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Quindicesimo capitolo del volume La realtà della parola

L’amore del padre e il matricidio

Ruggero Chinaglia Ci accingiamo a vedere questo film di David Cronenberg che s’intitola Spider: è un film che dà un contributo alla questione intellettuale, come questione della dissipazione della visione del mondo.
Il mondo per esistere esige la visione. Stante questa visione, per alcuni il mondo è invidiabile. Ci sono nel mondo cose invidiabili, e allora uno si dispone intorno all’invidia per le cose del mondo.
Eugene Ionesco diceva invece che il mondo è invivibile e cioè, stante la visione del mondo, la vita è infernale. Chi vive nel mondo vive una vita infernale, dovendo, come il mondo esige, ripartire i beni e i mali del mondo, per fondare a sua volta una visione che possa reggersi sulla morale, la morale del bene contro il male. Già questo istituisce l’infernale, in base a cui ciascuno poi si trova a chiedersi se il mondo è abbastanza pulito, se è abbastanza puro, se è abbastanza duraturo, e quindi occorre istituire rimedi per la pulizia, per la purezza, per la durata del mondo, che è sempre lì lì per finire.
Quindi che mondo è? Perché le cose del mondo “sono”; non hanno la caratteristica di avvenire, divenire: “sono”. Il mondo esige che le cose siano, quindi il mondo è senza parola.
Chi si rassegna, per così dire, alle cose del mondo, si rassegna a abolire la parola, che contrariamente al mondo non ha un’ontologia, ma segue una tripartizione, la tripartizione in quanto segno. Impossibile assegnare alla parola una stabilità, un’ontologia: dalla tripartizione della parola, e quindi tripartizione dell’esperienza, alla trialità della logica della parola che si dispone secondo una logica singolare-triale, procedendo da una logica diadica, la logica dell’apertura, la logica per cui è impossibile stabilire un’alternativa.
Le cose del mondo, invece, sono sempre in un’alternativa, che è l’alternativa tra il bene e il male, tra il fare e il non fare, tra procedere o arretrare, vivere o morire, poi ognuno ci mette le proprie alternative secondo una superstizione.
Il mondo esiste nella superstizione, quindi nella presunta padronanza di poter sfuggire alla superstizione, ma con la paura della superstizione.
Accettando il mondo ognuno accetta la superstizione. E, radicalmente, l’alternativa è in prima istanza tra vivere e morire, e poi tra morire bene e morire male.
Ognuno in che direzione va? Beh, certo, nella direzione di poter morire bene, quindi nella direzione dell’eutanasia.
Ogni abitante del mondo si dispone alla buona morte. E per morire bene, come si fa? L’idea della buona morte è il lasciapassare di ogni cedimento, che va dal rimando, dal rinvio, all’alternativa, al credere di poter scegliere se fare o non fare, se fare oggi, se fare domani, quindi evitando il progetto, il programma, l’assetto, cioè come far sì che le cose si dispongano e, stante questa disposizione, avviare una procedura di costruzione.
Il mondo è senza pulsione, quindi ognuno che sta nel mondo presume che le cose vadano da sé.
Invece, nella parola, le cose seguono la vicenda pulsionale, si stabiliscono, procedono per la domanda, non senza la domanda! Senza la domanda certamente nulla accade.
Per capire l’importanza della discriminante tra la parola e il mondo basta per esempio leggere o ascoltare alcune pubblicità che vengono fatte giorno per giorno. Adesso sembra andare molto in voga nel web la pubblicità della scossa. C’è una signora che non ha voglia di niente, non ha proprio più voglia di niente. E allora l’amico prodigo la consiglia e le dice che ha bisogno di una scossa. La scossa da dove viene? Da dove può venire la scossa? Da un integratore che potrà fornire quell’energia che manca alla signora.
Ma, negando la parola, è chiaro che non c’è nessuna forza. La forza viene dalla parola, la forza viene dalla famiglia come traccia, la forza viene dalla pulsione.
