L’analisi. Non c’è più lingua comune
L’analisi: quando parliamo di analisi è essenziale chiarire di cosa si tratti, che cosa comporti, capire perché farne l’esperienza. E cosa consenta di dire che c’è analisi in corso, non una volta per tutte, ma ciascuna volta, in ciascuna occorrenza.
Ai più non sarà sfuggito che si tratta di un sostantivo e non di un verbo: esso indica il modo dell’intransitivo; l’analisi consente di pervenire a un teorema e a una costruzione per cui l’idea che si aveva in precedenza di qualcosa e che risultava problematica, inquietante, terrifica, panica, fobica, non importa più, non c’è più; importa quel che ora, per via di analisi, quindi di assoluzione, trae a un modo nuovo di dire e di fare.
Per via dell’analisi, non c’è più lingua comune. E per questo, il dire può risultare difficile, perché l’analisi non consente di seguire il famoso proverbio dell’ammasso, “Parla come mangi”, perché con essa e con l’intervento del tempo parlare non e più l’accesso diretto a un gergo conosciuto a tutti, omologato per tutti, che consente un riferimento ai luoghi comuni del senso comune e del buon senso. Con l’analisi s’instaura l’altra lingua, la lingua della particolarità e del dettaglio.
Analisi. Questo termine non indica la continuità, non indica la durata, né lunga né breve, indica qualcosa che accade nell’istantaneità dell’atto. Sentiamo dire: “Sono in analisi”, “Ho fatto l’analisi”, “Vorrei che lei mi analizzasse”, “Quando finisce l’analisi?”.
Si tratta di locuzioni comparse con la psicoterapia o con altre metodologie che si richiamano alla psicanalisi per emulazione, ma che nulla hanno a che fare con la psicanalisi e con l’analisi.
Psicanalisi è un termine che può risultare fuorviante, per l’uso che ne è stato fatto e che ancora è fatto da parte di chi crede di conoscerla, per l’accezione che ne è data in sede universitaria e di divulgazione facile e accomodante. In queste sedi psicanalisi sembra rimandare a una procedura d’indagine inerente il male passato da scovare, a un mistero da chiarire, a una tenebra da illuminare con la fiaccola illuminista. Il passato sarebbe la causa agente di un male presente. Non è così. La questione analisi è la questione dell’attuale di ciascun atto e dello statuto materiale e non sostanziale di ciò che sta nell’atto. Materiale e non sostanziale. Qual è la materia di un atto, di ciascun atto? È l’analisi a indicarlo. È materia intellettuale, senza riferimento al passato, a ciò che è stato. Senza riferimento a un fondamento che costituirebbe l’origine comune. Ma, ancora di più, la necessità dell’analisi non è dovuta a un male da bonificare o da cui guarire. La necessità dell’analisi viene dall’esigenza intellettuale di ciascuno. Dall’esigenza di distinzione, di precisione, d’intendimento, di qualità.
È l’analisi che consente di non credere più nella sostanza delle cose. Della psicanalisi importa l’orientamento e la direzione che si acquisiscono quanto alla vita attuale.
Chi si rivolge all’analisi, lo fa anche perché non ne può più di “buon senso” e di senso comune”, lo fa perché avverte un’istanza di direzione, di precisione, di arte e di scienza per la sua vita. Lo fa perché non può condividere nulla e, soprattutto, perché non può rinunciare a nulla, in particolare alla salute, che è l’istanza della qualità.
La salute è in connessione con quel che si fa e con il modo con cui lo si fa. Per capire il da farsi, per trovare il modo di attraversare la difficoltà, per andare oltre le presunte proprie possibilità, l’analisi è essenziale. Come pure per trovare il ritmo, per seguire l’aritmetica e non l’abitudine. L’aritmetica ossia il modo della logica particolare. L’aritmetica non è comune, non è condivisibile. Con l’aritmetica, l’anomalia trova il valore. Con l’analisi, l’anomalia si valorizza. Se c’è invenzione, se c’è arte è per via di anomalia. Si può rinunciare all’anomalia? Si può metterla a tacere? Si deve sedare? Si deve omologare?
Questo si rivolge in particolare ai giovani, per i quali accogliere l’anomalo, l’anomalia del loro pensiero, può risultare determinante, senza dovere cedere al pudore o alla vergogna rispetto al conformismo o all’anticonformismo.
E anche l’imprenditore o il professionista, o lo scrittore, o l’artista, o l’insegnante o il genitore, o l’educatore o chi avverte la vita come un peso, con l’analisi trova un’altra direzione: non c’è più da subire la sudditanza del luogo comune, la dipendenza dal pettegolezzo.
Occorre l’audacia della domanda.