Settimo capitolo del volume La realtà della parola
La morsa dello psichismo tra demonologia e organicismo.
Ma c’è la parola, che non si può togliere.
Ruggero Chinaglia Forse non lo abbiamo ancora pubblicato, ma il programma c’è. E dopo questa sera, cosa annovera il programma? La settimana prossima, cioè il 14 aprile, ci sarà la lettura di Tutto sua madre, con un primo dibattito al termine del film. Il 21 aprile prosegue il dibattito che s’intitola Mimetismo e sessualità. Giovedì 28 aprile interviene la lettura del film Dio esiste e abita a Bruxelles, con il dibattito al termine, che poi prosegue il 5 maggio con il titolo Il padre debole e il figlio ribelle, indagando le questioni che procedono dal film con altri elementi.
Questa sera, credo sia noto, il titolo è La morsa dello psichismo tra demonologia e organicismo. Ma c’è la parola, che non si può togliere. E questo dibattito procede dalla lettura del film Inside Out che abbiamo fatto il 17 marzo.
Intorno a Inside Out, occorre dire, ci siamo intrattenuti altre volte, perché si tratta di un film che, attraverso varie complicità e varie combinatorie, persegue un’ideologia ben precisa: sostituire alla questione intellettuale la questione di uno psichismo universale, comune, confezionato, che oggi trova l’avallo di istituzioni e parrocchie varie, che va sotto il nome di comportamentismo e neuroscientismo.
“Comportamentismo” è un termine specifico, che addirittura si tenta di evitare per non dare l’idea di passatismo. Oggi si chiama neuroscienza tutto ciò che annovera questa ideologia dello psichismo, e che è la riedizione del comportamentismo, né più né meno, attraverso l’elogio delle emozioni. Non c’è più ragionamento, non c’è più calcolo, non c’è più questione: c’è emozione. Emozione come reazione allo stimolo. Al posto del cervello c’è un apparato molto semplice, che è un apparato di riflessi. Una volta si chiamava apparato spinale, arco spinale, riflesso spinale: botta e risposta. E questo è quanto viene proposto attraverso una enfatica denominazione di intelligenza emotiva, di neuroscienza, di qualsivoglia terminologia venga usata, che ha solamente lo scopo di riproporre la base organica, sperimentale di ciò che accade. E tutto ciò negando la parola, negando la particolarità e proponendo invece un mero apparato che possiamo indicare, intanto provvisoriamente, come psichismo.
Non è negato che ci sia una componente psichica, ma cosa viene a indicare il termine “psichico”? Viene a indicare un presunto “apparato psichico” indefinito, indefinibile, vago, ma che deve avere la sua base di localizzazione in un posto ben preciso, nell’encefalo. E il suo funzionamento è dettato dalle modalità del funzionamento organico.
Intellettualmente parlando, si tratta di mettere in questione, di analizzare, di elaborare, di non accettare questo funzionamento organicistico.
La non accettazione intellettuale non è il respingimento di un’ipotesi, di una proposta. Non si tratta di essere d’accordo o in disaccordo. Non si tratta di essere dissenzienti perché, così come nei confronti di un regime o di una ideologia, ogni dissenso ha una funzione conservatrice.
Quindi, c’è qualcosa da fare, e si tratta di capire cosa e come.
Se ci sono questioni o domande attorno a questo, possiamo raccoglierne qualcuna, tenuto conto che è un dibattito già in corso, nello specifico della questione, già da dicembre e, nella sua varietà e vastità, da una quarantina d’anni. Non è che la questione si ponga solo ora.
Quando un’operazione di tale vastità, che ha chiaramente il disegno di proporre come messaggio universale il cervello come consolle, come “quartier generale”, il cervello come abitato da quattro, cinque emozioni che indicherebbero come e quando avviene un atto nella sua complessità, quando tutto ciò dilaga, non si può rimanere indifferenti! Soprattutto non si può non considerare che evidentemente la vastità di questa proposta è planetaria.
Com’ è noto la Walt Disney Company è una delle case cinematografiche – vorrei dire farmaceutiche – maggiori nel pianeta, unitamente alla Pixar che è il suo “braccio armato” digitale e con la consulenza che è stata offerta dall’Istituto per il comportamentismo di Boston, questa collaborazione incrociata la dice lunga. Quel che ne risulta non è un film di puro divertimento. È un film che apparentemente si rivolge ai bambini e ai giovani, in quanto cartone animato, ma è chiaro che il messaggio vale per tutti. I bambini non vanno al cinema da soli, sono accompagnati dai genitori. Questo è evidente.
