• RCH
  • Biografia
  • Il disagio e la cura
    • Ascoltare il sintomo
    • Clinica e terapia
    • La logica inconscia
    • La ricerca del modo opportuno
  • Psicanalisi e cifrematica
    • Amore e sessualità
    • L’analisi
    • L’analisi e la formazione
    • La domanda l’amore il transfert
  • Video
  • Sezioni
    • Conferenze
    • Edizione
    • Glossario e Dizionario
    • Video Interviste
    • Materiali multimediali
    • Mostre
    • Recensioni
    • Oralità e Scrittura
  • Blog
  • Comunica
  • RCH
  • Biografia
  • Il disagio e la cura
    • Ascoltare il sintomo
    • Clinica e terapia
    • La logica inconscia
    • La ricerca del modo opportuno
  • Psicanalisi e cifrematica
    • Amore e sessualità
    • L’analisi
    • L’analisi e la formazione
    • La domanda l’amore il transfert
  • Video
  • Sezioni
    • Conferenze
    • Edizione
    • Glossario e Dizionario
    • Video Interviste
    • Materiali multimediali
    • Mostre
    • Recensioni
    • Oralità e Scrittura
  • Blog
  • Comunica

Stress e relax

 Ruggero Chinaglia Siamo al quarto appuntamento della serie d’incontri sulla tentazione. Questa sera consideriamo la tentazione dello stress e del relax. Proviamo a cogliere quale sia la questione, perché la scommessa di questi incontri è capire, attraverso l’analisi di tentazioni sostanzialistiche o mentalistiche, quale sia la tentazione originaria, la tentazione intellettuale.

Quella sostanzialista è la tentazione d’individuare una sostanza che possa essere considerata fondante. (Una persona si alza e se ne va). A sentire parlare di tentazione intellettuale c’è subito chi scappa via. D’altronde, abbiamo l’esempio di uno dei cantautori più famosi in Italia, docente di scuola superiore che, dopo aver vinto il festival di Sanremo, rispondendo in un’intervista alla domanda se ci fosse un messaggio intellettuale nelle sue canzoni, disse che assolutamente no, c’erano cose per tutti. Che non si dica che un poeta, uno scrittore, un cantautore possa diffondere un messaggio intellettuale. Per tutti, sì, banale sì, convenzionale anche, mentalistico certo, ma intellettuale, assolutamente no. Che non si dica in giro che è intellettuale, perché crollerebbero le vendite.

Le tentazioni mentalistiche e sostanzialistiche sono rivolte contro la tentazione intellettuale, contro quella tentazione originaria che è la tentazione di indagare, capire, intendere quale sia la particolarità di ciascun atto; cosa accanitamente combattuta dalle proposte sostanzialistiche e mentalistiche, che favoriscono o una sostanza generale o una mentalità generale su cui possa fondarsi una visione comune.

La tentazione intellettuale ha come direzione il divenire cifra di ciascuna cosa, come ciascuna cosa diviene cifra, come ciascuna cosa è particolare e specifica.

Ciò comporta che ci sia l’analisi, la qualificazione, la ricerca, il non cedere a facili interpretazioni, alla facile mitologia di una possibile totale comprensibilità e di una partecipazione generale alle cose. Questa mitologia fonda la mentalità, fonda l’accettazione dell’assenza di cervello. Il cervello intellettuale è quel dispositivo attraverso cui capire e intendere lo specifico. La mentalità, chiaramente, è contro il cervello, contro la particolarità e la specificità. È per una comunità, per la mentalità comune, per la mentalità vigente, per l’idea corrente, l’idea che possa essere diffusamente partecipata, giornalisticamente, televisivamente, comunemente. Chiaro che tutto ciò non è per caso.

Considereremo come e perché ci sia questa impostazione, anche per rispondere alla domanda con cui ci siamo salutati la volta scorsa, e cioè come s’impara a essere, farsi o credersi vittima. Qualcuno ha posto la questione che, effettivamente, è alla base del progetto per cui ci stiamo incontrando. Oggi consideriamo, tra le altre cose, se e come la mitologia dello stress e del relax partecipi della tentazione intellettuale o non sia, piuttosto, una tentazione mentalista e sostanzialista. Ho il sospetto che molti di voi abbiano già la risposta! Verifichiamo.

Stress e relax: tensione e rilassamento, rilassatezza, anche quasi cedimento, ammosciamento. Com’è che queste due cose antitetiche vanno così spesso propugnate insieme?

