Pubblicato in AA.VV.: La libertà. Atti del Festival della modernità. Milano, 3-6 luglio 2008, Spirali
LIBERTÀ ORIGINARIA O LIBERTÀ POSSIBILE?
La libertà della parola è ciò con cui procede l’esperienza cifrematica. Il secondo rinascimento, che è il rinascimento della parola e la sua industria, procede dalla libertà della parola.
Libertà della parola: la formula sembra facile, chiara e condivisibile, ma niente è più lontano dalle rappresentazioni comuni e apparentemente condivise della libertà che rientrano nelle finalità soggettivistiche e sociali del politically correct, esaltazione del fantasma dell’ineffabile.
Questo Festival della modernità pone la questione della libertà della parola e avanza la proposta cifrematica dello statuto della libertà: la libertà è della parola, e solo così non può essere confiscata, perduta o conquistata, perché ciascun elemento è originariamente libero. Ciascun elemento: la logica, la procedura, l’esperienza e ciò che vi sta. Che la libertà sia della parola comporta che non sia attribuibile a qualcuno la cui condotta possa quindi ispirarsi all’idea di potere essere libero oppure no: alternativa fantasmatica che pone il cappio al collo e fa sentire aleggiante su di sé il pericolo di morte, come una spada di Damocle.
La conseguenza che si ricava dalla libertà come virtù della parola è che non c’è alternativa alla libertà e quindi ciascuna cosa va in direzione del valore. E il valore esige il suo dispositivo, la battaglia, che, per essere combattuta, necessita a sua volta della forza. Da dove viene la forza che è la domanda in atto? Dalla libertà di ciascun elemento. Un modo per “darsi la morte” seppure nella forma della morte bianca, è quindi cedere rispetto alla libertà, cedere rispetto alla forza, uniformandosi alla mentalità vigente.
Il fraintendimento più comune è che bisogna combattere per la libertà e che occorra impiegare la forza per raggiungere la libertà. È un capovolgimento ideologico: senza la libertà non c’è nemmeno la forza. E la battaglia è per il valore. La salute è l’istanza del valore che instaura la battaglia.
La libertà è integrale, assoluta. Non è una cosa astratta o ideale: la libertà s’instaura con la parola, quando cioè sia dissipata la credenza di essere soggetti, ossia entità sostanziali soggette alla morte. Se la parola originaria non si è instaurata, allora la libertà può essere relativizzata con la sua pluralizzazione. Ecco allora le libertà relative e la relativa graduatoria: quali sono le libertà importanti e quali quelle trascurabili? Chi lo decide?
Ognuno propone la sua idea delle libertà, ognuno propone il suo elenco: la libertà delle donne, la libertà degli omosessuali, la libertà di culto, la libertà di cura, la libertà di pensiero, ecc. E ecco i conflitti per le libertà. Qui non si tratta più della libertà, ma del suo concetto, del suo fantasma, della sua relatività. È la libertà sottoposta all’idea della morte. È la libertà pensata dallo schiavo; è la libertà intesa come liberazione di qualcuno o liberazione da qualcosa. La libertà è estrema e assoluta. Non è un concetto ideale astratto.
La “libertà della parola” ha ben poco se non nulla da spartire con ciò che comunemente viene chiamato la “libertà di parola”. La libertà della parola non si limita all’eventualità di potere dire quel che si vuole, né è la possibilità di potere dire qualunque cosa o tutto È chiaro che quando c’è chi s’imbatte in un regime in cui è vietata anche la più comune rappresentazione della libertà, come quella di dire, di scrivere se non ciò che è prescritto, può sembrare che la libertà di parola sia essenziale, ma di che si tratta? Di potere dire quel che si pensa? È una libertà ideale, apparente.
Qual è, allora, il contributo della cifrematica alla libertà?
“La libertà è della parola”. Questa formula indica che la parola è libera: libera di qualificarsi, libera di divenire cifra. E non c’è più discorso comune, discorso di padronanza, discorso senza idioma. Non c’è più l’obbligo all’osservanza della mentalità.
Come indicano anche le testimonianze di chi si trova nella dissidenza in vari paesi del pianeta, il destino del pianeta è in assenza di algebra e di geometria della morte. Il destino del pianeta è senza ritorno, non è gravato dall’idea del ritorno all’origine, è quindi svincolato da ogni presunto ricordo dell’origine. Il destino del pianeta risente del modo intellettuale con cui ciascuno affronta l’occorrenza senza il predominio del fantasma di padronanza che è il risvolto del fantasma di morte. Allora, la questione è che la libertà, in quanto intellettuale, è la libertà della parola.
Occorre analizzare la proposta di Armando Verdiglione che la libertà è “virtù del principio della parola”, per le conseguenze di radicalità che introduce quanto al vivere, al suo modo, alla salute, alla riuscita. Se la libertà sta nel principio della parola, allora ciascuna cosa procede con la libertà e il suo destino è conseguenza del principio della parola, non viceversa.