Nel mondo non c’è nessuna forza, anzi, c’è l’esaurimento. La mitologia dell’esaurimento è energetica. Le risorse energetiche diminuiscono, ciascuno è senza forza, senza energie e deve fare ricorso quindi a fonti alternative, senza la domanda, senza il compito, senza la missione, senza il progetto, senza il programma. Tutto ciò, nel mondo, è abolito.
Allora ciascuno può anche stabilire se situarsi mondanamente o pulsionalmente, cioè se vivere secondo la parola o vivere nella mondanità.
Questo è ciò che il fantasma di padronanza può credere di gestire. Questa presunzione di padronanza e di scelta della gestione possiamo anche chiamarla matricidio. Il matricidio che contrassegna la vita nell’idea che il tempo sia finito e che le cose possano seguire una modalità algebrica o geometrica, in entrambe delle quali comunque c’è una certezza: la fine.
Adesso vediamo questo film, per verificare invece quali sono gli elementi che indicano, o possono indicare, che per qualcuno il mondo non c’è più.
Non c’è più mondo e c’è invece la chance offerta dalla parola con la sua particolarità, con la sua unicità fino al caso di qualità, che non avviene per inerzia o per automaticismo, ma per costruzione, per progettualità, per programmazione, per domanda, non per inerzia.
Ecco, questo giusto per disporre alla lettura di questo film che è, possiamo dire, un po’ impegnativo, quindi occorre impegnarsi a leggerlo.
Di un certo interesse, vero? Non proprio quel che si dice un film leggero, ma sicuramente un film che lascia riflettere.
Allora cominciamo a verificare qual è la lettura di questo film che è stato proposto da Giampietro Vezza.
Ora, Giampietro Vezza come mai ce l’ha proposto? Che cosa ha scorto di interessante in questo film e qual è la sua lettura?
Giampietro Vezza Adesso, l’introduzione che ha fatto questa sera riguardante il mondo, chi sta nel mondo, e chi invece sta nella parola, ha destabilizzato le tante convinzioni che avevo sul film rispetto alla lettura che avevo fatto.
La lettura che mi ero fatto è una lettura forse semplicistica, che riguardava la questione del fatto che da bambini, o comunque dai primi anni della vita, alcune esperienze, alcune questioni che si propongono, e vengono magari portate all’estremo, sono poi costitutive del modo con cui la vita si porta avanti.
Tra l’altro, contemporaneamente, o comunque nello stesso periodo in cui ho visto questo film per proporlo, leggevo, casualmente o no, il saggio di Freud L’uomo dei lupi, in cui c’è il racconto di questa persona, cui alcune questioni erano accadute nella sua infanzia, anche in primissima età, e poi come queste cose che sono accadute si sono riversate nei suoi comportamenti.
R.C. Freud ce la racconta così. Non c’è da credere che le cose siano andate così. Freud ce la racconta così, ma Freud non è mica il Vangelo. A parte che nemmeno il Vangelo ce la racconta come è andata, quindi non bisogna attribuire a Freud chissà quale potere di verità. Freud ce la racconta così, ma non è escluso che abbia preso qualche abbaglio.
G.V. Certo, avevo capito dal racconto che si potessero cogliere degli accadimenti che poi sono costitutivi di un certo percorso… Adesso quello che dice questo film è estremo, però nei casi di tutti i giorni…
È di oggi per esempio l’ennesima questione del femminicidio, il cui termine chiaramente è un termine da ritenersi abusato, ossia utilizzato in maniera impropria per definire qualcosa d’altro, ossia per portare nel luogo comune qualcosa che andrebbe analizzato in maniera diversa. Il fatto poi che certe cose accadano, sarebbe da analizzare rispetto a quello che può essere accaduto in precedenza.
R.C. Perché dice “sarebbe”?
G.V. È accaduto.
R.C. No, perché dice “sarebbe da analizzare”?
G.V. È da analizzare. Sarebbe da analizzare nel senso che non viene fatto in maniera sistematica. Viene proposta una lettura in maniera piuttosto superficiale. Viene standardizzato tutto in una parola, come se questa parola rendesse uguali tutte le cose, in realtà.
