Secondo capitolo del volume La realtà della parola
Babadook e la fantasia dell’uomo nero
Ruggero Chinaglia Cominciamo questo secondo appuntamento dell’équipe analitica e cifrematica che è un’occasione di lavoro, di ricerca, d’indagine per capire i termini, la struttura, il modo con cui avviene la clinica, con cui si struttura il caso clinico.
Caso clinico è in un’accezione di caso intellettuale, dove si tratta di non appiattire ciascuna formulazione sulla scorta di quelle che sono le formulazioni correnti e vigenti di stampo medico, psichiatrico, psicologico, convenzionale o quant’altro, che fanno parte di un gergo acquisito. Occorre andare verso la novità della glossa, la novità del dizionario, la novità che propone l’esperienza analitica e cifrematica in particolare.
Clinica è qui intesa in un’accezione differente da quella che avviene nella medicina. Non è la clinica ospedaliera o la clinica universitaria, né il luogo dove le persone si mettono a letto; perché la clinica viene intesa così anche dove si tratta di problemi che non hanno la necessità dell’allettamento, nel senso della messa a letto. La clinica medica, ospedaliera, universitaria, esige che vi sia la messa a letto del paziente. Non è questa la clinica che intendiamo noi.
Non si tratta del letto, dello stare a letto, della cura fatta a letto, ma si tratta della clinica come piegatura, arte e cultura della piegatura, di come le cose, dicendosi, articolandosi, analizzandosi, cifrandosi incontrano la piega, più pieghe, la molteplicità, per cui il senso, il sapere, gli effetti del parlare non sono già dati e contribuiscono a introdurre Altro.
Altro, perché la piega, la piegatura delle cose che si dicono, delle parole, è una proprietà dell’Altro. Non di qualcun altro, no! Dell’Altro, che costituisce la differenza assoluta, parlando.
È qualcosa che non è presente, non è visibile. Interviene! In che modo intervenga, non è prevedibile. Ma, la piegatura è una proprietà dell’Altro, che è una struttura. È funzione e struttura. Funzione di Altro, quella che Freud chiamava il sogno.
Freud chiamava onirico il sogno, quello che poi, specificandosi, ha preso il nome di funzione di Altro.
Quando Freud parla del sogno non parla dei sogni. È stato convertito nel fatto di dovere sognare – i sogni, l’analisi dei sogni – ma si tratta più propriamente del sogno che interviene nella parola, parlando. Non è che bisogna sognare per incontrare questa struttura.
Gli americani hanno inteso così e, infatti, ricordo la sorpresa di alcuni psicanalisti americani che intervennero a varie giornate di studio che organizzammo a Milano, ancora negli anni ’70-’80, quando emergeva dal nostro racconto che, nel nostro itinerario analitico, poteva accadere di fare più sedute nella stessa giornata. Oooh! Sorpresa! Come? Senza fare i sogni? Senza dormire? Sì, non c’è bisogno di dormire perché s’introduca l’onirico nella parola: l’onirico sta nella parola. Il sogno è una struttura che avviene parlando e è la struttura dell’Altro.
Freud agli albori non è entrato nei dettagli, però se voi leggete L’interpretazione dei sogni, si tratta di frasi, analizza frasi, frasi prese dal racconto. Il sogno è pretesto per il racconto, in Freud. La questione è il racconto.
Ogni racconto ha il suo pretesto. Freud ha trovato in quel momento che il sogno dava materiale ricco e ha accolto di rivolgersi al sogno, ma non come questione essenziale, cioè che solo dal sogno, dai sogni che si fanno alla notte o dormendo viene questo materiale, perché questo materiale è materiale narrativo. Questa è la vera novità che Freud introduce: analizza il materiarle narrativo.
Se leggete i Casi clinici, se leggete La psicopatologia della vita quotidiana, se leggete Freud, troverete che la base dell’analisi è il materiale narrativo, sono parole, frasi, sintassi. Da lì si articola l’analisi.
In questa circostanza, noi prendiamo pretesto dal racconto che avviene in un film, in alcuni film.
