Tredicesimo capitolo del volume La realtà della parola
La famiglia e l’altra famiglia
Ruggero Chinaglia Il dibattito questa sera prende spunto dal film di Gabriele Salvatores Il ragazzo invisibile, un film abbastanza recente, che ha poco più di un anno e che, nelle sale della grande distribuzione, è passato come un film per ragazzi. Effettivamente, si presta anche a questa formula, la quale è però riduttiva per la portata che questo film ha, facendone una lettura non fantasiosa, per i ragazzi, ma clinica.
Il film pone la questione dei ragazzi e della famiglia per ciascun ragazzo, come anche la questione di come ciascuno “si pensa”, pensa i genitori, pensa gli amici, pensa a sé. Pensare, pensarsi. Questo non investe solo i ragazzi e le ragazze, ma investe ciascuno; non solamente finché è giovane, ma anche nell’età adulta.
Se non avviene l’attraversamento di quelle che ognuno ritiene le proprie idee, certamente ognuno si trova in qualche impiccio, imbarazzo, rallentamento, invischiamento. Al proposito, il film di questa sera si combina in maniera opportuna con Dio esiste e vive a Bruxelles, un film che pone la questione dell’idea originaria, dell’operazione.
L’idea che ognuno pensa e sa di avere, non è l’idea originaria, ma è il proprio pregiudizio sulle varie cose, a partire da una rappresentazione, a partire da una propria collocazione in un sistema. E, posta l’idea di un sistema in cui situarsi, ecco che c’è bisogno di un creatore e di un distruttore del sistema, perché la nozione di sistema e l’idea di sistema esigono sia chi lo crea, sia chi lo può distruggere. E a questo proposito c’è bisogno di giustificare ogni azione per stabilire se va nella direzione della creazione o della distruzione del sistema, sempre restando però nel sistema.
È la nozione di sistema che occorre dissipare e analizzare, perché è limitante, perché l’idea di sistema trae con sé l’idea della fine possibile del sistema, l’idea della fine. L’idea di origine e l’idea di fine che si collegano.
Tutto ciò non è estraneo alla questione della famiglia, alla nozione di famiglia, all’idea di famiglia e al mito della famiglia. Come si pone, per ciascuno, la famiglia? Come idea d’origine o come mito? E l’idea del padre e della madre come si combinano? In che direzione vanno? Per ciascuno si pone, innanzi tutto, l’esigenza di analizzare la fiaba della famiglia e trovare i mezzi e i modi perché la fiaba non resti tale, ma giunga a trasporsi nel mito, in direzione della costruzione e della riuscita.
Analizzando e leggendo il testo delle fiabe, possiamo costatare che, finché la fiaba resta fiabesca, la riuscita non c’è. La maggior parte delle fiabe si conclude non con la riuscita, ma con il lieto fine, cioè con l’idea che a un certo punto c’è la fine, per quanto lieta. Occorre che, a partire dalla fiaba, ciascuno trovi i termini, i mezzi e i modi per la riuscita.
Adesso leggiamo questo film e poi cominciamo a dibattere intorno a quello che è il titolo di questa sera: La famiglia e l’altra famiglia.
R.C. La storia è quella di un ragazzino, che si chiama Michele Silenzi.
Maria Antonietta Viero Quello che sballa un po’ il conto, per così dire, sono i due bambini alla fine, che anziché uno, sono due.
R.C. Come sballa?
M.A.V. Eh sì.
R.C. Intanto ragioniamo. Non saltiamo subito a conclusioni avventate. È la storia della vicenda di Michele Silenzi. Cosa fa Michele Silenzi? Dove vive? Come vive?
Sabrina Resoli La prima frase che dice è: “Tu non mi hai visto”.
R.C. Sì, il ragazzo è invisibile.
M.A.V. Vive in una famiglia in assenza di padre.
S.R. E la mamma lo chiama “il mostro”.
R.C. Dunque, “in assenza di padre”. È facile dire in assenza di padre! La fiaba vuole che il papà sia morto. Papà poliziotto, mamma poliziotta; il papà è morto. È morto da eroe?
M.A.V. Sì.
R.C. Morto da eroe.
Daniela Sturaro Sì, così dice lui.
R.C. No, lo chiede. Non è che lo dica, lo chiede alla mamma.
D.S. Sì, lo dice la mamma.
R.C. La mamma non lo conferma neanche, non con grande entusiasmo. Però, per Michele il papà è morto da eroe, è nel mito dell’eroe. E che cosa cerca di diventare? Supereroe! Poi?
S.R. Pensa che quella non è la sua vera mamma.
R.C. No, non è proprio così.
S.R. Sì, la mamma sembra dire che lui è stato adottato.
R.C. La mamma lo dice.
S.R. Non è che lo dice proprio, però dice che lui, inconsciamente, pensa di essere stato adottato. Non dice che ha capito di essere stato adottato.
R.C. Che sappia di essere stato adottato?
S.R. Non è che lui sappia, inconsciamente?
R.C. Come si giunge a questo?