Lo stress. È noto cosa venga chiamato così. Sarebbe lo sforzo che l’organismo dovrebbe affrontare per ritornare nello stato di quiete precedente, dopo aver subito uno stimolo che comporti l’alterazione della quiete. È un termine che è stato introdotto nella terminologia medica una sessantina di anni fa, dopo gli studi di un fisiologo americano, che constatava che alcune persone, dopo un’alterazione di quello che consideravano uno stato di quiete accettabile, avevano l’aspetto di malati e quindi – gli americani sono bravissimi a fare di ogni variazione una sindrome o una malattia, perché fa parte del business: più malattie ci sono, più cure bisogna approntare, e ciò diventa un business – partì da questa constatazione e inventò la Sindrome generale di adattamento. C’è, così, una sindrome generale di adattamento! Questo ha dei corollari, per cui ogni variazione che comporti un’alterazione poi richiederebbe uno sforzo per ritornare allo stato di quiete, e ciò va inquadrato in una sindrome generale di adattamento!

Tale sindrome già introduce l’idea di un organismo ideale, che risponde in maniera uguale a ogni variazione, istituendo una sorta di normalità, rispetto a cui quanto va oltre sarebbe la malattia. Abbiamo, quindi, lo stress già in un’accezione negativa, come quello che comporta uno sforzo per l’adattamento, dove l’adattamento è considerato il ritorno allo stato di quiete, non ciò che tende a, ma che deve ritornare allo stato precedente.

C’è qui una mitologia circolare, dove ciò che produce una variazione dev’essere annullato, cancellato, per un ritorno. Chiaro che questo risente dell’accezione medica di guarigione. Che cos’è la guarigione per il discorso medico? È il ripristino dello status quo ante. Si chiama restitutio in pristinum. La guarigione dovrebbe fare sì che quello che è avvenuto si cancelli, per un ritorno circolare al punto di partenza. Ciò è totalmente ideale e fa riferimento a un organismo ideale, inteso come sistema. L’organismo come sistema termodinamico, dove le leggi che dovrebbero valere in questo sistema ideale sono le leggi della termodinamica. Dove, quindi, è assolutamente escluso quello che fa riferimento alla vita, al vivere, al gerundio della vita, con le implicazioni intellettuali, con tutto quanto fa riferimento alla tensione come tensione alla qualità, tensione al valore. La domanda è tensione. Ciò che Freud chiamava pulsione è la tensione, tensione al conseguimento e all’attuazione di dispositivi per conseguire, compiere, concludere ciò che occorre rispetto al progetto e al programma. Tutto questo non può essere applicato in termini generali, non è qualcosa che possa valere per tutti, non comporta una psicologia comune, ma una strategia assolutamente specifica caso per caso. Invece è stato inteso come sforzo di adattamento.

Adattamento è un termine piuttosto interessante, che indica un percorso in direzione dell’atto. L’atto, l’adattamento, non è qualcosa di ontologico; comporta, in ciascun caso, che c’è un dispositivo particolare e l’atto esige non tanto il principio d’inerzia, ma la forza, l’energia, un percorso. Ad aptum, adattamento. Nulla di fatalisticamente predefinito. Invece, nella concezione dello stress che è stata, per così dire, proposta, ci sarebbe una sorta di conseguenza negativa, perché questo adattamento richiede uno sforzo. Chiaro che, per bilanciare questo sforzo, è stata immediatamente proposta l’esigenza del relax, del rilassamento.

Tensione-rilassamento è una coppia oppositiva che viene riproposta – che fa seguito a una concezione dualistica delle cose: positivo-negativo, male-bene, stress–relax – senza capire e intendere che cosa, eventualmente, nello sforzo risulta eccedente.

Invece, si parla subito di lavoro stressante, di malattie da stress, in maniera assolutamente indiscriminata, come se lo sforzo, in quanto tale – senza capire quale, come e perché – avesse effetti negativi, potesse minare la salute, che dovrebbe essere uno stato di quiete.

Tutto ciò si basa su un’idea della salute, della vita e delle cose, come fossero regolate dal principio d’inerzia. Non a caso, le metafore che ricorrono a indicare il riferimento allo sforzo sono tese a indicare la totale assenza di cervello. Si tratterebbe di caricare o scaricare le batterie, attaccare o staccare la spina. Ognuno si fa soggetto termodinamico, si riduce a elettrodomestico: ha le pile scariche e allora le deve caricare, ha le pile troppo cariche e allora le deve scaricare. Deve staccare la spina, oppure deve rilassarsi.