Cominciamo con Babadook, un film australiano, di una regista australiana che con questo film ha debuttato, un debutto molto interessante, che vedrete tra poco. Narra qualcosa che, diciamo, calza proprio bene con il titolo generale dei nostri incontri, La realtà intellettuale, e questo viene ribadito nel film in vari modi. Certo, non con questa formula, ma ciascuno avrà modo di coglierlo, di capirlo.
Si tratta di capire qual è la vicenda che è raccontata dal film, non la realtà ontologica rappresentata nel film, ma la realtà che è narrata nel film. Si tratta di fare lo sforzo di non vedere il film, ma di leggerlo e ascoltarlo, ricavando dalla combinatoria di testo e immagini il testo della vicenda, per capire qual è la vicenda, chi è il protagonista della vicenda. Può sembrare in un modo e può trattarsi, invece, di qualcosa d’Altro. Questo è il bello della lettura del film, perché si vedono delle cose e si tratta di capirne delle altre.
Dicevo di questa regista australiana e del titolo americano che è The Babadook, Il Babadook, perché Babadook è un anagramma. Lo vedrete nel film quale sia l’anagramma. Vediamo se si arriva a capirlo. È una vicenda a mio parere molto interessante, che apre numerose riflessioni sulla questione dell’educazione, sulla questione del cosiddetto bambino difficile, su quali strumenti usare per capire qual è la difficoltà di un bambino che si rappresenta “difficile”, ma che evidentemente pone una domanda in un altro modo da quella esplicita.
Però non vorrei fuorviarvi, perché i registri di intersezione sono numerosi. Si tratta di farne la lettura. Lettura analitica, lettura clinica, perché lo scopo non è quello di ricavare un’adesione a una concezione psicopatologica, non è quella di confermare uno status di malattia o di negatività delle cose, per assegnare diagnosi o etichette, ma eventualmente proprio il contrario.
Da ciò che, apparentemente, sembra un ottimo pretesto per l’assegnazione di etichette, ricavare invece i termini di ciò che va in direzione differente, non del male, non del negativo, non della malattia, ma di un’altra istanza. La questione della clinica è questa: cogliere l’istanza che è in atto in una vicenda.
Il caso non è la fotografia di qualcosa, ma è il caso clinico. Il caso clinico indica di una vicenda, un percorso, un cammino, un’articolazione. La clinica non è una etichetta, ma qualcosa che spalanca alla qualificazione delle cose.
Dico questo, giusto per introdurre brevemente, per capire in quale contesto ci troviamo, perché adottiamo il film come pretesto narrativo per capire qualcosa d’altro.
Allora passiamo al film e poi facciamo il dibattito attorno a ciò che leggeremo. Occorre cogliere i dettagli più che la totalità.
R.C. Allora, di cosa si tratta in questo film Babadook? Chi osa prendere la parola? Dicevamo che è un anagramma, un anagramma del libro di cui si tratta: The Babadook. E intanto Babadook sta in un libro, ma questo è giusto per dire che c’è un libro lungo la vicenda. E ci sono dei personaggi. Qual è la vicenda? Qual è la storia? Di cosa si tratta? C’è qualche ipotesi? Nessuna ipotesi? Cosa avete ascoltato fino adesso?
Fabrizio Moda La prima questione riguarda il libro, nel senso che, una ventina di anni fa rimasi sorpreso quando un mio amico mi disse di avere saputo di un qualche libro la cui sola lettura poteva creare suggestioni davvero terribili, e obbligare il soggetto a dati comportamenti contro la sua volontà, idea che non contraddissi, stetti zitto, perché mi sembrava, come credenza, fuori moda, nel senso che, il mondo è pieno di credenze, però questa mi sembrava proprio arcaica, ecco. E vederla qui, nel libro, mi ha fatto venire in mente l’episodio e considerarlo sotto un altro aspetto.
R.C. Ah sì?