Se ci sono notazioni o domande è il momento di farle, altrimenti andiamo avanti. Capita spesso di sentire il termine “psiche”, il termine “psichico”, come pure quello di “funzioni psichiche”. E in linea di massima, ognuno è d’ accordo che, sì, ci sono funzioni psichiche che indicherebbero cosa? Che c’è un’attività della mente. E quindi c’è qualche cosa che si contraddistingue per avere una funzione direttiva rispetto a altre azioni, e questa sarebbe la funzione psichica. Ma come avviene la funzione psichica, dove sta, a che cosa si rivolge? Se cercate nei manuali, trovate che l’attività del cervello così come viene studiata dalle neuroscienze, dalla psicologia, dalla psicobiologia, dalla psiconeurologia, dalle tante branche della “scienza” epistemologica, produce le funzioni cognitive superiori e quindi attiene a tutto ciò che consente di sentire, avere sensazioni, percezioni, addirittura avere pensieri. Tutta questa attività cerebrale deve essere regolamentata dall’apparato, da un sistema di controllo che è esercitato dai mediatori chimici, in modo che risulti conforme a un apparato di genere.
Nei manuali, ciò che è psichico, e quindi fa parte di psiche e mente come apparato di controllo del comportamento, della condotta umana, costituisce l’attività del sistema nervoso. Questo trovate nei manuali, nei dizionari, nei libri attorno a ciò che inerisce allo psichico. Anche Freud è incorso in questa formula: l’apparato psichico. E se andiamo a scorrere la letteratura psicanalitica, quasi ogni autore che abbia caratterizzato la storia della psicanalisi ha indicato un suo modello di apparato che doveva indicare come avviene il funzionamento psichico. Quindi un modello sistematico.
La questione che in qualche modo accomuna la storia della psicanalisi con la storia della psichiatria è proprio questa: l’idea di un sistema che possa giungere a un sistema psicologico, quindi a far sì che l’attività psichica umana sia prevedibile.
Ci eravamo lasciati il 17 marzo proprio con la questione posta da una frase che in Inside Out interviene prima che comincino a scorrere le immagini del film stesso. Una voce narrante a cui quasi non si dà ascolto, come accade che raramente si dia ascolto a qualcosa che proprio non sia a chiare lettere. E cosa dice questa voce narrante? Dice che ha incontrato Riley, una bambina, e si chiede: quando incontrate qualcuno vi siete mai chiesti che cosa passa per la testa a quella persona? Ebbene, io lo so, dice la voce narrante. Perché lo sa? Perché è un’emozione che sta alla guida del comportamento. È un’emozione governata dal modello stimolo-risposta che rende prevedibile la condotta, il comportamento, quello che accadrà. È questo il miraggio di ogni scienza o disciplina che confluiscano nel modello scientistico di rendere riproducibili gli atti.
Dove sta il carattere scientifico, oggi riconosciuto tale? Sta nella possibilità di riprodurre qualcosa che è accaduto prima. In questo si riassume l’esperimento: ciò che è ripetibile, date le condizioni in cui è avvenuto. Questo è ciò che esige il sistema, perché al di fuori del sistema nulla è ripetibile. Manca propriamente la possibilità di una rete di coordinate che possa rendere ripetibile qualcosa nel contesto infinito.
Intanto, l’ipotesi è questa: c’è un contesto finito in cui le cose sono prevedibili e ripetibili. Questo è il modello dello psichismo vigente. In questo contesto, ognuno ha il diritto di avere le sue idee, di attenersi alle sue idee, alle sue credenze, ai suoi principi per non contraddire la propria identità. Ognuno ha il diritto alla propria identità. Cos’è questa identità cui ognuno ha diritto? È l’idea di sé, che procede dall’origine, dalla sua idea di origine e da cui si prefigura un’idea di destino. Ognuno ha la sua identità rappresentata da questo cerchio, in cui l’idea di origine e l’idea di destino vengono a coincidere.