R.C. Quindi, lei dice che le esperienze dell’infanzia sono determinanti per ciò che ne seguirà. Data un’impostazione, un comportamento segue.
G.V. Non so se lo siano realmente, ma mi sembra di capire che spesso questo accade e probabilmente nel veder crescere i bambini, i figli che ci sono attorno, si può anche fare un ragionamento poi sulla propria esperienza, su quello che è stato e ricondurlo a certi comportamenti nell’attuale, ecco.
R.C. Lei certamente sta ponendo una questione che ha sicuramente a che vedere con il film, che lei ha inteso come? Come un monito?
G.V. Come un’angoscia.
R.C. Un’angoscia di chi?
G.V. L’angoscia di vivere certe situazioni in modo da subirle.
R.C. Allora, quali sono le situazioni a cui le si riferisce, vissute e subite? Vissute da chi e subite da chi?
G.V. Nel film?
R.C. Sì.
G. V. Situazioni del bambino all’interno di una famiglia che non è una famiglia, o che non mi è parsa tale, nella quale il padre in realtà cerca qualcosa d’altro rispetto a una traccia da dare, più che educazione, una formazione, cerca una cosa facile e con una madre che sparisce in questa situazione. Poi il fatto che per tre quarti del film il padre dica al bambino: “pensi che l’abbia uccisa io”, e il bambino dice di no, sarebbe da analizzare.
R.C. Sarebbe.
G.V. È da capire ulteriormente.
R.C. Certo, è da capire. La lettura del film non può prescindere da questo dettaglio. Chiaro. Bene, allora questo è il primo contributo. Sentiamone altri.
Sofia Taglioni Da quello che mi è parso di capire, in realtà sembra quasi che ci siano state due vite contemporaneamente: è una visione del bambino che ha una sorta di questione edipica, cioè lui vede nel padre colui che ha ammazzato la madre e poi invece alla fine è lui stesso che ammazza la madre per il padre, come se ci fosse un dualismo, da quello che mi è sembrato di vedere. In realtà forse non è esistita nessuna delle due cose. La cosa che non ho capito però è: che cos’è la ragnatela? Non capisco. È un simbolico che non riesco a condurre da nessuna parte, forse materno. Non riesco a capirlo.
E poi alla fine, quando lui rivede la matrigna nella direttrice della clinica, della casa di cura, che poi in realtà non è lei, non so se leggerlo come una sorta di eco che ti persegue, di quella figura lì, che non sei riuscito a analizzare, appunto, in qualche modo.
R.C. Sì, questo è quello che non è stato capito, invece quello che è capito?
S.T. Il fatto che veda il padre come un assassino, inizialmente, e che pensi sia l’assassino della madre. Dico “pensi”, perché secondo me è come se in realtà fosse stata una sua proiezione. Lo stesso vale anche per la fine, quando lui invece ha strappato il gas. Pensavo a delle proiezioni, ecco.
R.C. Quante volte muore questa madre quindi?
S.T. Due volte.
R.C. Due volte.
S.T. Oddio, muore comunque.
R.C. Però quel che è sicuro è che muore.
S.T. O forse se ne è andata, c’è anche questo da dire. Può essere che siano state delle sue immagini, delle sue motivazioni, come: perché non c’è più la madre? L’ha uccisa il padre o l’ho uccisa io? Potrebbe essere anche questo.
R.C. Ecco, già questo è un quesito importante. Chi ha ucciso? E quindi, chi racconta la vicenda?
S.T. Ma la racconta lui per come l’ha vista lui, il bambino.
R.C. Il bambino.
S.T. Il bambino che ormai è diventato un po’ più grandino.
R.C. E cioè?
S.T.  Il bambino che è cresciuto, cioè Spider, diciamo così.
R.C. Perché c’è Spider / Dennis / mister Cleg.
S.T. Giusto. Spider è un bambino.
