Tredicesimo capitolo del libro La lampada di Aladino
L’incredibile potere dell’uovo di Rukh
Ruggero Chinaglia Avere le proprie idee, avere i propri punti di vista è il modo d’impedirsi il viaggio chiudendosi nel recinto del soggettivismo chiamato personale. “Io ho le mie idee”, “Io so quello che va bene per me”.
Com’è accaduto che negli ultimi trent’anni si è affermata un’impostazione anti intellettuale basata sull’assenza di ricerca e sull’arroganza? L’arroganza è l’altra faccia della modestia e entrambe tolgono la domanda a favore del tutto chiaro, tutto subito. Ogni giustificazione è arrogante, così come ogni facile spiegazione. Togliere l’inconscio è il colmo della modestia intellettuale e dell’arroganza correlata. Modestia e arroganza volgono la domanda intellettuale in domanda di liberazione dal male e nella sua variante, la domanda di guarigione. Per mantenere il canone e le sue forme feriali e festive, la nevrosi e la psicosi. Tutto ciò è improntato all’esorcismo, tolto il viaggio, tolta la ricerca. L’impresa è addirittura osteggiata. Il viaggio senza programmi e senza progetto è del tutto immaginario, ossia ideale. L’assenza di educazione si doppia sull’abolizione del fare e del rischio di vita. Può cominciare una ricerca senza rischio?
La fiaba senza la ricerca diventa il terreno della vita reale, la malattia da cui essere guariti. La fiaba della così detta malattia mentale ancora non è stata letta, eppure ogni giorno si arricchisce di pagine nuove. A quando la lettura? Intanto, apprendiamo che il Ddl per la riforma della Legge 180 noto come Burani Procaccini, è stato bocciato in Aula e deve ritornare in commissione. A breve dedicheremo un dibattito su questo tema.
Intanto, per molti l’idea della nascita è già idea di morte, in quanto ripropone il mito della cacciata e la fantasia di un’immortalità naturale che la nascita farebbe finire. A questo allude il motto “Non ho chiesto io di nascere”, che postula una vita prima della nascita, una vita beata senza difficoltà, da rivendicare in continuazione. In quanti e quali modi ognuno si assoggetta, si rende schiavo dell’idea di mortalità?
Il testo della Storia di Aladino e della lampada meravigliosa offre materiale interessante al proposito. Ne proseguiamo la lettura, lettura preziosa, che ci ha fornito il pretesto per indagare su molte cose, fra l’altro sull’annunciazione, termine che viene dal greco rhema, in latino verbum. In prossimità del suo epilogo la fiaba pone una questione che ne chiarisce il percorso e consente elementi di lettura. È un dettaglio che combina l’anfibologia della madre con il fantasma di origine o di mortalità o di genealogia. La questione dell’origine viene formulata così: da dove viene il potere del genio? Dall’uovo di rukh! L’uovo di rukh è l’origine del potere, è il padrone del genio. L’origine, il ritorno all’origine, toccare l’origine chiude il cerchio con la morte. E il genio svanisce, rilanciando l’infanticidio con il suo fantasma di assassinio.
[…]«Principessa», rispose Aladino, «basta che voi troviate che vi manca un uovo di rukh, perché trovi anch’io lo stesso difetto. Ve- drete dalla sollecitudine che userò per mettervi riparo, che non c’è nulla che non farei per amor vostro.
Tosto Aladino abbandonò la principessa Badr al-Budur, e sali nel salone dalle ventiquattro finestre, e là, tratta dal petto la lampada che portava sempre con sé, in qualunque luogo andasse, dopo il pericolo che aveva corso per aver trascurato tale precauzione, la strofinò.
Il genio si presentò subito.