Ognuno è questo, ognuno ha la sua identità; ognuno si attiene a questa identità e crede che in questa identità stia la sua libertà, che sarebbe, come ricordava recentemente in televisione un noto opinionista sportivo, che adesso è diventato tuttologo per via delle origini da cui proviene, coincidente con l’idea che ognuno ha il diritto di fare quello che vuole. Ognuno ha il diritto di fare quel che vuole perché questa è la sua identità, altrimenti verrebbe contraddetta la sua identità, la sua libertà, la sua soggettività.
Questa è la base dello psichismo: la soggettività. Ognuno, in quanto soggetto, si attiene ai postulati della sua origine, di ciò che ritiene essere la caratteristica dell’origine. Questi postulati non sono reali, ma fantasmatici e ognuno se li pone innanzi, a costituire la rotta del suo cammino. Quindi, non c’è più bisogno di una bussola, non c’è più bisogno di un programma, non c’è bisogno di un disegno, di un progetto: la rotta è già tracciata dal postulato dell’origine da cui consegue il destino perché la via è retta. Questi postulati tuttavia non è detto che siano conosciuti, che siano coscienti, che siano noti per volontà, ma sono rappresentati, sono ben rappresentati dall’idea di sé e dall’idea dell’Altro, cioè dalla negazione di sé e dalla negazione dell’Altro. E occorre che non siano smentiti da ciò che questo soggetto dice e fa. È qui il cerchio della soggettività.
Possiamo chiamare questa circolarità il compromesso sociale, che segue il compromesso fantasmatico tra l’origine e il destino. Cosa occorre avvenga perché questo compromesso sia mantenuto? Occorre avvenga il contenimento della domanda. Non c’è domanda nello psichismo. C’è comportamento, c’è reazione rispetto a uno stimolo. Oggi si chiama input, tecnologicamente. All’input segue la risposta come reazione. E tutto ciò occorre sia contenuto dalla negazione del sé, quindi dalla negazione dell’oggetto, dalla negazione dell’ostacolo e dalla negazione dell’Altro, cioè dalla negazione della differenza assoluta a favore di una intersoggettività che regola la relazione. Questa costruzione nega assolutamente la parola, perché la relazione, qui, è il prodotto di un compromesso, anziché essere ciò da cui procede la domanda stessa. La domanda procede dalla relazione, cioè procede dall’apertura. Non si costituisce in relazione, a seguito di un processo.
È il rovesciamento rispetto alla parola, alla sua natura, alla sua struttura, ma questo è funzionale all’ideologia vigente, che è l’ideologia della vendetta basata sul capro espiatorio. Solamente togliendo l’apertura può trovare sostegno questa ideologia che nega la tolleranza, nega l’indulgenza, nega la necessità di capire come e perché qualcosa avviene, attribuendo invece alla natura del soggetto il motivo, la ragione per cui qualcosa avviene. Stante questo rovesciamento che toglie la ricerca, l’indagine su come e perché accade qualcosa, assistiamo giorno per giorno all’elogio della vendetta attraverso i media, dove apparentemente attraverso la riprovazione comune, collettiva, viene diffusa l’informazione che Tizio ha ucciso Caio, che Caio ha ucciso Sempronio, che Caio e Sempronio hanno ucciso Felicino, che tutti e tre hanno ucciso chi la moglie, chi il marito, chi l’amante, perché all’interno della coppia vittimista qualcosa si è prodotto come variazione non articolabile, non articolata, non analizzata, tale da produrre l’idea della fine del tempo, intesa come rottura.
Rottura che però non può restare impunita, ci deve essere pure un colpevole. Questo colpevole va punito. E ognuno si promuove esecutore della condanna.
Ma ciò non avviene per caso. Ciò avviene a seguito della negazione della parola, cioè della particolarità, della dissidenza e della struttura. La struttura è imprevedibile, incalcolabile, non può essere colta che apre-coup. Certamente, non prima che qualcosa accada.
Questa negazione della parola la potete cogliere, in atto, quando per esempio vi sentire dire che occorre fare qualcosa per evitarne un’altra. Non per fare qualcosa, per giungere da qualche parte, per compiere un disegno, un progetto, no, per evitare che ne accada un’altra, che possa costituire un problema, un inghippo. La negazione della parola avviene, in molti casi, per evitamento, per evitare qualcosa, per evitare il male, perché potrebbe accadere qualcosa di male, costituendo un impedimento a un’altra cosa. Questa è già la negazione della parola. Non è che bisogna andare in chissà quali mondi strani. È qualcosa dell’ordine, non dico del giorno, ma del minuto, del secondo. “Non posso fare questo perché altrimenti…”. Così, si nega la parola.