Per rilassarsi, quali sono i consigli vigenti? Qual è il modo migliore di rilassarsi? Smettere di pensare! O pensare solo positivamente. Pensare positivo. Questa sarebbe la vera prova d’intelligenza, pensare positivo! Come pensare positivo? Occorrerebbe avere dinanzi tutta una conoscenza del bene e del male, per cui sarebbe possibile espellere tutto il negativo e avere dinanzi tutto il positivo e vivere di quello. Ma questa conoscenza del bene e del male è del tutto ideale. Che cosa possa risultare positivo o negativo per qualcuno, nel corso degli avvenimenti, è assolutamente impossibile stabilirlo prima. Ognuno ben sa che qualcosa che poteva sembrare un avvenimento controproducente, compromettente, magari è stato ciò da cui è partita una serie di cose che hanno portato alla riuscita. Pensare positivo: sarebbe pensare da idioti. L’idiota pensa positivo.

Che cos’è idiota? È cosa priva di caratteristiche, di particolarità. Solamente l’idiota potrebbe pensare positivo o smettere di pensare, come se il pensiero rispondesse a una facoltà. Le idee sono una facoltà umana? Dell’homo elettrodomesticus? Dell’uomo visto come robot? Un automa!

Questa concezione dello stress e del relax come suo rimedio si afferma come tentativo di contrapporsi alla questione intellettuale, si afferma dove la forza e l’energia siano considerate come totalmente svincolate dal progetto e dal programma di vita, dalla domanda, dal desiderio, dall’istinto, dall’istanza di verità, dall’istanza di sapere, dall’istanza di senso.

Tutto ciò è abolito dall’energetistica. C’è la spina da staccare e da attaccare e c’è la prescrizione alle cose cui si può pensare, alle cose che fanno bene, mentre altre farebbero male. E qui siamo nella mitologia sostanzialista e mentalista. Abbiamo il moltiplicarsi di rimedi per sopravvivere con questa mitologia, abbiamo l’applicazione del massaggio che è molto rilassante. Massaggio, “spa”, salus per aquam, e tutte le forme di spa; oppure c’è lo svago, bisogna divertirsi, svagarsi. Perché non è importante quel che si fa e come, assolutamente no: l’importante è essersi divertiti. Le avete sentite mai le interviste agli atleti in televisione? Le interviste alla radio, alla televisione a chi propone una serie di attività? Dicono: “Ci riuniamo per stare insieme, per divertirci e poi, alla fine, l’importante sarà essersi divertiti”. Come? Boh. Perché? Boh. Facendo cosa? Boh. Non ha nessuna importanza. L’importante è essersi divertiti, avere staccato la spina, per poi riattaccarla.

Siamo nella promessa di un godimento, di un bene nell’aldilà, accettando oggi il sacrificio permanente, con qualche pausa. Noi possiamo accettare di soffrire tutta la settimana e nel week-end possiamo svagarci e divertirci, cioè staccare la spina del sacrificio per poi riattaccarla il lunedì mattina. Che bella vita, eh? Questa è la mitologia dello stress e del relax. Cioè, l’accumulo di stress tutta la settimana – le batterie accumulano, l’uomo accumulatore, accumula stress – poi la scarica nel week-end, e l’uomo si scarica, si affloscia, si rilassa e così può continuare a vivere in quest’alternanza di carica e scarica, in quest’alternanza termodinamica, dove progetto, programma, strategia e sessualità non c’entrano niente: carica e scarica, stress e relax. È l’abolizione del dispositivo intellettuale, del dispositivo di una vita che non sia considerata unicamente come vita animale o animalesca addirittura.

Accettato che lo stress è considerato il ricettacolo di tutto quello che non si capisce, uno con un problema va dal medico e il medico non sa che pesci prendere. Dice: “Mah, forse lei è stressato”. E chi dice di no? Salvo uno e salvo l’altro! La colpa è dello stress. È perché viviamo – sarebbe il corollario – in un modo e in un mondo poco naturale, poco naturalistico. Occorre tornare alla natura. Senza questo ritorno alla natura ci sarebbe lo stress, non pensando che questa metafora del ritorno alla natura è una metafora della morte, come evoca ogni ritorno: il ritorno alla polvere, il ritorno alla terra, il ritorno all’origine, il ritorno da dove sei venuto. E da dove sei venuto? Memento homo, qui pulvis es et in pulvere reverteris. Che bello il ritorno, il ritorno alla natura! E è curioso che, a fronte di ogni eventuale stressatura, venga invocato non già il riposo, ma il relax, il rilassamento; un’idea di materia inerte, di materia che avrebbe bisogno di rigenerarsi, di rianimarsi.

