Testo pubblicato in “La cifrematica”, 5, La nostra psicanalisi, Spirali, 2008
NOI, L’INFINITO E IL GERUNDIO DELLA PSICANALISI
Quando comincia la nostra psicanalisi? E come? “Nostra psicanalisi” non indica un’appartenenza o una restrizione, ma l’indicazione che essa procede dal ciascuno e dal noi come indice dell’infinito e che attinge alla parola originaria.
Comincia con la domanda che si rivolge alla sua cifra, quando, con la domanda, qualcosa si annuncia instaurando le usure della parola. Infatti, la domanda è accolta in quanto domanda di qualità, non richiesta di qualcosa. La conversione della domanda in richiesta a lungo ha impedito e impedisce ancora oggi in vari strati del pianeta di recepire e accogliere la psicanalisi quale esperienza della parola originaria. Come trovare la qualità se la domanda è colmata, contenuta con qualcosa di sostanziale che nega l’usura?
L’usura è linguistica, la sostanza è termodinamica: in sua presenza, nessuno scambio risulta ammissibile. Con la conversione termodinamica della domanda viene rappresentato e codificato il sistema, la ripartizione fra chi domanda e chi risponde: e questa risulta già la negazione del transfert, la negazione dell’annunciazione, al cui posto segue invece il discorso di padronanza, il sostanziale, la classificazione di ciò che è legale e legittimo quanto alla domanda e alla sua risposta.
Quando Freud ha inaugurato l’esperienza che con lui ha preso il nome di psicanalisi aveva posto alcune questioni essenziali, quali la rimozione, il transfert, l’identificazione, la linguistica freudiana, il sogno, il motto di spirito, ma, dopo di lui, ha preso il sopravvento una concezione della psicanalisi come disciplina della cura, disciplina della terapia finalizzata al ripristino di un presunto status quo ante. Ma, anche con Freud, la guarigione, cui la cura tendeva, era una restitutio in pristinum. E non si poneva la restitutio per integrum, come restituzione in qualità. Era quindi una psicanalisi che per quanto indicasse nella parola e nel suo idioma la sua base e nella materia della lingua la materia intellettuale, rimaneva vincolata al luogo comune che la voleva riservata ai pazienti. Non si può attribuire solo a Freud questa sorta di connotato negativo, che ancora per altro vige nell’epoca della tecnologia della salute. La parola era intesa ancora catarticamente, una parola purificatrice riservata alla cosiddetta “relazione terapeutica”, la presunta relazione fra paziente e psicanalista. Era ancora una psicanalisi “platonica”, una psicanalisi che comportava la riedizione della coppia padrone/schiavo, medico/paziente, curante/curato. Dopo Freud, fino al 1973, quando è cominciata l’esperienza cifrematica inventata e diretta da Armando Verdiglione, sorta dapprima come attività del “Collettivo freudiano semiotica e psicanalisi”, poi proseguita con l’“Associazione psicanalitica italiana”, con il “Movimento freudiano internazionale”, con l’“Associazione cifrematica internazionale” e con i differenti e vari dispositivi che si sono costituiti, dalla casa editrice Spirali/Vel, alla Fondazione di cultura internazionale Armando Verdiglione, alle società di servizi intellettuali, con la Villa San Carlo Borromeo, che ne è l’icona, con il Musem of the second renaissance, con il progetto culturale del Secondo rinascimento, questa impostazione non era cambiata anzi si è assistito a un tentativo d’inscrivere la psicanalisi tra le materie disciplinari dell’epoca, per farne materia morta. E risulta inconcepibile ancora oggi, tra i cultori dell’epoca della ragione illuminista, la ragione della parola, lo statuto intellettuale non finalizzato alla classificazione secondo l’algebra o la geometria, non finalizzato a risolvere in dicotomia il modo della relazione originaria.
Era la psicanalisi dei pazienti e tale doveva restare per sancire la vendetta dei benpensanti in nome della normalità, verso chi intraprendendo questa esperienza intellettuale, pulsionale senza risparmio incrinava tabù e concetti morali vigenti: erano pur sempre anomalie, “pazienti”, appunto.