Ci si erige come soggetti, cioè come affezioni psichiche. Il soggetto è un’affezione psichica, è affetto da psichismo. Il soggetto è questo: l’affezione di psichismo. Quindi, ognuno si assegna uno psichismo già nel momento in cui crede di dovere o potere evitare qualcosa. E poi l’evitamento ha varie forme, vari modi: dall’astensione, alla dimissione, alla rinuncia. “Devo rinunciare a questo, altrimenti…”. Anziché l’altrove, l’altrimenti. Cioè ognuno è sottoposto al ricatto da se stesso. Non posso fare questo né quello, perché altrimenti… Altrimenti l’Altro. Interverrebbe qualcosa di Altro, che assolutamente bisogna evitare.
Quindi, la rinuncia, l’abdicazione, la sparizione rispetto alla domanda. Piuttosto che discutere, me ne vado. Piuttosto che intervenire, piuttosto che…, mi astengo, rinuncio. Faccio come se questo non ci fosse, non mi interessasse, non mi importasse. Ognuno si astiene. E qui c’è la negazione. Cioè non è formulabile nel modo: io nego questo. No. Questa è la negazione di fatto della particolarità, della dissidenza della parola a favore di una concettualità, di una rappresentazione, di una presentificazione di qualcosa cui attenersi. Che cos’è questo qualcosa? Un pregiudizio, un fondamento, un postulato non analizzato, che supporta l’idea di origine.
Negare la parola vuol dire anche negare i suoi indici, negare il padre, negare la madre, negare l’Altro, negare l’amore, negare l’odio e volgerli in soggettività e transitività. E allora, fantasma di genealogia, fantasma di appartenenza, fantasma di violenza, fantasma della transitività dell’amore e dell’odio e presumendo di diventare oggetto d’amore, oggetto di odio, senza cogliere la struttura.
Indagare sulla struttura, cosa comporta? Accorgersi che non c’è conoscenza, quindi che il presupposto dell’identità si dissipa e che ognuno, se bada alla struttura, certamente non può conoscersi. E se giungesse a conoscersi sarebbe rovinoso, perché vuol dire che il cerchio della morte si è compiuto.
Domanda finita. Tempo finito. Tempo scaduto. Allora tutto ciò che sta attorno a questo compromesso, che si avvale dell’idea di conoscenza e di competenza, e che quindi mira al compromesso gnostico di una coscienza delle cose, tutto ciò contribuisce allo psichismo, e se ne avvale! Ma potrebbe ancora sembrare una cosa di un certo interesse, perché, “psichismo” sembra una funzione nobile, una funzione superiore, perché in questo sistema, chiaramente, qualcosa sta sopra, qualcosa sta sotto. L’importante sarebbe stare sopra.
Ma cosa indica il termine psichismo nella terminologia cosiddetta scientifica, giusto per dissipare le residue speranze di chi ci tiene a appartenere a questo contesto? Lo psichismo sarebbe ciò che caratterizza quel che è comune agli animali, quindi funzioni accomunanti l’uomo con gli animali. Oppure, nel caso più eclatante e specifico, la dotazione di chi soffre di minorazioni mentali. Lo psichismo sarebbe quella funzione primordiale che non si nega nemmeno a chi soffre di minorazioni mentali: “funzioni psichiche scarsamente differenziate che caratterizzano gli animali e le persone mentalmente minorate, cioè riflessi, reazioni, psichismo”.
Questo trovate se esplorate dizionari, enciclopedie, manuali. Il manuale è fatto della copiatura di altri 3 manuali, ma sempre quello è, altrimenti che manuale sarebbe? Il manuale serve a dare prescrizioni e quindi l’ideologia su cui si sostiene, è comune. Ogni manuale si sostiene su un’ideologia comune. E non ci sarebbe psicologia, senza lo psichismo. Impossibile. Non ci sarebbe nemmeno la psichiatria. Non ci sarebbe tantomeno l’antropologia criminale, la criminologia, perché lo psichismo prescrive qualcosa: l’ontologia e l’innatismo. Semplice.
È solo a partire da questo che allora può sorgere la domanda popolare che chiede: “Ma in una circostanza così, cosa bisognerebbe fare? In un caso come questo, cosa dovrei fare?”. Allora sorgono i “casi così”, le circostanze simili a questa, che implica il processo per analogia.