F.M. Cioè, è forte questa credenza, che non tiene tanto conto del libro, ma come una parola particolare può anche suggestionare, al di là della credenza del soggetto, insomma. Personalmente mi pare di vedere specularmente la mia vicissitudine come papà mostro, papà cattivo, papà che doveva morire o papà morto. Dal mio punto di vista, è un film già visto.
R.C. Ecco, occorre non avere mai visto quel che si vede, né mai sentito quel che si sente, né mai ascoltato quel che si ode. Occorre mai ricondurre qualcosa che si ode al già visto, al già sentito, al già fatto, ma cogliere che cosa si sta dicendo, a cosa si sta alludendo, anche se sembra un déjà vu, una ripetizione o quant’altro.
Quindi, qual è la vicenda, qual è la storia, chi è il protagonista del film?
Daniela Sturaro La mamma.
R.C. La mamma è la protagonista?
D.S. È lei che ha problemi.
R.C. La mamma ha i problemi. Quindi, che ci siano problemi è fuor di dubbio!
D.S. Certo.
R.C. Ho capito. E quali sono i problemi della mamma?
D.S. Il problema è che la mamma non ha elaborato il lutto per la perdita del marito e accusa il figlio di avere provocato la perdita del padre. Non so, vede nel figlio qualcuno che ha reso possibile la morte del padre.
R.C. Sì, e quindi?
D.S. E, quindi, in quanto colpevole, vede in lui il male. Il bambino è colpevole, il male sta in lui.
R.C. E…?
D.S. E così questo bambino risulta essere fuori dalla norma, e la mamma trova tutti i motivi per non amarlo. E lo fa rientrare nella categoria dei bambini che non si possono amare. Cioè, che va male a scuola, che fa cose strane. È preoccupante perché produce ansia. Proietta su di lui questa immagine del bambino problematico.
R.C. E invece?
D.S. E invece sono tutte ombre che ha lei, cioè, è ciò che lei, non so, il termine tecnico sarebbe psicosi, che modifica la realtà per cui il bambino che sarebbe causa di…
R.C. Quindi è lei che è malata.
D.S. Non dico che è malata. Non sto dicendo che è malata.
R.C. Ha i problemi!
D.S. Sì, non ha accettato la condizione di madre con il padre che è morto.
R.C. E quindi cosa bisogna fare?
D.S. Bisogna fare… Cioè ha dovuto attraversare questa sua paura attraverso Babadook, questa sua non accettazione del figlio, questo suo sentirsi sola, questa visione della realtà un po’ distorta, l’ha dovuta attraversare con Babadook.
R.C. Quindi Babadook è una chance.
D.S. È qualcosa che non può scacciare. Non può buttarlo nell’immondizia, non lo può bruciare, né stracciare o eliminare. Deve essere affrontato.
Pubblico Non lo elimina mai perché rimane lì, sotto.
R.C. Rimane lì.
Sabrina Resoli C’è anche una battuta che la mamma dice alla festa della nipotina, quando la sorella le dice che deve andare avanti, che sono passati sette anni dalla morte del marito. E lei risponde: “Io sono andata avanti. Non ne ho mai parlato. Non ne parlo mai”. E di questa morte del marito, della morte del padre, di cui non si parla, permea tutta la vita sua e del bambino. Cioè il bambino ha paura, il film inizia così, ha paura. Guarda sotto il letto, dentro l’armadio, ha paura del mostro e dice alla mamma: “Io non voglio che tu vada via, che tu muoia. Io ti proteggerò”.
Quindi, questo mostro è la morte, il fantasma di morte. Però, non se ne può parlare e questo fantasma cresce e si realizza nel libro. Perché poi, anche nel libro, a un certo punto, lei legge: “Io divento sempre più forte. Tu mi neghi e io divento sempre più forte”. Sì, lo sto capendo adesso.
R.C. Certo.
S.R. E cresce…
R.C. E quindi chi ha paura?
S.R. La mamma.
R.C. La mamma. E Samuel?
S.R. È cresciuto in questa paura. È stato educato alla paura.
R.C. E quindi?
S.R. E quindi Samuel fa quello che fa perché sta reagendo a questa paura.
R.C. Sì. Altri?