S.R. Si giunge a questo nel momento in cui lui crede di essere inizialmente un mostro, poi…
R.C. Come un mostro?
S.R. Perché lui dice di essere un mostro, quando diventa invisibile. La mamma lo chiamava mostro. Poi, però, questa mostruosità diventa un’altra cosa. È in quel frangente lì, quando lui ancora…
R.C. Ma, allora, cosa si narra qui? Cosa si dice, cosa accade?
D.S. Per me accade una crescita, cioè si cresce e si parte da un livello in cui lui è un bersaglio da parte dei bulli. Lui è un bersaglio e vuole acquisire il potere per dare una risposta a questi bulli. La madre, nella situazione, è molto maldestra: porta la merenda in classe. È una cosa imperdonabile di fronte ai compagni di classe, non poteva fare così. E allora, è da solo, che deve fare? La madre gli porta la merenda, ma è lui che deve fare, non la madre.
R.C. Ma cosa si narra? Qual è la trama narrativa?
M.A.V. La vicenda del padre. Nel senso, mi sembrava, che questo padre vivesse attraverso questi due ragazzi che fanno di questo ragazzino un bersaglio, perché in ogni caso c’è padre, seppur in carcere il primo e l’altro che vuole che il figlio sia un campione tennista. Mi pare che la vicenda giochi molto su questa figura del padre. Però, in assenza di autorità c’è autoritarismo, c’è una rappresentazione di violenza.
R.C. Quindi?
S.R. Il bambino pensa che quella in cui vive non sia la sua famiglia e che, invece, la sua vera famiglia sia un’altra, i suoi veri genitori siano altri, siano dei supereroi. Ecco, questo. C’è la fantasia di non essere figlio di quei genitori, di un papà morto e di una mamma qualsiasi. E, rispetto a questa cosa strana che gli accade, lui avverte, costruisce questa fantasia, che questa cosa strana sia perché…
R.C. Ha ragione, gli accade questa cosa strana. Ha ragione di dubitare che papà e mamma non siano i veri genitori. Se gli accade questo, ha ragione di dubitare.
S.R. Cerca di ispirasi al suo amore, cerca di capire come mai.
M.A.V. O forse, per sopperire all’assenza del papà, c’è la costruzione di un super papà.
R.C. Adesso brancoliamo nel buio, sentiamo Vanni.
Vanni Francescato Io credo che il punto focale sia che questo ragazzo, ascoltando i bulletti, ha risolto il problema senza superpoteri. Venendo a conoscenza delle difficoltà che anche questi due ragazzi devono affrontare, è riuscito a ottenere rispetto senza i superpoteri.
R.C. Ecco, questo intanto è un punto.
V.F. E anche è riuscito a avvicinarsi alla ragazza dei suoi desideri.
R.C. Ecco, perché c’è una ragazza di mezzo…
S.R. C’è una cosa. Questo adolescente, questo bambino – lungo lo svolgimento della vicenda – o è invisibile agli altri o, quando è visibile, è nudo, cioè è come lui s’immagina, si rappresenta rispetto agli altri.
R.C. Quando è invisibile è nudo.
S.R. E quando torna visibile però è nudo.
R.C. No, non ci siamo. Quando è invisibile è nudo perché se fosse vestito si vedrebbe che è invisibile, paradossalmente. Si spoglia in quanto invisibile! Non è che quando è invisibile è nudo. Si spoglia per non apparire, perché i vestiti non diventano invisibili. È nudo perché si spoglia.
S.R. Però più volte si trova nudo.
R.C. Sempre quando diventa invisibile si spoglia. Nel film appare nudo, perché se fosse vestito, come in certi casi è, si vedrebbe la sagoma del vestito e sarebbe evidente che è invisibile.
S.R. Sì, ma quando è nello spogliatoio delle bambine è nudo.
R.C. No, non è che appare e è nudo, era già nudo, in quanto si è intrufolato lì e per non essere visto deve essere nudo. Poi, con l’asciugamano diventa visibile la sagoma e ridiventa visibile, perché, nel film, l’emozione gli fa perdere l’invisibilità. Questo nel film. Nel racconto della fiaba accade questo. Non è che è nudo perché è invisibile, è invisibile perché è nudo. Perché nessuno si accorga che è invisibile, si spoglia. È chiaro, perché i vestiti renderebbero evidente che c’è una sagoma.