“Cosa dovrei fare in un caso del genere?”: qui l’analisi, non diciamo che non se ne parla, ma proprio non può entrare, non trova non dico accoglienza, ma neanche sede possibile, in questo discorso universale e universalistico, dove ognuno sta nel caso altrui! “Ma gli altri cosa farebbero in un caso così? Cosa farebbero gli altri al mio posto?” Complimenti! “Oh, gli altri che starebbero al mio posto, chissà cosa farebbero.” Questi enunciati ricorrenti ndicano l’ideale di normalità cui ognuno, ogni soggetto, tende, per rimanere invischiato nella soggettività, nella intersoggettività.
Nessuno si chiede: “Ma perché in quella circostanza ho fatto così? Perché è accaduto così? Per quale giro?”No! “Cosa dovrei fare in un caso così! Quale sarebbe il giusto comportamento in un caso così?” Come se esistessero i casi così! Come se potesse riprodursi o accadere un’altra volta un caso così, per cui potrei avvalermi di quanto accaduto prima, per non sbagliare ancora. Quale chiusura più ermetica di questa? Nessuna. Questa è la chiusura. E in seguito a questa chiusura, è possibile chiedere il vademecum del comportamento. E la cosa triste è che c’è chi lo fornisce. Quindi, lo psichismo soddisfa il fantasma di padronanza e di possessione: come padroneggiare le cose, come padroneggiare la domanda, la risposta, il modo, il tono, come sapere come fare. Lo psichismo dovrebbe sapere come fare. Non capire il da farsi, ma sapere cosa fare nei casi così. E questa è l’ideologia vigente, questa è la scuola di pensiero vigente, questo è prodotto nella scuola, è propalato nella scuola, è insegnato nella scuola. Ivi compresa l’università. Questo è insegnato in ogni apparato burocratico, dove non c’è la domanda, non c’è la parola, perché è espunta. Non è dato il caso della parola. È dato il caso per analogia. È data la pluralità dei casi, cioè la clonazione, il principio di clonazione, abolendo la differenza. Non c’è molteplicità. C’è la clonazione. Quindi pluralità. E ogni cosa deve entrare nel generico, nel caso mentale, nel caso spirituale, nel caso ideale, perché non c’è lingua. Non c’è parola e non c’è lingua. Quindi, lo psichismo è extralinguistico. È per soggetti muti, in quanto parlano una lingua muta, una lingua che deve essere normale, normalizzata, senza parola, senza afasia: la lingua comune, la “nostra lingua”, la lingua “de noantri”, la lingua della condivisione: bisogna condividere le emozioni. Bisogna condividere lo psichismo.
La condivisione è la modalità con cui si produce il suddito della verità extralinguistica. L’idea di condividere qualcosa è un’idea che espunge il tempo, espunge l’Altro, espunge la differenza e rende possibile, attraverso queste varie espunzioni, condividere, cioè togliere la divisione, il tempo.
Tolta la divisione diventerebbe possibile comprendersi, condividere, apprezzare allo stesso modo le stesse cose che quindi diventano cose comuni, senza comunicazione, ma cose della comunità. Una comunità che ha abolito la lingua in nome dello psichismo. Ciò che caratterizza lo psichismo è non avere varchi, quei varchi di cui si avvale il transfert: i varchi della metafora, i varchi della metonimia, i varchi della struttura.
Lo psichismo insegue un continuum senza varchi, perché il varco diventa una complicazione. Nella metafora, non vige più il principio di genealogia, ma c’è una sostituzione che non può essere significata per analogia, una sfumatura che non può essere assimilata a un’altra. L’interpretazione non è accomunante: indica che dopo un varco se ne fa un altro. Anche cercando di suturare il varco, l’interpretazione ne apre un altro. E così la ripetizione.
I buchi, i varchi. Anche nel cosmo, i buchi nell’universo sono più importanti delle stelle e dei pianeti. Adesso attraverso i buchi giunge la conferma che non c’è continuum, non c’è sistema, non c’è un movimento costante. Anche l’universo si espande e si contrae, la teoria del big-bang è fasulla.