Anche con Jacques Lacan, o nonostante Lacan, il compromesso fantasmatico che fa della psiche un organo da curare non è stato dissipato. Anzi i “lacaniani” postmoderni si sono affrettati a fare di questo compromesso il loro vessillo per trovare posto nelle istituzioni della morte e nei loro apparati, specializzandosi in particolare nella lotofagia e nella lotoastenia o nella lotoanoressia. Sono diventati così magistralmente padroni dell’arte cannibalica, a scapito dello statuto intellettuale; rinnegando o denigrando lo stesso Lacan.
Questa necessità denigratoria istituita dal compromesso sociale, per essere funzionali al regime sociale, per essere accettati da esso, con la cifrematica non c’è più.
La cifrematica non è un’esperienza di servizio sociale, bensì di servizi intellettuali; essa inaugura il dispositivo di parola e l’esperienza di cifra, con la sua tripartizione dove si tratta di statuti e dispositivi originari. Senza debiti genealogici. In essa cifrante/cifratore è un dispositivo sessuale e non sociale, in cui il ruolo e la posizione sono nella sembianza e risultano inassegnabili.
Sorge così la psicanalisi dove si tratta della cifra e del cliente. L’art ambassador lo statuto intellettuale attuale dell’esperienza, statuto intellettuale del cifrematico, indica proprio questo.
Nell’esperienza cifrematica, dove si tratta della qualificazione, del processo di qualificazione e del modo con cui ciascuna cosa qualificandosi approda alla cifra, ossia al valore estremo, nell’esperienza dove si tratta della valorizzazione di ciò che si è intrapreso e s’intraprende, della valorizzazione di ciò che si fa, il cliente è, per così dire, l’altra faccia dell’art ambassador. Il cliente è lo statuto dell’ascolto, dell’obbedienza. Il cliente ode e fa udire, intende e fa intendere; chiama e annuncia, accoglie e dà mandato per l’istaurazione del dispositivo. Nella sembianza. Tra la gloria e la fama, il cliente. Essenziale al dispositivo della vendita. Dispositivo clinico, di scrittura, cifrale.
“La clinica è il compimento della scrittura della vendita” scrive Verdiglione nel Master dell’art ambassador, (p. 78). “La piega, l’ascolto, la vendita. L’ospitalità è questa.”. Qui dimora il cliente, che giunge con la valorizzazione, non prima. Non si tratta, con il cliente, della variante civile del paziente, dell’utente o del cittadino, che sono altri modi per indicare il soggetto necessario all’apparato sociale del consumo; si tratta di una proprietà del dispositivo di valorizzazione. Qualificazione e valorizzazione indicano con precisione qual è il processo nel viaggio, nell’itinerario in cui si tratta dell’esperienza della parola. Psicanalisi qui indica proprio quest’aspetto. E indica l’altra elaborazione che questo termine ha comportato nell’esperienza che giunge qui a celebrare i suoi 35 anni. Freud in qualche modo aveva inteso che lo sforzo pulsionale è sforzo intellettuale. In Analisi terminata e analisi interminabile (1937) scrive che ciò che è effettivamente determinante “per gli esiti della terapia analitica /…/ è la forza delle pulsioni.”. (p. 31). Ancor più precisata come “forza pulsionale del momento”. Con l’elaborazione di Armando Verdiglione risulta evidente la ridondanza, la sovrabbondanza della locuzione “forza pulsionale”, dove già la forza indica la pulsione. La forza del momento, la forza del dispositivo è la pulsione, lo sforzo, lo stress con le sue condizioni oggettuali e l’altro tempo. L’esigenza della qualificazione e della valorizzazione era avvertita da Freud, che aggiunge a p. 32: “E allora non c’è che la strega”. “Ebbene questa strega è la metapsicologia. Non si può avanzare di un passo se non speculando, teorizzando – stavo per dire fantasticando – in termini metapsicologici.”.