Tutto ciò procede da una concezione dove le cose finiscono, dove le cose si esauriscono, dove il tempo è a termine, la forza è a termine, l’energia è a termine, ogni cosa può finire. È un panorama fosco che s’instaura dove c’è una concezione dicotomica, dualistica delle cose, che si contrappongono. Anziché l’apertura, ossia il due originario da cui le cose procedono, questo discorso instaura la dicotomia, la contrapposizione, dove A è contro B.

Sarebbe quello che il Papa ha rilevato come la nuova Babele; il Pontefice ha indicato che ci troviamo in una nuova Babele, non solo lì, in Vaticano, dove chiaramente c’è la punta di questa cosa, ma la nuova Babele. Intendendo la nuova Babele come cosa? La dicotomia dove prevale il personalismo, la contrapposizione e dove, in assenza di progetto, programma, dispositivo, ognuno è contro l’Altro e dove l’Altro è espulso. C’è una logica di contrapposizione. Chiaro, lui l’ha detto in una certa accezione, ma la questione intellettualmente si pone.

Ognuno è disposto a farsi vittima dello stress. La formula sono stressato l’avete mai sentita? Mai nessuno si è rivolto a voi dicendo che era stressato? Né voi vi siete rivolti a altri dicendo di essere stressati? Qualche volta sì! E questo cosa indica? Quale statuto? Sono stressato è una formula che può risultare interessante se è esplorata, analizzata, al di là di quel primo apparente modo di udirla che indica “Ecco, sono vittima dello stress”; “Sono vittima di qualcosa che io non vorrei fare, devo farla e quindi sono stressato”. Vittimismo rispetto a ciò che devo fare, non voglio fare, non so fare, non posso fare o posso fare ma non voglio, cioè vittimismo di un soggetto che si presume contrastato, impedito, comandato, teleguidato, soggetto che indulge alla rivendicazione, che è un modo della vendetta e che è ciò cui ogni vittima tende.

Regolatrice dei rapporti sociali la vendetta, dei rapporti sociali tra vittime. Presunte vittime, ma tanto basta.

Ma come s’impara a farsi vittima? A credersi vittima, dato che quella di vittima non è la condizione originaria, non è la condizione che procede dallo statuto intellettuale, dalla tentazione intellettuale, ma dalla tentazione sostanzialista e mentalista? Dove punta la vittima? A cosa punta la vittima? Chi crede nella vittima, chi crede di essere vittima o di farsi vittima, a cosa punta? Per un verso, abbiamo detto, alla vendetta, che ha come suoi pilastri la colpa e la pena. E su questi due pilastri l’ideologia della vendetta regna sovrana.

Proseguendo, qual è il fine del vittimismo? Qual è il fine del farsi vittima di una tentazione sostanzialista e mentalista che ha avuto la meglio?

Leggiamo la tentazione di Adamo e Eva. Che cosa risulta? Adamo si giustifica, dice che è stata Eva, Eva si giustifica, dice che è stato il serpente. Uno è stato ingannato dalla donna, la donna è stata ingannata dal serpente. Cristo se la cava un po’ meglio, non cede, però anche lui dice che c’è il tentatore. C’è il tentatore! Adamo se la prende con Eva, Eva se la prende con il serpente. E il serpente? È tutta colpa sua! Ecco chi è il capro espiatorio, il capro espiatorio cui la vittima può fare riferimento.

La vittima è vittima del tentatore, che è il vero capro espiatorio! Il capro espiatorio deve racchiudere in sé tutto il negativo, perché possa essere espulso o economizzato in nome della liberazione dal male e dal negativo o in nome della purezza riconquistata, come dimostra ogni inquisizione, come la caccia alle streghe o ogni pulizia etnica contro le minoranze, etniche, religiose, politiche. Quindi, questa dicotomia che isoli ciò che viene presunto come male o negativo, rispetto a ciò che viene indicato come positività, come bene, è assolutamente funzionale alla governance, alla governabilità degli apparati sociali.