R.C. Anche Dennis è un bambino.
S.T. Quindi Spider è un soprannome.
R.C. E poi c’è mister Cleg. Chi è mister Cleg?
S.T. È sempre lui.
R.C. Come si fa a dire che è sempre lui se uno è Spider, l’altro è Dennis e poi c’è mister Cleg? Chi è lui? Sono in tre.
S.T. Sono la stessa persona, credo. Viene chiamato così perché è in un contesto diverso, no?
R.C. Eh, non bisogna generalizzare, perché altrimenti allora i dettagli si confondono e perdono ognuno le proprie caratteristiche.
S.T. Però credo che il racconto che ci fa mister Cleg sembri un racconto che ha vissuto. Non è che l’abbia vissuto materialmente ma è un viaggio ben preciso che lui si è fatto, però si è fatto lui in prima persona, cioè questo non l’ha vissuto qualcun altro, non lo racchiude in un unico soggetto, che è partito poi però.
R.C. Bene, e questo è già un ulteriore contributo. E poi? Sì.
Barbara Sanavia. È complicata la cosa.
R.C. No, è semplice. Teniamo conto di quel che si dispone, è semplice.
B.S. Non ho un’idea ben precisa, cioè questa mamma vista da lui è infelice e lui sembra voler far qualcosa. E la madre accusa il padre della sua infelicità.
Vista dal bimbo, in realtà, non è proprio così la cosa. E sembra che la mamma non accetti più questa situazione, per cui va a cercare il marito… o se ne va? E lui riporta che, quando l’ha vista per l’ultima volta da viva… Forse si è sentito in colpa per non averla fermata, e poi può aver avuto questa idea qui.
R.C. È da leggere senza pathos. Bisogna leggere senza pathos. Non attribuire colpe, sensi di colpa, sentimenti e leggere le carte che si dispongono. C’è un dettaglio non irrilevante che occorre tenere in conto.
B.S. Lui stava cercando, quando la donna se ne va; l’aveva detto precedentemente all’inizio: “Lo sto facendo per te”.
R.C. Il gioco della corda, esatto. Che è un gioco noto.
B.S. Sì, non so se era legato alla tela del ragno. Visto che la mamma ha detto: “Vado a cercare tuo padre”, nel suo immaginario poteva aver pensato che ha trovato il padre, e poi il padre poteva essere una sua fantasia, però non so…perché una cosa che sembrava… lui ha rivisto la scena, cioè l’ha immaginata. Però c’è stato un momento in cui lo ha detto alla matrigna.
R.C. C’è una matrigna?
B.S. C’era questo fatto pure, che la madre, non avendo l’attenzione del marito, civettava con il figlio, sembra. Non so, il figlio era geloso del padre, comunque…
R.C. Era geloso?
B.S. Si, alcune scene…
R.C. Perché era geloso?
B.S. Oppure non era geloso, ma non vedeva la madre in quella…
R.C. Perché, se fosse stato geloso del padre, allora avrebbe ammazzato il padre. Se fosse stato geloso del padre, cioè non geloso, rivale del padre, questo lei dice.
B.S. Io ho avuto questa impressione, in due momenti.
R.C. Cioè chi era di troppo? Il papà o la mamma?
B.S. A me è sembrato il papà.
R.C. E allora perché uccide la mamma? Se il papà è di troppo, perché uccide la mamma? Pare una questione. Lei dice che il papà è di troppo, però uccide la mamma.
B.S. Era la mamma che ha ucciso o la matrigna?
R.C. Così sembra. Entrambe vengono uccise apparentemente, ma poi in realtà è una sola.
B.S. Uccide la madre e salva la matrigna.
R.C. No.
B.S. Non la uccide, era a un bivio.
R.C. Quindi lei ha notato questo, cioè la questione sessuale tra Spider/Dennis, la mamma e il papà. Spider/Dennis, cioè Spider, come è chiamato dalla mamma, Dennis, come è chiamato dal papà, perché il papà lo chiama Dennis, non Spider; lo chiama Spider la mamma.