Altrove, parla di perlaborazione del materiale analitico per indicare il procedere nell’itinerario intellettuale. Freud non giunge a precisare la distinzione fra analisi e processo di qualificazione e di valorizzazione. È Armando Verdiglione con la cifrematica a indicare che l’analisi non è che il preambolo del processo di qualificazione, il teorema dell’istaurazione dell’oggetto, così come il transfert non è che l’avvio del processo di qualificazione della memoria, con le usure della parola. Ci voleva Armando Verdiglione come dispositivo: Armando Verdiglione è infatti anche un dispositivo di forza, per sé e per chi lo ha come interlocutore perché il suo intervento è costantemente in direzione dell’efficacia, della conclusione, della qualità. In questo sta la sua generosità estrema, che è la generosità che caratterizza lo statuto di cifrante.
È questa generosità che consente di non dovere stabilire preventivamente quali siano i limiti altrui, le capacità altrui, le risorse altrui, sulla base di classificazioni convenzionali, psicopatologiche. “Non c’è più malato mentale, come limite dell’umano”, “A ciascuno la sua logica a ciascuno la sua impresa”: questi alcuni assiomi della tolleranza della parola cui si attiene e che costituiscono le basi dell’esperienza.
L’erotizzazione del transfert in relazione professionale o personale, lo spostamento dal terreno linguistico a quello deontologico è potuto accadere nella vulgata psicanalitica, per la progressiva disintellettualizzazione della psicoanalisi ridotta a psicoterapia, ossia a normalizzazione ortopedica, per la persistenza del fantasma di padronanza sulla parola, contro la psicanalisi stessa.
Il termine psicanalisi, per Freud, è stato un’invenzione, che però ancora partecipa di un suo fantasma: all’epoca ancora inseguiva la fantasia di un’analisi della psiche, dello psichico, per una forma di psicologia universale inconscia, ritenuta possibile. E intanto, quindi, vagheggiava l’idea dell’ontologia della psiche umana, accanto e nonostante i riscontri clinici della struttura temporale della parola. “Analizzare la psiche” è una formula che ha prestato il fianco, e ancora lo presta, a un recupero della psicanalisi all’interno della medicina, del discorso scientistico, della scienza illuministica. Infatti, con questa formula si potrebbe presumere che la psiche è lì davanti al ricercatore che la può esaminare, sezionare, scandagliare, farne l’analisi, quasi si trattasse di un campione di sangue, di tessuto o di urina.
Questa impostazione è stata coltivata prevalentemente dopo Freud da quanti, estranei per lo più alla psicanalisi, ne volevano affidare il monopolio ai custodi della salute pubblica, come forma tecnologicamente avanzata di cura per dare un assetto totalizzante alla salute pubblica. Ma, la “salute pubblica” è incompatibile con il caso di ciascuno, è incompatibile con la salute come ciò che tende alla qualità del singolo caso. “Salute pubblica” è una formula che sta a significare la salute ideale, che, in quanto tale, mai può accadere. È la formula di una forma di economia della salute e della cura. Infatti, la salute non è standardizzabile, non può riassumersi in protocolli e linee guida appellandosi alla letteratura in proposito o alla statistica ufficiale. Questa è ciò a cui si è ridotta la sanità pubblica per l’assenza di formazione intellettuale dei suoi praticanti, in particolare dei medici che, per paura delle possibili conseguenze, si attengono alle procedure standard senza considerare e ascoltare lo specifico di ciascun caso.
Così, con l’avanzare della tecnologia, la psicanalisi è considerata in questo contesto una forma tecnologicamente meno evoluta, meno economica, anzi del tutto ineconomica, da cui appunto occorre mettere in guardia perché introduce la questione del dispendio. La questione della pulsione, del godimento, del sapere, della verità , trae con sé le implicazioni non economiche della domanda e dell’offerta.
Fugato il principio della sostanza, secondo il quale occorre trovare il fondamento di ogni cosa, inteso come il fondamento di tutto, allora può stagliarsi la parola sul suo principio. La parola è libera di qualificarsi e di giungere al valore.
Il preambolo, l’analisi come teorema, fugando il principio della sostanza, fuga anche il principio soggettivo secondo cui ognuno si crede sostanza. Credersi sostanza o credersi soggetto è la stessa cosa. E la sostanza invita al realismo dei fatti. Solamente quando il realismo sia dissipato e la materia di ciascuna cosa sia la materia intellettuale, la materia della parola, allora il viaggio si avvia. Il viaggio: ricerca e impresa.