Barbara Sanavia Io mi sono chiesta perché Samuel ha paura. Inizialmente la colpa è sua, di rimanere. Il protagonista per me è Babadook, cioè l’idea della mamma che il figlio è la causa della morte del marito. E non riesce a amare il figlio per quel motivo. Per me Babadook rappresenta, ho avuto l’impressione che rappresenti questo. Per cui la paura di Samuel era di non sentirsi amato dalla mamma, perché lui poteva essere, veniva visto, come la causa della morte del padre. E, appunto, quando si ripresenta il libro dopo che la madre lo aveva stracciato, e diceva più o meno, non mi puoi lasciare quanto più mi neghi; cioè lei nega questa cosa, anche festeggiando il compleanno del bambino quel giorno lì, che non è quello della sua nascita, il bimbo rileva ancora di più la colpa della sua nascita, in un certo senso.
R.C. Sì.
B.S. Per cui, anche il ritornare del libro fa riemergere che il problema stava nella mamma. Poi, alla fine, insomma tutta la vicenda, sembra che la mamma attraversi questa idea che aveva. E, però, non se ne libera del tutto. Sembra che la tenga addomesticata, che non l’abbia attraversata del tutto.
R.C. Sì certo.
Pubblico È suo figlio, per cui continuerà a pensare a quella data, quindi…
B.S. Cioè, mi dà l’impressione che col figlio l’idea resta, non scompare, ma qualcosa risolve col figlio. Non del tutto. Non è concluso. La traversata non è conclusa.
R.C. Anche perché la traversata occorre farla qui! Cioè, il film offre il pretesto per la traversata. Non c’è da pretendere che la compia, così sarebbe facile. Non ci sarebbe bisogno della lettura che, invece, è necessaria, perché il film ci dà degli elementi, ma chiaramente il caso è da costruire. Non è già dato.
Qui viene proposta una fiaba. E occorre andare oltre la fiaba. Gli elementi per andare oltre ci sono, perché il film, nel suo testo e nelle immagini che fornisce, dà indicazioni.
Innanzitutto occorre non prendere la fiaba come reale. La fiaba non è reale, ma resta fiaba. Che cosa caratterizza la fiaba? Un fantasma materno, un fantasma che si ricava da una serie di fantasie, fantasticherie, enunciazioni. Che cosa racconta, qui, la fiaba? Che il padre è morto. Questo dice la fiaba proprio all’inizio. All’inizio della fiaba che cosa si pone? L’idea che il padre di Samuel sia morto. L’idea che Oscar, il marito di Amelia, sia morto. Ma, Oscar, è morto? C’è effettivamente questa alternativa tra il padre e il figlio?
La fiaba dice che se nasce il figlio, il padre muore! È come Kronos che fa fuori i figli perché altrimenti i figli farebbero fuori lui. È una sorta di riedizione del mito di Kronos, del mito dei Giganti, dei Titani, del mito di Zeus, questo mito dell’alternativa; del mito, se vogliamo, dell’orda primitiva di cui parla Freud in Totem e tabù.
Allora, o il padre o il figlio. Il film si apre con questa alternativa, che è ribadita dalla lettura del Bad book. Ma qual è il Bad book? Qual è il bad book che viene letto all’inizio del film? Non è il Babadook con l’uomo nero. Quel Babadook arriva dopo.
S.R. I tre porcellini?
R.C. La fiaba dei Tre porcellini! Dove si tratta dell’alternativa fra il buono e il cattivo. Posta questa alternativa, segue un certo andamento della storia, segue la serie delle alternative. Tolto l’Altro, allora è tutta un’alternativa tra positivo e negativo, tra bene e male e l’idea di fine impera. Tolta la madre, l’Altro è la morte. Tolto l’Altro, la madre è la morte. Tolto l’Altro, l’idea di fine è l’idea gestionale, è l’idea preponderante. Quel che si presenta è pericoloso, può essere pericoloso, può essere letale, può essere male.
E allora ogni cosa è gravata dall’idea di male, per cui occorre la protezione, l’idea materna della protezione contro il male. Occorre proteggere il figlio. Se il padre è morto, il figlio ha bisogno di protezione.