Il discorso politico esige la dicotomia, perché è fondandosi su di essa che può tentare di accaparrarsi il consenso. Il discorso politico non è un discorso che va in direzione del compimento del programma, ma un discorso che va in direzione dell’acquisizione del consenso. E come si può acquisire il consenso? Impostando una dicotomia, tra la positività e la negatività. Ognuno, certamente, è fautore della positività. Chiaro che questo consenso, su cui poggia il discorso politico, è un consenso fantasmatico. L’idea di bene è assolutamente ideale, fantastica. L’idea di bene comune è assolutamente fantastica, assolutamente irrealizzabile, eppure è ciò su cui poggia il discorso politico, che si regge sull’idea di bene comune, che è sempre un passo più in là, è sempre da perseguire, sempre da raggiungere. E, al di là del discorso politico, il discorso pedagogico, il discorso filosofico, il discorso medico, il discorso legale, il discorso disciplinare pure si reggono sull’esigenza di dicotomia, di cui proporre la padronanza, il dominio. Ognuno di questi discorsi favorirà l’esistenza del difetto, del disturbo, dello stress generale, facendo diventare quell’alterazione, quell’anomalia, quel disturbo come qualcosa da accettare in quanto tale, contro cui sia inutile, impossibile lottare, anzi, qualcosa di cui favorire la produzione in nome della salvezza.

È un discorso che è cominciato da lontano, non è sorto certo oggi. Il modo stesso con cui viene presentata l’ipotesi della cacciata indica che è un discorso regolatore di antiche provenienze. E oggi questo discorso si tramanda, prospera, prosegue, attraverso quelle che sono chiamate l’ermeneutica e l’epistemologia, che propongono un’ontologia delle cose, in nome di una comprensione universale, di un codice universale, tale per cui non si tratta di capire come e perché qualcosa accade, ma come quella determinata cosa, accaduta pure in maniera anomala, debba essere, tuttavia, interpretata in un codice comune, in nome dei vissuti universali. I vissuti universali! Cioè in nome di fantasmatiche non elaborate che mantengano l’idea di fine, di morte, di origine come fondamento della paura, rispetto a cui potere governare la città, il paese, lo stato, il pianeta e quant’altro.

La questione rilevante, rispetto a ciò che stiamo indagando, è come ognuno accetta o no la produzione del capro espiatorio: di sé come capro espiatorio o dell’Altro come capro espiatorio, di sé come vittima o dell’Altro come vittima. Dove ciascuna vittima fa parte di una catena che deve risolversi nel capro espiatorio universale, generale, locale, comunque nel capro espiatorio, che possa giustificare il fine di bene di ogni azione. Intenzione di bene che, però, si è imbattuta nel tentatore, nella sostanza malefica, nella mentalità malefica, nell’idea malefica che giustifica anche l’azione negativa, perché la natura era buona, l’intenzione era buona. Non sia mai che l’uomo possa pensare male. No. È per via del tentatore, del capro espiatorio.

La questione, radicalmente, è quella della tentazione intellettuale: ciascuna cosa si dirige verso la sua qualità, ciascuna cosa entra nella domanda. Non è immobile in una sfera in quanto tale. Ciascuna cosa entra, per ciascuno, nella domanda. Entra in un progetto, in un programma, nella domanda, e questa domanda esige di svolgersi.

Come? In che termini? Da dove trarre, acquisire la forza perché il progetto e il programma si svolgano, si compiano, giungano a conclusione, senza prodursi come vittima o come capro espiatorio? Perché prodursi come vittima in relazione a un capro espiatorio? Come rivolgersi alle cose che sono da fare? Come rivolgersi all’attuazione del programma senza cedere alla tentazione offerta dal discorso dicotomico, che presenta la possibilità di alternativa? È la questione, è la scommessa che si pone per ciascuno.

Se ci sono domande o esigenza di chiarimenti, possiamo dedicare qualche minuto che ci resta per questo. Certamente avremo modo di riprendere alcune questioni prossimamente. Noi proseguiremo alla Sala Polivalente della Guizza, con una serie d’incontri che hanno per titolo Il terremoto. Dopo La tentazione, ecco Il terremoto. Nella sessualità, nella clinica nell’impresa.

C’è qualche domanda?

Gianfranco Dalle Fratte Il capro espiatorio potrebbe essere inteso anche come una causa, come una visione dell’origine del male.

R.C. Sì, la visione.

G.D.F. Credo che possa essere individuata una causa. È sempre puntare sulla causa.

R.C. Ma è la causa finale. Occorre distinguere. Se lei intende la causa in termini di causa finale, d’accordo, ma non se intende causa come ciò che si pone come provocazione, provocazione dell’atto, provocazione della domanda, di cui non c’è conoscenza. Perché questa causa è triale; non è quella del rapporto causa-effetto, ma è la causa che è causa di godimento, causa di desiderio, causa di verità, in una simultaneità che non lascia modo di saperlo prima. Esige un percorso, esige un’indagine: è la causa dell’identificazione.