Aladino gli disse:
«Genio, manca ancora a questa cupola un uovo di rukh sospeso nel mezzo; io ti chiedo in nome della lampada di cui sono proprietario, che tu faccia in modo che questo difetto sia riparato». Aladino aveva appena pronunciato queste parole, che il genio lanciò un grido così penetrante e spaventevole, che il salone ne fu scosso ed Aladino vacillò. «Come, miserabile!», gli disse il genio con una voce da fare tremare l’uomo più coraggioso. «Non ti basta che i miei compagni ed io abbiamo fatto tutto quello che hai voluto? Vuoi ancora, con una ingratitudine che non ha pari, che ti porti il mio padrone, e che lo appenda nel mezzo di questa cupola? Questo attentato meriterebbe che foste ridotti in cenere, tu, tua moglie ed il tuo palazzo in questo stesso momento […].
Bisogna distinguere fra matricidio e parricidio. Il matricidio è l’applicazione del fantasma materno, del fantasma di fine, una reazione al parricidio e alla sessualità. Con il matricidio l’infinito è tolto, lo zero è tolto, l’uno si divide in due. Questa è la struttura del matricidio in cui il tempo finisce per cui è pensato passare o durare. Il padre è morto, il figlio è destinato a morire, l’Altro è espunto e la sua eventuale comparsa significa, rappresenta il male, il negativo, il nemico, la morte. Corollario del matricidio è l’infanticidio, e ogni omicidio, ivi compreso il suicidio, che non è altro che una variante dell’omicidio. Nel matricidio non c’è più combinazione né combinatoria, ma solo alternativa.
Con la morte della materia intellettuale sorge il discorso come causa, la cui origine è localizzata dalla verità da conservare e dimostrare. Con il matricidio non c’è più struttura temporale, viene tolto il funzionamento della parola. L’aborto rientra nel fantasma di padronanza del matricidio. Alla madre è assegnata la funzione di morte, dunque la madre uccide, la madre può uccidere. L’aborto è la risposta a questa fantasmatica, la sua applicazione.
L’infanticidio è la conseguenza dell’idea che l’uno si divida in due. Se si divide in due, il figlio muore. Esemplare la parabola di Salomone e delle due donne. La donna matricida e infanticida lascerebbe che il figlio dell’altra donna venisse diviso in due. Ma, appunto, la divisione non è algebrica, non divide in due, l’uno si divide da sé, è inidentico a sé, quindi funziona. E questo è il figlio nella sua funzione.
Corollario del matricidio è l’incesto, l’erotismo nelle sue varie forme, la paura, il panico. Con il matricidio il fantasma di origine diventa fondamento e ha come corollario il fantasma di fine.
L’anfibologia del padre è un indice del fantasma materno e del fantasma d’alternativa. E già l’alternativa significa la fine, dato che è alternativa esclusiva. È alternativa fra due possibili soluzioni. L’idea di soluzione è già idea di fine. È già previsione della fine.
Ma, come sorge l’alternativa? Postulato il padre morto, l’ossimoro diventa l’alternativa esclusiva rappresentata per antonomasia dalla coppia servo e padrone, che più di ogni altra giunge a significare la relazione sociale. Sull’idea della messa a morte del padre l’apertura non c’è più, e per esempio, sotto e sopra significano sottomissione e sopraffazione. Chi sta sopra e chi sta sotto. La rivoluzione circolare, il rapporto geometrico come significazione dell’incesto.
L’anfibologia del padre è rappresentata da Aladino con il sultano e il sarto, anfibologia tra vivo e morto, tra ricco e povero, con il sultano e il mago, anfibologia tra buono e malvagio, tra autorità e severità.
Per ognuno, nella fiaba che si rappresenta, si tratta del padre che vacilla, che oscilla nell’alternativa fra forte o debole, fra padre o amante, fra padre o marito, fra padre e oggetto amoroso o sessuale. Il padre debole o il padre amante possono poi volgersi nella fantasia del marito traditore o che può tradire, o comunque, debole rispetto alla tentazione sostanzialista. Il padre debole è già il padre morto, il padre messo a morte.