Le fantasie, una volta entrate nel racconto, incontrano la parola, quindi la particolarità, la specificità, la distinzione, l’eventualità della cifratura. Nulla è ontologico, nulla è dato, nulla è tolto. Non c’è senso standard delle cose, sapere standard, conoscenza, valore standard. È incredibile questo paradosso dei valori comuni. Gli assoluti comuni, l’ assoluto relativo. No. Il valore è assoluto. È valore assoluto. Non c’è un valore condiviso, partecipato. No, è la questione del qualis!
Il valore è ciò che risponde alla questione del qualis, quindi della qualità estrema. Non possono esserci due estremi dello stesso qualis, due versioni dello stesso qualis. In ciascun caso il qualis è assoluto. Non può essere relativizzato. Il meno che si possa dire è che lo psichismo è purista, sia esso pertinente all’apparato medico, medico-legale, giudiziario, psichiatrico, politico, sociale. In breve lo psichismo è fondamentalista. Psichismo cristiano, psichismo islamico, psichismo ebraico. Psichismo. Si tratta sempre di un caso di fondamentalismo perché è tolta la domanda. Tolta l’apertura, tolto il funzionamento, la distinzione, la dimensione, cosa resta? Una rappresentazione sostanzialista.
Si può notare che l’adozione dello psichismo avviene dove c’è il riferimento alla psicopatologia. Ogni riferimento psicopatologico è un riferimento allo psichismo, cioè a un sistema regolato dall’alternativa fra il bene e il male, fra il positivo e il negativo, il sopra e il sotto, il dentro e il fuori.
C’è una sorta di paradosso riscontrabile anche nella manualistica psicopatologica. Negli ultimi 40 – 50 anni, il numero dei cosiddetti disturbi di cui si fa l’elenco psicopatologico è passato da qualche centinaio a svariate migliaia. E questo è un dato interessante: nemmeno lo psichismo vale a evitare la varietà, la variazione e la differenza che sono incontenibili e che esigono sempre nuove formulazioni per essere rappresentate. Quella che sembra una modalità raffinata, tecnologica e scientistica della diagnostica planetaria, è un indicatore che la parola non può essere evitata. E anche la più ferrea volontà di stigmatizzare come disturbo la variazione, deve ricorrere costantemente all’invenzione di nuovi disturbi, perché il principio analogico del disturbo va in scacco. Quindi, quella che sembra una modalità tecnologica per la precisione si può leggere in un altro modo: la precisione diagnostica va in scacco, in quanto esige costantemente di aumentare il numero delle diagnosi: due diagnosi, pur contigue, non valgono a rappresentare e riassumere il disturbo che dovrebbero diagnosticare in un caso e in un altro. È evidente. È una moltiplicazione inevitabile.
L’idea di un apparato psichico è un cedimento al fantasma di padronanza e al fantasma di possessione, all’idea di poter racchiudere in un insieme finito le cose per riuscire a prevederle. Ma quanto dicevo prima della estensione planetaria dell’ideologia che si avvale dello psichismo, mette in questione anche coloro che asseriscono di situarsi in una pratica di psicanalisi.
Se la psicanalisi oggi è anche definita essere la forma eminente di psicoterapia, ciò è dovuto all’uso dello psichismo assegnato come paradigma universale e quindi anche psicanalitico. Paradigma che non solo è stato imposto da funzionari dell’apparato giudiziario, (con quale cognizione?), ma è stato accettato da chi temeva l’esclusione dall’apparato dei funzionari psichici: sono coloro che temendo di non essere annoverati tra gli psicanalisti o gli psicoterapeuti del funzionariato psichico, hanno aderito al riconoscimento di uno psichismo di riferimento, condividendo la diagnostica psichiatrica. Ma, non può esserci nessuna omologazione, se non negando la parola e la sua esperienza.
L’adesione allo psichismo è la negazione della psicanalisi come esperienza della parola, con il suo svilimento a pratica psicoterapica, che lo esige per definizione.
C’è un compito che riguarda ciascuno non coinvolto nel compromesso fantasmatico e sociale dell’intersoggettività: il compito di non partecipare all’ostracismo della parola, alla sua negazione, alla sua denigrazione, alla sua degradazione, di non partecipare al toglimento della sua dissidenza, della differenza assoluta, della varietà, al toglimento della libertà di divenire cifra, che non è una promessa o un destino, è un’eventualità.