Non è il tentatore questa causa: “Sono stato tentato da…e io non volevo”. No, questa è la tentazione sostanzialista. La causa è ciò per cui qualcosa accade. Rispetto a cui non c’è l’esigenza di giustificarsi, perché è ciò che entra nella domanda. Il tentatore, il capro espiatorio, viene posto in sostituzione della causa, perché un conto è la causa e un conto è l’agente. La causa non è l’agente.

G.D.F. Ma l’agente non c’è.

R.C. Chiaro.

G.D.F. Quindi viene inteso l’agente come causa. Una rappresentazione della causa.

R.C. Viene idealizzato un agente con cui giustificare qualcosa in una logica dicotomica, per mantenere una concezione morale, politica, disciplinare, che consenta la dicotomia per attuare un discorso di padronanza sulle cose, che però è del tutto impossibile. È ipotizzata in nome della governance, in nome di una possibile mentalità di riferimento. In nome del vittimismo. L’agente può essere sia l’agente del bene sia l’agente del male, agente rispetto a cui situarsi, con cui rapportarsi, in relazione a cui assumere un posto, un’identità, uno statuto fantasmatico.

Altri?

Pubblico Ho due domande. La prima è quella della questione dell’homo elettrodomesticus, cioè la faccenda dello stress e del rilassamento, come attaccare e staccare la spina. Non ho capito l’alternativa di questa cosa, l’alternativa intellettuale di questo fatto. Mentre la seconda domanda è sulla questione della natura. Diceva della natura che è il ritorno alla polvere, che è qualcosa di polveroso, mentre a me la natura dà l’idea di qualche cosa di vivo; più che la polvere mi viene in mente l’erba, l’albero, il cosmo.

R.C. Un conto è ritenere che un certo sforzo sia nocivo per definizione. Io posso pensare che lo sforzo che mi è richiesto dal lavoro quotidiano possa risultare poco salutare, primo perché non lo faccio volentieri, secondo perché ritengo di non essere adatto e terzo perché ritengo che questo sforzo mi esaurirà e via dicendo. Possono essere molte le fantasie che intercorrono. Così, ognuno si ferma lì, non indaga perché questo lavoro risulti gravoso, a cosa sia collegata questa idea di peso. Magari non dipende dal lavoro, dipende da come lo svolgo, dipende da come sono le relazioni con chi ho attorno a me, rispetto alle quali possono esserci fantasie disparate. Però tutto ciò non viene indagato e costituisce un peso. Questo è chiamato genericamente stress e ci accontentiamo di dire che qualcosa è stressante. È chiaro che, alla lunga, l’idea negativa produrrà qualche inconveniente.

Altro conto è istituire un dispositivo in cui questo lavoro sia in connessione con la soddisfazione. Perché c’è chi presume che facendo un certo lavoro sia preclusa la soddisfazione? Perché presume che facendo questo, in realtà, non può fare dell’altro, che sarebbe ciò in cui veramente troverebbe soddisfazione. Ecco, la mitologia delle cose contrapposte è ciò che occorre analizzare, che occorre sfatare, perché è la mitologia del terzo escluso. Faccio questo, non posso fare quest’altro. Una cosa nuoce a quell’altra, io sono in mezzo e soffro.

È vero che questa cosa m’impedisce di fare quell’altra cosa? È vero? Siamo sicuri? Perché? Come? O c’è modo d’integrare le due cose? O addirittura c’è modo di farne un’altra, che si aggiunga? E che, instaurando un altro dispositivo, A non è più contrapposto a B, ma anzi A, B e addirittura C s’integrano per la soddisfazione?

Fino a che ho questa idea delle cose che si contrappongono non troverò mai C, né apprezzerò B. C’è chi dice: “A e B non li posso fare perché devo fare A, e posso fare solo A”. Ma perché? “Non lo so, però sento che è così”.

Non indagando su questa costruzione, che è una costruzione fantasmatica, uno va avanti così e sicuramente non va avanti bene, diventerà rivendicativo, se la prenderà con i vicini. Sicuramente non troverà modo della riuscita, perché c’è l’idea negativa che prevale, l’idea di peso, l’idea di negatività, l’idea di contrapposizione.

Questo è il modo di fare nella concezione energetistica dello stress, che si fonda sull’idea che le cose si contrappongono, che A impedisce B, che B impedisce A, addirittura B impedisce A e anche C; e sulla base dei divieti e degli impedimenti e dell’idea di non poter fare né questo né quello, uno sta chiuso in un recinto sempre più stretto. È chiaro che come modo di vivere non fa sprizzare soddisfazione.