Ogni figlio che procede dall’idea della messa a morte del padre ha bisogno di protezione, in quanto sarebbe senza padre. Ogni figlio presunto senza padre è bellicoso. È bellicoso perché la sua vita è animata da mostri. Se l’Altro è tolto, se il padre è morto, la paura è sicura, è garantita. Non c’è che paura!
Ma, è necessario che il padre muoia perché questa paura s’instauri? È necessario far fuori il padre, mettere a morte il padre perché la paura sorga? O è sufficiente l’idea, la fantasia che questo sia accaduto o che possa accadere?
La fiaba dice che è necessario, ma il film dice di no. Il film dice che basta l’idea, perché il film dice esattamente dell’idea! E lo dice chiaramente, dall’inizio, che tutta la vicenda narrata è onirica.
È un sogno di Amelia.
Amelia, all’inizio del film, è sbalzata dal sedile dell’auto – con cui si sta recando nella clinica per partorire – al suo letto. Amelia si sveglia nel suo letto. Anzi, non si sveglia affatto. È nel suo letto e sogna. Sogna cosa sarebbe la sua vita “se”… Se non ci fosse Oscar.
Quante volte la moglie pensa che se il marito morisse…, cosa accadrebbe, cosa ne sarebbe di lei, dei figli? Anche il marito può pensare questo della moglie. Qui è considerato il caso della moglie. La moglie che mette a morte il marito.
Se è tolto il padre, indice dello zero, allora tutta la costruzione inerente la sua vita sarebbe soggetta a questo fantasma di messa a morte, e sorge il mostro.
Tutto il film è giocato sull’alternativa tra la vita e la morte, tra il bene e il male, tra il dentro e il fuori. Babadook, che è entrato, deve uscire. C’è un’alternativa tra il dentro e il fuori, tra il bene e il male, tra il positivo e il negativo; c’è l’alternativa, una serie di alternative.
È qui che sorge l’orrore, dalla negazione del due, dalla negazione della contraddizione. Se la contraddizione è negata allora sorge l’alternativa alla contraddizione, e ogni cosa entra nella possibilità di essere o positiva o negativa; entra nella paura, perché la paura è questa: paura del male, della malattia, della negatività, della morte. Morte sempre considerata come l’alternativa alla vita.
C’è un’ampia panoramica di come sarebbe la vita tolto lo zero, tolto il padre. Chiaro che, tolto il padre, anche l’Altro è abolito, non c’è più la trialità del padre, del figlio e dell’Altro, non c’è più la trifunzionalità della parola. C’è la logica binaria.
La logica binaria è la logica dell’alternativa: “o – o”. E ciascuna eventualità è gravata dal pericolo. Questa è la rappresentazione della famiglia per Amelia, una volta posta l’eventualità che Oscar sia fatto fuori. Ma non è necessario che Oscar sia effettivamente morto. Basta l’idea. Basta l’idea di mettere a morte il padre, o il marito, perché si rappresenti questa famiglia, società, scuola, gravata dalla prevalenza del negativo, del male.
Quindi Babadook chi è? Chi è Babadook per Amelia?
Patrizia Ercolani Non può essere che il marito sia stato fatto fuori?
R.C. Quello è ciò da cui procede la faccenda. È un sogno, ma è come se fossero due sogni. Ci sono due sequenze in cui Amelia viene sbalzata sul suo letto. Come se il primo sogno tendesse a concludersi, ma immediatamente riprende e la vicenda prosegue con l’acme.
Se ricordate il film, Babadook, che è appollaiato sul lampadario, entra nella sua bocca. Tanto è vero che Samuel dice: “Ah, lo hai fatto entrare, lo devi fare uscire”. E, infatti, poi lei vomita. Scenografia magica e stregonesca, in omaggio alla mitologia del Malleus maleficarum, attenendosi alla faccenda che, se l’apertura è tolta, se è praticata la sezione dell’apertura, c’è l’alternativa. Non può più esserci l’ossimoro dentro/fuori, ma l’alternativa o dentro o fuori. E ciò che è dentro può uscire e quando è uscito, il male entra, poi esce, sta sopra, sta sotto. È come la fiaba di Barbablù, in cui c’era una stanza dove non si poteva entrare. Poi la sposa entra e cosa trova? I cadaveri di tutte le altre spose. Anche qui, nel sotterraneo, in basso, sotto, si annida il male.