È un’eventualità che la parola divenga cifra. Non è una promessa. Non è la promessa della soddisfazione assicurata. Occorre conquistare la soddisfazione. Questo compito intellettuale non è demandabile, non è delegabile alle generazioni future. E è il compito di chi constata di vivere nella parola. Vivere nella parola non è vivere nella torre d’avorio, nell’isolamento di una pace ecumenica, in un’atarassia conquistata soggettivamente. È il compito che esige la testimonianza, esige di non restare insensibili a quel che accade attorno a ciascuno di noi.
Allora possiamo dire “noi”, se questa indifferenza soggettiva è dissipata.
Se ci sono domande di precisare qualche altra questione, prego.
Fabrizio Moda In questa logica e struttura della parola, a proposito del cervello, l’encefalo avrà un supporto dove possa funzionare. Cioè, se uno perde una gamba non è che la parola viene meno, così come un pappagallo non sembra usufruire di questa logica e quindi sembrerebbe che sia l’encefalo o quantomeno che l’encefalo partecipi al funzionamento di questa logica. C’è un centro della fame, della sete, del respiro, ma un supporto dovrà pur esserci, nell’encefalo intendo.
R.C. Eh sì. Ci deve pur essere un Cristoforo che porti Cristo sulle spalle, dice lei. E si chiede dove sta il supporto, qual è il supporto. Poi? Ci sono altri? Si?
Elisa Ruggiero Mi chiedevo se la competenza linguistica è il risultato di ricerca, studi, educazione; se è un risultato di ricerca, studio, educazione conforme all’umano e per certi versi potrebbe anche essere un efficace esercizio di potere verso lo studioso.
Lo psichismo si può diversificare in gradi e quindi può diversificare in gradi anche la volontarietà? Accomuna nella volontarietà solamente per dei tratti che lo rendono conforme? E quindi la differenza teoricamente comporta la qualità e ciò che emerge come nuovo nella combinatoria effettuata da quello che non è più quindi un soggetto? Ovvero lo “studioso”? Chiamiamolo ricercatore. In sostanza c’è una forma di volontà comune che indicizza uno psichismo fondamentale, mentre un grado differente di psichismo giunge a cogliere anche aspetti altri, quindi creando una differenza?
R.C. No, c’è solo quello fondamentale.
E.R. Solo quello fondamentale. Però effettivamente nel sociale si avvera una diversificazione, cioè nel senso che se ci sono persone conformi e normali ci sono anche persone anticonformistiche e con tratti differenti. Però, questa differenza che si evidenzia viene considerata come patologica, come anomalia, Cioè non viene interpretata? Cioè non riesce a essere classificata? E se viene classificata diviene patologica, oppure conforme? Perché se si classifica come conforme non è più una cosa nuova. E allora fa parte dello stesso psichismo?
R.C. Esatto. È preciso. Fa parte dello stesso psichismo. La classificazione stessa appartiene allo psichismo. Brava. Altri? Altre domande?
Maria Luisa Biancotto Mi chiedevo se c’era ricerca scientifica, senza psichismo.
R.C. Ecco, ricerca si. Ricerca scientifica è più difficile, data l’accezione che ha questo termine. Oggi non è data ricerca scientifica in assenza del processo di verificazione e falsificazione, quindi del processo stesso di validazione per cui qualcosa venga riconosciuto scientifico, cioè appartenente al sistema. Scientifico oggi vuol dire sistematico.
M.L.B. Ci sono scoperte della fisica la cui difficoltà è proprio di riuscire a captare degli avvenimenti in cui sta accadendo qualcosa e quindi ogni giorno c’è una scoperta nuova, in pratica. Scoperte nell’universo in cui qualcosa accade e capita di non riuscire in alcun modo a renderlo percepibile, visibile.
R.C. Forse la fisica deve ancora iniziare il suo cammino, perché i suoi esponenti non hanno ancora accolto l’eventualità dell’invenzione. Ritengono che tutto ciò che costituisce oggi l’inventario della fisica sia stato scoperto. La fisica partecipa di un’ideologia ontologica e questo è il suo limite. Nelle faglie di questa ideologia ogni tanto emerge qualcosa di imprevisto, che però deve essere recuperato all’interno della scoperta. Cioè si deve dimostrare che stava già lì. Quindi, anche la fisica partecipa del fantasma di ontologia e di innatismo. Non c’è da coltivare speranze di un apporto della fisica alla parola, perché la fisica è alla ricerca di ciò che c’era già e che può solo venir scoperto. Cioè nega il processo di invenzione. Anche il processo di abduzione, con cui alcune leggi sono state inventate è negato. Sono state scoperte dicono. Le leggi c’erano già. Per poi accorgersi dopo tot di anni, che in realtà non era proprio così, era un po’ differente. Però tant’è. Non c’erano i mezzi per stabilirlo. Quindi sempre si tratta di scoprire cosa c’era già. E la ricerca è sempre dell’origine. Questo è il problema.