Anche la questione della natura è da considerare in tale contesto. La natura è intesa come ciò che si contrapporrebbe alla cultura, a tutto quanto è artificiale. Consideriamo la parola natura: è un termine che non ha niente di naturalistico, non indica una contrapposizione tra due mondi diversi, uno che sarebbe il mondo naturale e uno che sarebbe il mondo artificiale. Natura vuol dire struttura. La natura delle cose è la loro struttura. Qual è la struttura? La questione della esperienza per ciascuno è cogliere la struttura in cui le cose accadono. Accadono, avvengono, divengono e si trasformano. Questa struttura non è fissa, non è inerte, non è affatto ontologica. È una struttura che, se non viene indagata, non rilascia il modo di accorgersi come avviene e, allora, può accadere che ci sia chi persegua il mito di una naturalità da raggiungere e pensa che, se fosse attuata, la sua vita sarebbe felice, pura, facile. Facile!

Elio Cecchetto La decrescita felice.

R.C. Esatto, come se la felicità fosse uno stato delle cose anziché l’effetto, l’effetto temporale che in una certa congiuntura si produce.

E.C. E quando la natura si ribella?

R.C. Quando la natura si ribella, c’è la vittima della natura! Il capro espiatorio fonda l’antropomorfismo: antropomorfismo di Dio, antropomorfismo della natura, antropomorfismo della tentazione. Allora ognuno si rappresenta l’Altro, la causa, le cose, in maniera antropomorfica, cioè speculare, vittimistica, in modo anti-intellettuale, senza cogliere quale sia la ragione, quale sia il modo, quale sia il viaggio.

E.C. Nel caso del serpente, mi sembra che il serpente proponga una lettura diversa da quella che Dio aveva dato, quasi rovesciata.

R.C. C’è la dicotomia tra Dio e il serpente. Dio sarebbe l’agente buono e il serpente l’agente malvagio.

E.C. Il serpente propone una lettura rovesciata del frutto: “Ti viene proibito perché se mangi quel frutto diventi come Dio”.

R.C. E quindi siamo nell’alternanza tra Dio come capro espiatorio e Satana come capro espiatorio. Per Satana il tentatore è Dio.

Pubblico Perché in tutto il mondo deve esserci la conoscenza del bene e del male?

R.C. Il testo del Genesi è preciso. Possono esserci tante varianti, tante letture, però il testo che ci è stato tramandato è preciso come formulazione rispetto alla struttura della tentazione sostanzialista e mentalista, rispetto alla quale molto resta da dire. E quindi noi proseguiremo a dirne.

E.C. Quindi è meglio usare un Cynar!

R.C. Un Cynar?

E.C. Contro il logorio della vita moderna.

R.C. Ah, sì, appunto, anti-stress! Ringrazio ciascuno per aver contribuito a questi incontri. Arrivederci.