B.S. Però è la sua storia.
R.C. E poi c’è mister Cleg.
Patrizia Ercolani Io pensavo a mister Cleg con cui si è aperto il film, quando scrive la storia. Infatti c’è un libretto in cui narra, mette per iscritto la storia di quello che può ritenersi la sua storia di quando era bambino, visto poi che anche nel film è parallelo al fatto che è presente alla scena di lui quando era bambino. E in questo racconto c’è questa questione della madre che anch’io non ho ben chiara. Mi sembra che c’è uno sdoppiamento della madre, non so capire se è la stessa, perché quando interviene il padre e gli dice: “Perché l’hai uccisa?”, mi ha fatto pensare che è una fantasia del bambino che il padre avesse ucciso la madre. E non ho capito il motivo per cui l’ha uccisa.
R.C. Quindi il morto c’è, insomma. È una storia con il morto.
P.E. Pare di sì, non riesco a capire se è tutta una fantasia di mister Cleg che racconta la storia, la scrive.
R.C. La scrive?
P.E. Scrive. Qualcosa scrive, che poi è rappresentato nelle scene, ho capito così. C’è la scrittura e la parte scenica che si accompagna in cui, presumo, cerca di ricordare. Perché riscrivere questa storia? Per capire qualcosa di sé nella sua famiglia? Con il padre, e soprattutto con la madre, mi pare, visto che è in gioco un assassinio fantastico.
R.C. Dunque, c’è un dettaglio che sembra essere sfuggito a alcuni e a altri. Cioè, quando Yvonne viene portata fuori dopo la fuga di gas, non è più Yvonne.
S.T. Quella iniziale, quella iniziale diciamo.
R.C. Ecco.
P.E. Come fa a dirlo?
R.C. Quella con i capelli chiari e poi scuri, altra attrice.
P.E. Non l’avevo visto. È un dettaglio che mi era sfuggito.
R.C. È un dettaglio nodale. Quindi Yvonne e Evelyn, Evelyn e Yvonne sono le due facce, l’anfibologia della madre, madre buona/madre puttana. Non ci sono due madri, non c’è la madre e la matrigna, c’è l’anfibologia.
Cosa vuol dire che c’è l’anfibologia? Sono visioni, una visione anfibologica, quindi se Yvonne e Evelyn sono due facce della mamma, beh, Bill non va a puttane. È chiaro no? Se Bill non va a puttane questo trae con sé qualche conseguenza.
P.E. Quindi è una fantasia del bambino.
R.C. Eh sì, Spider/Dennis. Chiaro.
P.E. Ma considerato questo, che non mi era chiaro, non capisco perché la uccide.
R.C. Chi uccide chi? C’è una lettura clinica e una lettura psicologica, una lettura sociologica, una lettura di coscienza, di pathos, sentimentale.
C’è una lettura sentimentale e una lettura clinica. Nella lettura sentimentale cosa accade? Che mister Cleg esce dal manicomio, viene dimesso dal manicomio, va in una casa famiglia e lì ricorda il suo passato. Sarebbe così, però, allora, perché scrive? Cosa scrive?
B.S. Aveva già iniziato prima la scrittura.
R.C. No, in parte era già scritto e in parte aggiunge.
B.S. Sembra un pensiero ricorrente.
R.C. In parte sembra prendere appunti, in parte lui anticipa alcune battute, in parte invece le annota. Quindi non ricorda, non si tratta di ricordi. Questa è la lettura sentimentale che partirebbe da una certa origine dove la mamma era così, il papà era un puttaniere, poi addirittura il papà uccide la moglie, va a vivere con la prostituta e quindi al bambino non resta che uccidere la prostituta per far giustizia, e finisce in manicomio. Questo renderebbe quindi ragione della sociogenesi della malattia mentale, perché va in manicomio perché si è ammalato, addirittura ha ucciso, e poi torna in manicomio perché punta a ripetere.
B.S. Sembrava contento però.
R.C. Lui.