La libertà come virtù del principio assolve la libertà da ogni debito morale, da ogni visione filosofica, politica o religiosa che la vuole ora attributo del soggetto, ora conquista del popolo o concessione del sovrano, ora dono di dio. È l’ideologia dell’affrancamento o del debito morale. L’idea della libertà elargita o della libertà da conquistare sono due varianti della libertà possibile, non più originaria retta dall’idea della conquista della libertà
Armando Verdiglione con la constatazione che la libertà sta nel principio della parola, assolve e dissipa il soggetto della libertà, ossia il soggetto schiavo che deve conquistare la libertà o che ha avuto dono della libertà, o il soggetto padrone che ha conquistato le sue libertà, ma può sempre perderle.
La libertà originaria è senza padrone, senza padronanza, ma è anche senza valore e senza fine di bene. Proprio per questo, esige il dispositivo di parola come dispositivo di qualificazione e di valorizzazione. Da qui, dalla libertà originaria prendono avvio il progetto e il programma di vita.
Se, invece, la libertà è intesa come possibile, allora rientra nell’ambito della caducità umana e ognuno teme di perderla o che gli sia sottratta. È un modo di sottostare al fantasma di morte. Per l’uomo, ossia per il soggetto, l’esempio eminente di possibilità, cui cerca di porre rimedio con la padronanza, è la morte. Così, la libertà possibile è l’altra faccia del fantasma di morte, o, anche del fantasma di origine.
Ognuno pensa alla sua origine e si attrezza per il suo ritorno all’origine, per predisporre, nel migliore dei modi possibili, la sua buona morte, la sua eutanasia.
Tutto ciò nel segno della gestione del sapere sulla morte, come sulla libertà, entrambe intese come concetti, dove il concetto è lo strumento che dovrebbe consentire di saperne e soprattutto di gestirle e padroneggiarle. Nulla è più limitativo. Fare il catalogo delle libertà è già il modo di restringere la libertà a qualcosa di noto, di assodato, di prevedibile, di condiviso. È, appunto il concetto senza libertà.
Solo se la libertà è virtù del principio, con il modo dell’apertura si avvia la domanda e con essa la forza. Quale battaglia senza la forza? Chi può vivere senza la forza? Questa forza è la forza della parola, non già la forza del soggetto, che in quanto ispirato dalla termodinamica è soggetto alla scarica, soggetto che si scarica, soggetto all’esaurimento, nervoso e energetico. È la parola il dispositivo di forza di ciascuno.
Non si tratta di considerare la libertà un valore, né in sé, né in fieri. Il valore procede dalla libertà intellettuale, intesa come libertà della parola.
Il catalogo delle libertà è il catalogo delle libertà possibili. E fare della libertà una possibilità è già istituire la sua fine.
La libertà come possibile, la libertà come possibilità è la libertà biforcuta, è la libertà che può esserci e che può anche essere tolta. È la libertà di cui essere in debito e di cui essere grati al padrone. Togliere e restituire la libertà. Chi si vede tolta la libertà non è poi forse grato a chi gliela restituisce?
Chi crede nella libertà come possibile ha già, almeno in parte, accettato l’ipotesi di un regime di libertà limitata: il regime di soggetto alla libertà vigilata. È il regime del prigioniero a vita, del carcere a vita, della vita come carcerazione.
Libertà di culto, libertà di stampa, libertà di pensiero, libertà di parola? O libertà dal culto, dalla difficoltà, dall’ostacolo, dalla parola?
“Libertà di” è la libertà di scelta pensata dal fantasma di padronanza. Libertà di scegliere se fare o non fare, se vivere o morire. È la libertà mortifera. “Libertà da” è la libertà pensata dallo schiavo che aspira all’affrancamento, all’autonomia. Libertà civile, da esercitare con le limitazioni convenzionalmente stabilite dal compromesso delle soggettività.
Sembra molto civile convenire che “la mia libertà finisce dove comincia la tua”. Ma che libertà è questa? La libertà di esercitare il proprio comodo? È proprio questo il concetto di libertà, che prende a modello l’appiattimento a peccato convenzionale del crimine originario e la limitazione dell’intervallo, o la sua abolizione, istituendo il primato della vendetta, del torto, della possibile sopraffazione reciproca. Pertanto, per stabilire la difesa del soggetto debole o più debole, la “civiltà” sociale, e/o la società “civile” si premurano di stabilire i limiti della libertà, partendo dall’idea di male, o meglio di soggetto malvagio. La “libertà per amore” è agognata nella società di Caino, il quale presumendo di avere un dio o un padre in comune con Abele deve ingraziarselo oppure, come altra faccia, rivendicarne l’amore perduto.
E la società che ne deriva è la società dei soggetti che rivendicano la loro libertà: soggetti liberati o da liberare. Soggetti posseduti o soggetti plagiati. Soggetti a libertà limitata. Soggetti che praticano l’erotismo della libertà, con il controllo e la gestione di una rappresentazione della libertà che mantiene la possibilità di parlarne in nome della libertà ideale.