Impossibile ridurre l’idioma a un caso di coscienza. L’idioma è inconoscibile. È la logica secondo cui le cose si dicono. La parola è secondo l’idioma. Giungere alla cifrematica esige avere inteso questo. E ancora non basta per dire di sapere di cosa si tratti. La cifrematica non è conoscibile, tra arte e cultura, differenza e variazione. Si tratta di farne l’esperienza. Facendone l’esperienza si acquisiscono i termini della procedura e della scienza. Cifrematica è infatti: scienza procedura e esperienza della parola che diviene cifra..
Una novità per il pianeta.
L’esperienza di cifra è costituita da dispositivi vari, tra cui, imprescindibile, il dispositivo della tripartizione dell’esperienza. Conversazioni di cifratura (di cui l’analisi è il preambolo), conversazioni di narrazione clinica, incontri di lettura con almeno tre cifratori,. Possiamo dire: la conversazione per la qualificazione, la conversazione per la clinica, la conversazione per la cifra. In ciascun caso si tratta del dispositivo cifrante/cifratore.
Accanto al dispositivo della tripartizione, altri dispositivi concorrono ad arricchire l’esperienza: equipes di ricerca, di scrittura, organizzative, conferenze, dibattiti, congressi, dispositivi economici, finanziari, pragmatici. E l’assemblea, che al suo sorgere era dispositivo della testimonianza; testimonianza di quel che si fa, ora si precisa come dispositivo d’impresa proprio in quanto la testimonianza è costitutiva, con il suo racconto, della struttura dell’Altro; è costitutiva del pragma e dell’impresa.
Tutto ciò concorre alla scuola. Non tanto scuola di cifrematica, dove potrebbe alimentarsi il fantasma di imparare, di apprendere, stando a guardare o a udire qualcosa, ma scuola di vita. La cifrematica è scuola di vita.
Chi intraprende la cifrematica, intraprende la scuola di vita, per il bello della vita. Per la sua qualità. La cifrematica propone il conseguimento dello statuto intellettuale.
La scuola di vita non cessa mai la sua attività. Anzi i suoi dispositivi possono aumentare, aggiungersi, incrementarsi.
Per la psicanalisi, è essenziale l’associazione psicanalitica, quale occasione di articolazione del fantasma materno con l’istituzione di altri dispositivi di ricerca, di formazione e di insegnamento, d’impresa, di gioco, di arte e di lavoro, di arte e di cultura, di scrittura dell’esperienza, di qualificazione dell’esperienza, di riuscita. L’associazione con l’assemblea, le équipe, le conferenze, i seminari, i dibattiti, i congressi, le mostre e altro, va in direzione dello statuto intellettuale. Si tratta di dispositivi non finalizzati, non già a fine di bene, in cui insegnamento, formazione, educazione, arte cultura, invenzione istituiscono la città dell’ospitalità.
La questione della domanda e la questione stessa della vivenza. Una domanda che non sfoci nell’istituzione di dispositivi intellettuali è sterile. Ossia non affronta la questione della sessualità, della politica del tempo. I dispositivi clinici, cifrali, organizzativi, redazionali, editoriali, artistici, scientifici in quanto dispositivi di parola, dispositivi intellettuali, sono dispositivi di cura. Per la qualità. Sono dispositivi che consentono per ciascuno l’introduzione delle cose nell’arca. Nella vita originaria, senza più l’idea del passato e il suo ricordo. Sono proprio i ricordi a costituire il freno alla cura contenendo l’audacia e il rischio.
Il dispositivo di parola è dispositivo di ospitalità, di tolleranza, di accoglimento, secondo il modo della generosità, dell’umiltà, dell’indulgenza. Dispositivi del privato e del pubblico senza contrapposizione.
Dispositivi senza maternage, senza assistenza, senza protezionismo: dove si tratta di un’altra societas e non della riproduzione economica della relazione sociale. Dispositivi di scommessa per l’avvenire. Osando, rischiando, facendo, cifrando.