B.S. Quando ritornava al manicomio, l’idea…
R.C. Poi non c’è più mister Cleg nell’auto, c’è Dennis. Che ci fa Dennis nell’auto? Che ci fa Spider nell’auto? È Spider, è Dennis, chi è? È figlio dello psichiatra? C’è anche uno psichiatra.
P.E. Eh, magari.
S.T. Cosa dice alla fine, che non ho capito, quel signore dai capelli bianchi, in macchina, a Dennis? Gli dice qualcosa.
R.C. Ah, lo psichiatra gli dice: “Sei pronto, figliolo, a ritornare con noi?”
S.T. A ritornare con noi.
R.C. E lui gli chiede una sigaretta, dopo di che dice: “Grazie”. “Sei pronto figliolo a ritornare con noi?”. Chi è il figliolo? È il bambino. Quindi, figliolo, torna con noi. Chi sono loro? Papà e mamma? Chi altri?
B.S. Se lui si rivede bambino.
R.C. No, non si rivede bambino, chi è lui?
B.S. Il racconto è suo.
R.C. Di chi?
B.S. Di Spider.
R.C. Perfetto. Se il racconto è di Spider non può rivedersi bambino. Lui è il bambino, non è che si rivede bambino. Spider è il bambino e quindi qual è la storia raccontata nel film, qual è il caso che si racconta?
P.E. Così, azzardando, in un flash, che non sia la storia del figlio del, che s’immagina tutta questa storia?
R.C. Chi?
P.E. Del bambino, quello che è in macchina.
R.C. Spider/Dennis.
P.E. Sì, è la storia sua.
R.C. È la storia?
P.E. La vicenda insomma.
R.C. È la storia, la vicenda o una fiaba?
P.E. È la fiaba, la fantasmatica di Spider, del bambino.
R.C. Quindi è una fantasia di Spider. E mister Cleg? Che c’entra mister Cleg?
P.E. Però c’è mister Cleg. C’è lui.
R.C. Beh, l’annotazione è acuta, ma mister Cleg?
P.E. Non ci arrivo.
S.T. Forse è una fantasia di mister Cleg.
R.C. Non sarebbe più una fantasia, sarebbe un ricordo, perché mister Cleg fantastica di essere stato bambino e di aver fatto quelle cose lì per spiegare le sue condizioni attuali. Sarebbe darsi una giustificazione.
B.S. Era soddisfatto in macchina quando…
R.C. E certo, quella soddisfazione che viene dal teorema per cui il fantasma materno non c’è più, la soddisfazione dalla costatazione che il matricidio non c’è più. E perché non c’è più?
B.S. Perché non distingue se la madre, o la donna… tutta la fantasia è legata alla madre, dovesse essere una o l’altra
R.C. “Sei pronto figliolo?”, “Sei pronto a tornare con noi figliolo?”.
Bella questa chiusura del film, no? Ha preso numerosi premi questo film. Li merita. Beh, questa frase è determinante per capire la vicenda, oltre a alcuni dettagli, oltre quello che abbiamo detto, per cui la madre, la donna estratta dalla casa con la fuga di gas, non è la prostituta, quindi è la mamma. Beh, adesso alcuni elementi li abbiamo vagliati. Proprio per capire a puntino la vicenda ci ragioniamo per qualche giorno. La settimana prossima magari, intanto così, come dice Giampietro, abbiamo l’occasione e, visto che sarebbe da analizzare, l’analizziamo.
G.V. Sarebbe.
R.C. Comunque è un bel film, un po’ lento nel suo andamento, ma molto preciso, perché ci sono scene in cui c’è Dennis e mister Cleg, altre in cui c’è solo mister Cleg e non c’è Dennis. Quando c’è Dennis però, quasi sempre c’è mister Cleg, se non sempre. Ora questo dettaglio non può essere sottovalutato. Se c’è mister Cleg può non esserci Dennis, ma se c’è Dennis c’è anche mister Cleg. È vero o no? Lo avevate notato questo?
