Testo pubblicato in AA.VV.: Art Ambassador. Il museo, l’edizione, il valore – Spirali, 2006
COME CIASCUNO DIVIENE ART AMBASSADOR
Leggendo il Master dell’art ambassador, di Armando Verdiglione un entusiasmo crescente impedisce al lettore di sospendere la lettura. Quest’opera narra perché l’arte e la cultura sono inconsce e non sono più, quindi, patrimonio di qualcuno o dell’umanità, ma aspetti particolari, propri e inesauribili dell’itinerario della parola verso la cifra.
L’esperienza della parola originaria con la restituzione in valore di ciò che ciascuno ha incontrato, istituisce il secondo rinascimento. La questione è intellettuale e il modo è quello della parola che diviene cifra. Nei dispositivi temporali. Senza ontologia. Essenziale la logica, essenziale il transfert, l’annunciazione con cui ciascuna cosa è senza possessione e senza padronanza, dunque libera di qualificarsi.
La novità che emerge immediatamente leggendo è che l’arte procede dalla scienza. Arte scientifica senza più il compromesso romantico dell’arte come deroga alla scienza.
Il modo del Master è quello della scrittura dell’oralità. “L’arte e la cultura sono arte e cultura narrative”. Per questo procedono dalla scienza della parola. E esigono il transfert con le sue due facce: il parricidio e la sessualità.
Il transfert è nel dispositivo della parola che diviene cifra, lungo il processo di qualificazione, secondo la logica della nominazione. In questo processo sta l’itinerario della parola che si annuncia con la questione intellettuale; dalla questione aperta la parola si rivolge alla cifra.
Chi si trova nell’esperienza cifrematica, accoglie, ammette, riconosce, testimonia, ciascuna volta di essere esposto alla differenza e alla varietà delle cose, fino alla loro qualità. Fino al valore assoluto. Chi si trova nell’esperienza della parola originaria vanta la sua esigenza di qualità, la sua esigenza di valore assoluto. Sta qui l’orgoglio di trovarsi nel dispositivo della parola originaria: orgoglio intellettuale: scientifico, artistico, culturale.
La testimonianza, la narrazione, il racconto esigono dispositivi pragmatici, secondo le ragioni e il diritto dell’Altro. Dispositivi senza più soggetto, senza più soggettività. Dispositivi di leggerezza, di tranquillità, d’impresa, di scrittura, di cifra.
L’arte e la cultura sono inconsce: questo è il messaggio del congresso di Roma del 1982. Oggi lo integriamo con la scienza: la scienza, l’arte, la cultura sono inconsce: stanno nella parola secondo il suo idioma, secondo il numero duale e triale.
Da dove viene la cultura e dove va l’arte. Da dove vengono le cose e dove vanno. “Dove” senza luogo e senza ontologia; senza discorso di padronanza. Senza luogo perché la sua sede è la parola.
Il transfert è l’ambasciatore della parola che diviene cifra. L’ambasciatore della parola.
Chi è, allora, l’art ambassador? Chi parlando testimonia della missione e del servizio intellettuale nel transfert. L’annunciazione, con la sua profezia, la comunicazione, il messaggio sono gli strumenti dell’art ambassador. E la missione per svolgersi esige la vendita. Con la sua scrittura, la scrittura della vendita. Vendita senza transitività. Non c’è chi si venda o venda qualcosa: la vendita è intransitiva; non sta dove viene immaginata o collocata. La vendita e l’acquisto: il dispositivo dello scambio. La vendita non è un fine: è senza finalismo.
Il commercio, la disciplina, la vendita costituiscono la base della scrittura. Che cosa si scrive se non ciò che entra nel commercio, nella disciplina, nella vendita, in altri termini, nel transfert? L’Art ambassador si avvale del transfert e della sua scrittura. Nessuna tecnologia della vendita, nessuna tecnica per vendere può sostituire il transfert della parola: nessun soggetto della vendita, nessun soggetto alla vendita. L’ideologia del marketing ha tentato di tecnologizzare la vendita per togliervi il transfert e espellerla dalla parola, sostituendovi il discorso di padronanza, ma invano. Un tentativo di ritorno al dialogo che consentirebbe l’economia della parola, l’economia del transfert, l’economia della scrittura, l’economia del processo di valorizzazione. Il suo ideale è la riservatezza fino all’omertà, in cui si tratterebbe di salvarsi dal dire troppo, dal dire ciò che sarebbe compromettente per la padronanza; salvarsi dal dire per assumere psicofarmaci. L’idea è sempre quella, che vi sia chi parla e chi taccia, chi possa governare e padroneggiare la parola. Evitando l’incontro e la sorpresa.
L’incontro con il cliente, con l’interlocutore poggia sul pubblico e conclude al valore. Senza appuntamento e senza valorizzazione niente incontro che esige la conversazione, la narrazione, il racconto. Il modello è quello psicofarmacologico e psicoterapeutico, con la sua coppia medico/paziente.