Fino a che vige l’abolizione dell’Altro, fino a che vige il taglio del taglio, fino a che l’apertura è tolta favorendo la dicotomia – bene da una parte, male dall’altra – c’è questa rappresentazione della vita, delle cose, del pericolo di morte. Ognuno può morire, ognuno può essere portatore di morte, portatore di fine, può essere l’assassino, può essere il pericolo.
È molto preciso il fatto che Samuel reagisce sempre quando viene contrapposto al padre morto! Ma quest’idea che Samuel c’è, che Samuel è fortunato perché è vivo, mentre il padre è morto, di chi è? È di Samuel o di chi? Nel film è una fantasia di Amelia.
Che ne è, quindi, della madre quanto alla famiglia? Che ne è della moglie nel dispositivo del matrimonio, della famiglia come dispositivo, se questa famiglia, questo dispositivo è sottoposto all’idea dicotomica, dove l’apertura è tolta, dove il tre è tolto, dove l’Altro non c’è più e tutto è soggetto all’alternativa?
Allora il bambino va male a scuola, il bambino sta male, è un pericolo per le amichette, gli amichetti, i cugini, le cuginette. E l’avvenire è fosco! Questa è la fiaba.
Così, ci vogliono le pasticche per dormire, per sopravvivere, per lavorare, ecc. ecc. Ma tutto ciò non produce la dissipazione dell’idea che esige chiaramente un attraversamento, una traversata, l’analisi di quest’idea, di questa fantasia, e il testo è proprio preciso. Quando Amelia vede l’immagine del marito dice: “Pensavo che fossi morto”. Esatto, pensava! Non è necessario che sia morto, giustamente, basta averlo pensato. “Pensavo fossi morto”.
Il fantasma di morte non è una bazzecola, il fantasma di assassinio nemmeno, il fantasma di sparizione neanche, il fantasma di negatività nemmeno.
Persistendo questa fantasmatica di alternativa esclusiva, il film ci fa vedere che cosa accade nella vita di chi è soggetto a questa credenza. In questo senso, il film è di un grande interesse per la coerenza del testo e delle immagini.
La conclusione può risultare ambigua, come notava Sanavia. Se il fantasma non è dissipato la credenza permane, magari in un angolino, nello scantinato. Dissipare la fiaba rispetto cui x, y o z si crede “segno dell’origine”, esige un lavoro, non è che avviene automaticamente. Esige propriamente il lavoro analitico.
Interessante anche, a un certo punto, che intervenga la differenza tra Samuel e il bambino. Gli insegnanti dicevano “il bambino” e Amelia dice: “Si chiama Samuel”.
Certo, Samuel e il bambino, il bambino e Samuel, senza l’alternativa. Non necessariamente la vicenda narrata è reale. Anzi, costantemente il film dice che non è reale. Il mago cosa dice? “Nulla è come sembra”!
Si tratta di leggere, ascoltare, capire, combinare, collegare e non dare per scontato che ciò che si vede sia reale, ciò che si ode sia reale. Soprattutto che sia tale.
Ci sono altre domande?
Maria Antonietta Viero Persistendo l’alternativa, la fantasia può essere attribuibile a ciascun personaggio del film, della fiaba, quindi non c’è protagonista.
R.C. Ah certo. Qui abbiamo un’indicazione però, che protagonista del sogno è Amelia. Amelia sogna e si rappresenta come sarebbe la sua vita “se”. In assenza di padre, di marito, di Altro.
D.S. Perché si toglie il dente?
R.C. Perché le faceva male. Le faceva male e se lo toglie! Eh, eh.