S.T. Eh sì, perché in realtà, certo che c’è sempre, però non è mai visto.
R.C. C’è, è visibile.
S.T. A noi, ma non a loro.
R.C. Sì, chiaro. C’è un’unica sequenza in cui sembra esserci una discrepanza, cioè mister Cleg è sempre invisibile quando c’è Spider. Se c’è Spider mister Cleg è invisibile, c’è ma è invisibile, a parte una scena in cui viene visto da qualcuno. Quando c’è Dennis e mister Cleg, mister Cleg è invisibile agli altri. C’è un caso in cui è visibile.
S.T. Quando si vede allo specchio.
R.C. No, c’è un’altra persona che lo vede, almeno così mi pare. C’è una scena in cui viene…
B.S. C’è un momento in cui il padre sembra scontrarsi, ma…
R.C. È abbastanza all’inizio, è un unico caso, per il resto, o forse non c’è neanche quello, se c’è Dennis, mister Cleg è invisibile. Eh, questo è un dettaglio importante. Non viceversa, se fosse un ricordo potrebbe darsi che potrebbe esserci mister Cleg e è Dennis che è invisibile perché è un suo ricordo, ma non è così. È il contrario, quindi non è la vicenda di mister Cleg che si racconta, è la vicenda di Dennis. Vicenda, forse anche vicenda che è da costruire. “Sei pronto a ritornare con noi figliolo?”.
Beh, ormai è chiaro no? È abbastanza chiaro.
B.S. Tornare da dove?
R.C. Ecco, esatto. Tornare da dove? Dennis torna da un dove. Il papà è andato a prenderlo quindi…Il papà è andato a prenderlo con la macchina in un posto che non è casa, perché dice: “Sei pronto a tornare con noi figliolo?”. Quindi, è stato via qualche tempo.
P.E. Magari è fuggito da casa.
R.C. Adesso potete industriarvi, fantasticare dove è stato Dennis.
P.E. Magari ha conosciuto, incontrato questa figura di mister Cleg.
R.C. No, non si incontrano mai loro, non possono incontrarsi.
S.T. Ma sono la stessa persona.
R.C. Non c’è mai la stessa persona. Mister Cleg non può essere la stessa persona di Dennis.
S.T. Come la intendiamo noi.
R.C. Qui occorre fare clinica, non psicologia. Allora adesso ci fermiamo qui. Abbiamo individuato una struttura, si tratta di completarla con ulteriori dettagli perché divenga caso, qual è il caso che questo film racconta. In quanto caso non c’è la vicenda macabra, né la vicenda patologica, né la vicenda negativa.
Il caso è caso clinico che si rivolge alla clinica, non è caso patologico che deve essere guarito, salvato o quant’altro. È caso clinico e la clinica è compimento pragmatico, cioè la clinica non è la psicopatologia. Non c’è da confondere. Non siamo nel terreno della psicopatologia né su quello della psichiatria, quindi è il caso clinico di cui si tratta, perché si compie indicando l’unicità di una vicenda che si rivolge alla cifra, non al negativo, al bla bla bla, ecc., quindi senza più anfibologia, cioè senza l’alternativa fra positivo e negativo.
Che cosa comporta l’anfibologia? Comporta, per esempio in questo caso, la madre e la prostituta, la madre che è anche prostituta, che lo diventa o che lo è o che lo è stata. È chiaro? E il padre che è quindi traditore, puttaniere, assassino. Fantasia.
Bene, allora traiamo la lezione in vista della prossima volta. Chi non è stato qui questa sera ha avuto torto. Questo è pacifico, perché un’occasione, un pretesto di elaborazione come ci fornisce anche questo film, è rara e preziosa.
Com’è rara e preziosa l’occasione di non tradurre psicopatologicamente e sentimentalmente quello che si vede. Non tradurre in visione del mondo, in visione anfibologica quel che si vede. Quel che si vede occorre leggerlo, non basta vederlo. Leggerlo e ascoltarlo.
Grazie e buonanotte.


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