Il paziente professionista, che si doppia sul medico professionista, è chi parla senza ascolto, senza capire e senza intendere, in nome di ciò che crde di sapere, e quindi parla di sé, sempre e solo di sé, di com’è e come doveva essere, di come avrebbe potuto essere e di come non potrà essere, perché quello è “ciò che conosce bene”, e dunque parla di sé, del suo sintomo, della sua malattia, dei farmaci di cui “sa di avere bisogno” per confermare la conoscenza di sé e dell’Altro, perché ha orrore dell’arte e dell’invenzione. Questo paziente professionista che ha in dispregio il valore, e dice di avere orrore dell’avvenire, in realtà ha orrore di sé; ha orrore della serie dei contrappunti, sintomi, empasse e avventure che caratterizzano il cammino artistico.
Espunte dal principio di controllo e padronanza risultano appunto l’arte e l’invenzione, le strutture della parola che si scrivono solamente in assenza dell’idea di possessione e di padronanza.
Art ambassador: profezia e miracolo.
Il racconto è la base della vendita.
Chi è venditore. Venditore è la provocazione, è la profezia, è la proposta che nel racconto evoca l’avvenire e il programma in direzione del valore. E venditore è il tempo come imprenditore: il tempo con le sue virtù e i suoi teoremi. L’umiltà, l’indulgenza, l’intelligenza. La verginità, la carità, la grazia. Non c’è più incesto, non c’è più peccato, non c’è più corruzione.
Senza la vendita come giungono le cose al valore? Vendita: venum dare, dare il valore. Per il valore sono necessari la venalità del sembiante, la moneta, il colore dell’oggetto: ciò che è condizione dell’itinerario e del processo di valorizzazione. Anche causa della valorizzazione. E è pure necessario l’evento che dispensato dal tempo trae con sé il valore. Vendita e scrittura della vendita.
Il valore, quindi segue la vendita o l’acquisto. Ciò che viene venduto o acquistato non è il valore, né la merce, né il prezzo. Ciò che viene acquistato o venduto è ciò che va in direzione del valore. Il prezzo è il pretesto della trattativa in cui il valore s’instaura. Va precisandosi. La trattativa svolge il patto per la valorizzazione. Il cliente è interlocutore, né amico, né avversario.
La vendita esige l’appuntamento e l’incontro. Esige il dispositivo, che è innanzitutto dispositivo di parola. Dispositivo narrativo, di racconto. Senza il racconto niente vendita. L’arte e l’invenzione sono le strutture della parola, con esse si struttura la memoria, con esse le cose si scrivono.
L’atto di parola esige la vendita: la vendita comincia con l’annunciazione, è nella struttura dell’annunciazione. Perché il venditore vende? Perché non può farne a meno. Vende perché ciascuna cosa si qualifichi. La vendita è essenziale alla qualificazione, al piacere. Vende per qualificare la cosa. Per via di narcisismo. La vendita procede lungo la fiaba e lungo la fabula, fino alla saga, con cui la scrittura punta alla qualità.
Può forse porsi la metodologia della vendità? Il suo vademecum? Certamente occorre la formazione del venditore, la cui formazione effettiva è quella intellettuale, clinica, cifrale.
La garanzia è nella condizione. Particolarità. Idioma.
Con il fare, le cose tendono a scriversi, oltre il transfert, per la scrittura del programma di vita. Per la memoria dell’attuale. Ecco la saga. La nostra saga. Dove ciascuno si qualifica art ambassador.
Essenziale alla vendita è l’indulgenza, che procede dalla tolleranza, dall’infinito e dall’Altro. Con l’indulgenza le cose si rivolgono alla qualità senza la contabilità dello sforzo, per esigenza di soddisfazione, di qualità. Con l’indulgenza non c’è necessità di salario, né di premio. le cose si fanno per l’occorrenza, senza il finalismo del salario.
La vendita s’instaura nell’intervallo dell’impresa dove l’intellettuale è venditore, adiacente al tempo. Con agio. E il servizio è intellettuale, non servile.
L’indulgenza dissipa ogni rappresentazione della ricompensa, della quantificazione, della complicità, della relazione sociale. L’indulgenza dissipa ogni rappresentazione del mercenario.
Con l’indulgenza non c’è più colpa e non c’è più pena. E ciascuna cosa si rivolge alla sua cifra.
L’indulgenza dissipa ogni rappresentazione della ricompensa, della quantificazione, della complicità, della relazione sociale. L’indulgenza dissipa ogni rappresentazione del mercenario. Con l’indulgenza non c’è più colpa e non c’è più pena. E ciascuna cosa si rivolge alla sua cifra.
L’indulgenza, in particolare, è il teorema che marca lo statuto del diritto dell’Altro per cui non c’è più soggetto in potere o in balia di qualcosa o di qualcuno.
Attribuire la generosità a qualcuno anziché all’Altro comporta la contabilità dei beni e dei mali. Così, quando accade che nel dispositivo del viaggio il viaggiatore riceva in acquisizioni, profitto intellettuale, indicazioni molto più di quanto si aspettasse e pensasse di meritare, in presenza di una soggettivizzazione, per esempio per un’idea di fine che trova qualche ricordo cui appigliarsi senza venire analizzata, volge il debito in credito e pretende di avere di più.
Anziché avvalersi della generosità per la restituzione in qualità di quanto ha ricevuto il soggetto pretende, rivendica, ricatta, accampa diritti. Fa la contabilità della colpa e della pena dell’Altro.