D.S. Cioè, c’è un’insistenza in questa immagine, che dà fastidio, la mandibola… Poi nel momento cruciale si toglie il dente.
R.C. Sì, tolto il dente, tolto il dolore. È così? Ora non si tratta di far significare ciascun fotogramma del film.
D.S. Però c’è un’insistenza su questa cosa. Vorrei un po’ capire.
R.C. Certo, sì. Lei cosa…
D.S. Non lo so, devo pensarci.
R.C. Ci deve pensare.
D.S. Sì. In questo momento tirerei a indovinare, quindi ci vuole un po’ di tempo.
R.C. Però, oltre a questo dettaglio del dente, il film ci offre tanto altro materiale per ragionare e per cogliere quello che è il messaggio e cioè, che la società normale, così come viene rappresentata, con l’alternanza di bene o di male, poggia su un fantasma di messa a morte, di negazione del padre e di negazione dell’Altro.
Questo è il messaggio e allora sorge l’orrore come negazione dell’apertura. Se l’apertura è tolta, se è tolto il sotto-sopra, il dentro-fuori, senza alternativa, sorge l’orrore. Sorge il mostro e il conseguente orrore.
D.S. Sì, spiega benissimo che il bambino costruisca armi. Nella prima parte del film non fa altro che costruire balestre e varie armi perché vuole colpire il mostro e il mostro…
R.C. No, il bambino non vuole. Occorre partire da questo: il bambino non vuole!
D.S. Cerca di uccidere il mostro.
R.C. Non cerca. Quel bambino, così come è rappresentato lì, è una fantasia di Amelia. È chiaro? Il bambino non vuole. Quel bambino lì è la rappresentazione, è la significazione che si produce da questa fantasia materna di possibile messa a morte del padre.
Così come Atena sorge senza madre, da un’idea paterna, qui abbiamo un esempio di che cosa si costituisca presumendo tolto il padre! Questa è l’indicazione che viene dal film. Questa è l’indicazione, come suggerimento, di quale questione può porsi per un bambino il cui il rendimento a scuola è assolutamente insufficiente o inefficace.
Qual è la fantasia? Di cosa si tratta? Che ha un disturbo dell’attenzione? Che è un bambino difficile? Che è un bambino depresso? Che è un bambino disturbato? Sì, disturbato, ma da quale fantasia? Da quale fantasticheria? Da quale imbrigliamento fantasmatico?
E non va sottoposto a interrogatorio perché confessi il suo imbrigliamento, perché fornirà eventualmente metafore, metonimie, figure retoriche, fantasticherie. Non può dire ciò di cui si tratta, che è ricavabile invece da un lavoro che procede dall’ascolto dei suoi racconti, in cui cogliere le fantasie. Questo sì, perché se questo lavoro non c’è, non è che automaticamente il problema si articola.
M.A.V. Un altro elemento è dato da una puntualizzazione veloce della maestra di sostegno, quando la madre dice rispetto all’intervento della scuola. Dice che c’è bisogno di una…
R.C. Quello lo dice la maestra.
M.A.V. La madre risponde che cosa? Cambia scuola, perché il bambino non si sente affatto…
R.C. Lì la madre reagisce in misura simmetrica e contraria a quello che è l’atteggiamento dell’insegnante. C’è un problema, c’è un pericolo per gli altri e occorre un insegnante di sostegno. La madre dice no, è la scuola che non capisce niente.
M.A.V. Ma il film mette in discussione radicalmente l’insegnante di sostegno.
R.C. Sì, però poi va dal medico, perché vuole le pasticche. Un paradosso no?
Quindi è ricco, è un film molto ricco di spunti, di elementi, che c’introduce a quello che è il tema della settimana prossima Il delirio e la clinica, in cui ci sarà il dibattito, senza film. Mentre tra 15 giorni ci sarà un altro film Gli amici del bar Margherita. Ma, per arrivare agli Amici del bar Margherita occorre passare dal Delirio e la clinica, alcuni elementi dei quali il film già questa sera ce li ha consegnati.
Bene, grazie e concludiamo qui. Buonasera.