggere la realtà, di ascoltare, se interviene il racconto, l’avvenire non può più essere fosco, perché si apre alla novità, all’invenzione, all’arte, alla clinica.

In questo libro Dalla Val sottolinea che la mitologia che il tempo possa finire non è una pura questione filosofica, ha riflessi pratici. Per esempio nella mitologia della stanchezza: quale comunanza salottiera non si costituisce sulla stanchezza, su quanto sono stanche le persone che s’incontrano? Ognuno racconta la sua stanchezza e quindi ognuno partecipa alla sofferenza “comune”.

C’è forse chi indaghi per capire da cosa sia prodotta la stanchezza che lamenta? Da dove venga? C’è forse chi ascolti il modo con cui avviene il racconto di questa stanchezza? Certo, ascoltare esige un altro criterio intellettuale, che non è quello adottato da chi si lamenta o da chi fa la formazione aziendale esortando a pensare positivo, a escludere il male e accogliere solo l’idea di bene. Che cosa deve pensare chi deve pensare positivo? Non può pensare, deve eliminare il cervello, eliminare il pensiero, escludere ciò che può sembrare negativo per aderire a una mentalità, nella rarefazione delle idee, anziché nella pienezza che si fa dell’abbondanza delle cose, dei loro risvolti differenti e vari.

Occorre che la scienza della parola entri nel dispositivo di ciascuno, per trovare un altro modo dell’accadimento, dell’avvenire, del divenire; per trovare l’altro modo di affrontare le cose, senza temere in ogni momento di poter cedere a una difficoltà, a un imprevisto; occorre divenire protagonista, imprenditore, attore e non il mercenario della propria vita.

Machiavelli, che è citato spesso nel capitolo del libro intorno all’impresa, non considerava interessanti i mercenari, li definiva la parte debole dell’esercito, perché esigono di essere pagati per qualcosa che riguarda invece la scommessa di vita; notava che l’esercito che si avvaleva dei mercenari era debole e che invece i veneziani erano invincibili nelle battaglie marinare, perché non avevano alternativa: se la nave affondava, non c’era scampo e quindi occorreva vincere. L’esercito vale in quanto è posto dinanzi all’assenza di alternativa e all’esigenza di vittoria come esigenza di vita.

Ciò di cui parla Machiavelli non è una riflessione filosofica, è frutto dell’esperienza, secondo un’altra logica, la logica della parola originaria. Ecco perché l’imprenditore non può delegare al manager la battaglia, perché la riuscita esige l’investimento nell’impresa. Sergio Dalla Val lo testimonia con forza. L’investimento nel suo itinerario fa parte della sua vita, non è qualcosa che a un certo punto possa abbandonare per andare da un’altra parte: ne andrebbe della sua vita. Questa è l’altra logica, l’altro modo, senza alternativa. È quest’altra logica che si tratta d’introdurre nel dispositivo di vita per ciascuno, quale che sia l’attività che ciascuno svolge, perché la cifrematica, intersettoriale e internazionale, investe ciascun elemento della nostra vita.


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