M.L.B. Dovrebbe essere la ricerca delle leggi.
R.C. Sì, ma la ricerca delle leggi è ricerca che dovrebbe fornire la chiave dell’origine. Questo è il limite che si auto infligge anche la fisica, che poi chiaramente si insinua nelle faglie di questa ideologia, a cui peraltro partecipa. Che la ricerca per via della tecnologia si avventuri nell’ambito del sempre più distante o del sempre più piccolo, non garantisce un altro modo o un’altra ricerca .
M.L.B. Ma le scoperte che stanno venendo fuori stanno sconvolgendo proprio la logica, la stanno spiazzando.
R.C. Stanno sconvolgendo la credenza, non la logica.
M.L.B. La logica con cui sono stati fatti gli esperimenti.
R.C. Stanno sconvolgendo le credenze. Credenze su cui da tanto, tanto tempo si era assiso il consesso disciplinare. Certo, ma non mi pare che possa dirsi in questione la logica.
M.L.B. Ci sono molte questioni proprio difficili che riguardano l’esperienza e la legge che sottende l’esperienza, cioè la vita: l’esperienza, la sua vita e la sua legge. Legge di vita.
R.C. Legge di vita.
M.L.B. Insomma la vita e i suoi comandamenti, chiamiamoli così.
R.C. No, la vita e la sua legge è interessante, la vita e i suoi comandamenti è religiosa. È in vigore da tanto. Si ricorda Morandi?
M.L.B. Allora, credo che vi sia un atto con cui l’essere umano cerca di darsi ragione di ciò che accade, e quindi di ciò che vive. E quando, come dire, capita di avvertire che c’è una logica anche nelle cose che accadono, e quando accade qualcosa che rompe questa logica, l’essere umano continua a insistere per capire cosa sta accadendo. In questo senso potrebbe essere che uno sia portato a ricercare delle leggi. Che poi anche una serie di risultati li abbia già sfornati il sistema, un sistema perché tutto sia sotto controllo, è una questione che va lontano: ne va della gestione, del potere, ecc. ecc. ma, istintivamente, ciascuno si pone questioni di cos’è la vita, quali sono le sue leggi e secondo quale logica accadono le cose e perché; a volte, mancano degli anelli che diano risposte effettive rispetto a quello che accade e si esce magari dalle aspettative, quando non c’è giustizia rispetto a un investimento, rispetto a un percorso e sembra che la vita non ti ripaghi, che le cose vadano in tutt’altro modo.
R.C. Questione antica e moderna. Occorre affrontarla per via della modernità e non dell’antichità e quindi non come vita di genere. Lei dice la vita di un essere umano. Questa è una vita di genere. Includendosi nel genere umano, la vita diventa vita di genere. E allora diventa una vita generica, universale. Una vita standard. Occorre invece affrontare la questione per via della modernità, quindi non per la via di genere. Partecipare alla credenza dell’essere umano e per costui, o per costoro, o per questo genere credere che abbia o disponga di una vita, questo può costituire un baluardo rispetto al capire. Anche, forse, al ricercare, perché occorre dissipare prima l’idea di genere.
Dissipare l’idea di genere vuol dire anche dissipare che ci sia una vita vivibile, cioè una vita standard, una vita ideale, una vita che sarebbe appropriata a quel genere. È già materia di ricerca questa, di indagine per poter accedere a capire come vivere. Non come è la vita, perché dicendo vita praticamente diciamo che già l’abbiamo vissuta, quando invece è in corso. L’abbiamo già vissuta no? “Come è la vita, qual è la vita”.
C’è vita su Marte? Ma non è quella la vita di cui si tratta di capire qualcosa. È la vita in atto. Quindi è la vita nel suo gerundio. E questo allora esige che sia dissipata questa fantasia sulla vita di genere. La questione è bella, ampia, è attuale.