Quarta conferenza della serie La tentazione


Facebooktwitterlinkedin
Edizione
  • La politica del brainworker
  • Come combattere per la salute
  • Un vaccino per il linfoma follicolare
  • Con la crisi non c'è più sistema
  • Dove cogliere i frutti del tempo
  • Il criterio dell'ascolto
  • La forza del progetto e dell'ingegno
  • La scuola e l’abuso di sostanze
  • L'amore senza fine, l'odio senza rimando
  • La medicina e la cura. Non c'è rivoluzione transumanista
  • Noi, l’infinito e il gerundio della psicanalisi
  • L’istante della clinica
  • Il gerundio, la complessità, la lettura
  • Come ciascuno diviene art ambassador
  • Libertà originaria o libertà possibile?
  • Integrità e annunciazione
  • Come leggere le fiabe
  • L’inconscio trascorre in un film
  • Babadook e la fantasia dell’uomo nero
  • Il delirio e la clinica
  • La famiglia. L’amore, l’odio e il fantasma d’incesto.
  • La famiglia, il diritto, la sessualità
  • L’encefalo senza cervello. Il nuovo psichismo
  • La morsa dello psichismo tra demonologia e organicismo. Ma c’è la parola, che non si può togliere.
  • La madre, il suo mito, la sua rappresentazione
  • Sessualità e mimetismo
  • La famiglia. L’idea di Dio e l’idea del padre
  • Il padre debole e il figlio ribelle
  • L’amore e l’odio. La famiglia, il diritto, la sessualità
  • La famiglia e l’altra famiglia
  • Il mito della famiglia
  • L'amore del padre e il matricidio
  • L'avvenire e l'idea dell'avvenire
  • La realtà dell’esperienza
  • La città della differenza. Dove vivere, come vivere, senza vergogna
  • L’invito
  • L’invito alla battaglia
  • Noi, qui
  • La voglia e la realtà della cifra
  • La lettura delle fiabe
  • La follia e l'arte
  • La tentazione del cibo
  • L'educazione. Amicizia, solidarietà, relazione
  • L'inconscio e la qualità della vita
  • La scuola e l’itinerario intellettuale
  • La scommessa dell’avvenire
  • La forza, l’orgoglio, la missione
  • La scuola, l’intellettualità, il merito
  • La democrazia
  • L’autorità e la disciplina
  • La decisione
  • Chi intende. Quale programma?
  • I dispositivi economici e i dispositivi finanziari
  • L’economia e la finanza. L’educazione al valore della vita
  • La scuola: per tutti o per ciascuno?
  • Generalmente, normalmente, comunemente.
  • La scuola senza etichette
  • La necessità pragmatica
  • La direzione e la bussola
  • Hänsel e Gretel
  • Cappuccetto rosso
  • Rosaspina
  • La sirenetta
  • I cigni selvatici
  • Il gatto con gli stivali
  • Barbablù
  • Il brutto anatroccolo
  • La lingua della parola
  • Il teorema della redenzione
  • La lingua dell’autorità
  • La lingua dell’annunciazione
  • La lingua della notizia
  • La lingua della volontà e il giro della morte
  • La lingua civile
  • La lingua dell’esperienza della parola
  • Il capitalismo nuovo e la sua lingua
  • La lingua della cura
  • Particolarità, proprietà, virtù della parola non sono personali
  • Non c’è più da aspettare
  • I termini della scommessa
  • “Sì, però…”, l’ipotiposi. E non c’è più litigio
  • La lingua della vita
  • Cibo e erotismo
  • La vita come reality
  • Farsi vittima
  • Stress e relax
  • La famiglia di Aladino
  • La lampada dell’erotismo
  • La poesia dell’acqua
  • L’amore
  • I giovani e la conoscenza
  • Aladino, il cibo, il fumo
  • Come il fantasma di morte fonda la nosologia e si dilegua all’orlo della vita
  • Di una lampada che non illumina
  • Cristo, Aladino e l’annunciazione
  • Aladino, la principessa, la sessualità
  • Mamma la paura: il matricidio, l’aborto, l’infanticidio
  • L’incredibile potere dell’uovo di Rukh
  • Patrimonio e matrimonio
  • Il caso clinico della Storia di Aladino e della lampada meravigliosa
  • Il modo dell’amore
  • L’amore libero
  • In materia d’amore
  • L’amore nell’educazione
  • L’amore senza genealogia
  • L’amore più ne ha, più ne dà
  • Il figlio, la memoria, il dolore
  • Come e perché la lettura dissipa i personaggi della fiaba e instaura il caso clinico e il caso di cifra
  • La lettura e l’ascolto
  • Il vittimismo e il fantasma di assassinio
  • Bullismo e vittimismo
  • L’abbandono
  • La famiglia senza più edipismo
  • L’ascolto
  • La famiglia come traccia e la clinica
  • Amicizia, solidarietà, relazione
  • Innamoramento e amore
  • Il narcisismo
  • L’amore del padre e l’odio della madre
  • Sessualità, generosità, riuscita
  • I dispositivi sessuali nella famiglia e nella scuola
  • L’educazione, l’ambiente, la civiltà
  • L’educazione senza ostilità
  • L’efficacia dell’insegnamento
  • Il progetto e il programma di vita
  • I dispositivi di direzione
Scroll
RUGGERO CHINAGLIA
Largo Europa 16 35137 Padova
+ (39) 0498759300
ruggerochinaglia@infinito.it
Articoli recenti
  • LA VITA SENZA PAZZIA
  • LA DOGARESSA presentazione a Cittadella (PD)
  • LA VITA SENZA PAZZIA – Dibattiti
Policy
  • Policy del sito
  • Privacy Policy
  • Cookies-policy
Visita anche
cifrematicapadova.it

chiweb.net

Ruggero Chinaglia – Largo Europa 16, Padova + (39) 0498759300 – ruggerochinaglia@infinito.it – [ P.Iva 02053560286 ]

Per offrirti il miglior servizio possibile questo sito utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito acconsenti al loro impiego in conformità alla nostra Cookie Policy. Accetto No Cookie & Privacy Policy
Privacy & Cookies Policy

Privacy Overview

This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary
Sempre abilitato
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Non-necessary
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
ACCETTA E SALVA