Roberto Tecchio La storia è molto semplice. È la seconda volta che vedo il film, che tra l’altro è un bel film, cioè a me è piaciuto. Però, sinteticamente, direi che è la storia di un ragazzo che è in una fase della vita abbastanza brutta, cioè non ha ancora trovato una sua forma, non sta bene nei suoi panni. Non sta bene a scuola, non sta bene con i suoi compagni, è trattato male. Ha una simpatia, ma non è capace di dirla. È timido, è tutto rannicchiato. Si vede nel film, è sempre chiuso, ha sempre il cappuccio in testa, scappa, è un ragazzo timido. A un certo punto vede realizzato quello che è forse il suo più grande desiderio, quello di sparire, cioè di rendersi invisibile agli altri, ma in realtà lui cerca anche di affermarsi, e infatti cosa fa? Quando diventa invisibile fa tutto ciò che non riesce a fare quando è visibile. Intanto si riprende delle rivincite sui compagni che sono così fastidiosi, sul ragazzo bocciato; corregge il compito che aveva fatto male, perché in matematica tanto bene non andava. E si prende la rivincita in modo un po’ cattivo, ma giustamente, con il ragazzo che sa giocare a tennis. Evidentemente lui molto sportivo non era. E poi c’è questa storia fantastica, per cui passa su un altro piano, perché alla fine è poco credibile la storia, ma è piacevole quella del supereroe che deve fare delle cose.
Intanto, deve avere delle origini completamente diverse, perché un supereroe non può essere figlio di un genitore qualunque, tantomeno di una madre sola e di un padre che non c’è. E quindi c’è questa storia carina perché va in Siberia, ci sono i russi e cose strane, genitori eccezionali. E lui non può essere che eccezionale! Poi c’è la parte finale dell’avventura. E qui mi pare che, alla fine, si realizzi in realtà, trovi soddisfazione. Sembra quasi che riesca a trovare la forza di dire: “Ma, insomma, così piccolo, così umile, così privo di valore non sono”, tanto che riesce a fare delle cose che, onestamente, non riuscirebbero a fare i più bravi poliziotti. Poi non parliamo dell’ultima parte dove c’è la capsula, cioè proprio fantastica, la cosa.
R.C. È un sommergibile.
R.T. Sì, da dove esce in quel modo. È il lieto fine, che non è un lieto fine, perché probabilmente ci sarà una puntata 2, speriamo anche. Voglio dire, la trovo una metafora di un ragazzo come penso siamo stati noi nella maggior parte – almeno io sarei stato così a quell’età – cioè, mi sarei voluto nascondere, ma in realtà fargli vedere…
Ecco questo dal punto di vista narrativo, superficialmente, mi sembra. Non ho fatto caso a questi aspetti della mancanza del padre e della madre. Mi sembrano funzionali alla storia dell’eroe, cioè non poteva essere quella sua madre sennò non avrebbe avuto il potere. Non sono riuscito molto a leggere in chiave, non so come dire… Mi sembra più un espediente narrativo questo. Certo che, alla fine, questo ricuce anche il rapporto con la madre. Forse all’inizio ha avuto un momento, ma mi sembra una favola normale, quella di volersi distinguere in questa avventura di questo film, che trovo molto interessante. Potrebbe anche leggersi come la capacità di ogni ragazzo che vedesse il film… potrebbe avere una morale positiva, che anche se non riesce a sfondare, a essere più bravo a eccellere, ha comunque un valore.
R.C. Ecco, senza dovere ricavare una morale generale, attenendoci al caso narrato, cioè senza fare diventare il film una…
R.T. No, non è moralistico.
R.C. Sì, il pregio è questo: ha una tenuta logica come caso clinico, cioè come caso narrativo che esplora qualcosa di molto preciso, che poi si può chiaramente estendere come qualcosa che riguarda molti ragazzi, molti bambini, molti adolescenti rispetto alla propria idea di famiglia, alla propria idea di sé, alla propria idea degli altri. Però, qui, abbiamo proprio una vicenda che ha una tenuta che ci dice qualcosa di preciso sulle fantasticherie, sulle fantasie che ciascuno ha a suo modo, anche ignorando di averle, perché, per lo più, ciascuno ignora la fantasia che lo attraversa e per la quale fa certe cose.
L’idea originaria opera perché le cose si facciano. Non è che qualcosa si faccia automaticisticamente, ma perché c’è un’idea e quest’idea opera. Quale sia l’idea che opera, non è immediatamente conoscibile, cioè l’idea non è l’intenzione. L’idea che opera perché qualcosa avvenga non è l’intenzione che uno ha di fare qualcosa. Questo film lo indica con una certa precisione.
Un conto è l’intenzione, la coscienza dell’idea, la presunta coscienza dell’idea, e un altro conto è l’idea che opera. Questa è materia un po’ difficile, ma per capire come e perché accadono le cose è necessario capire questo: l’idea che opera non è quella di cui c’è coscienza, cioè quella che si sa di avere.
C’è chi dice: “Io so perché ho fatto quella cosa, so perché penso questo, so perché penso quello, so perché ho fatto quell’errore, so”. So! Sarebbe opportuno metterci davanti un non, e tenere presente che non so. Non so! E è proprio per questo che l’analisi consente di capire cose che si presume di sapere, ma che in realtà non si sanno. Sentiamo se c’è qualche altro elemento.
Patrizia Ercolani Mi domandavo se quest’idea di precisione ruota intorno alla figura dell’invisibilità.
R.C. Figura dell’invisibilità?
P.E. Sono due cose differenti. Nell’invisibilità ascolta e fa determinate cose, nel visibile invece pare un’altra cosa ancora.
R.C. Questa è una differenza raffinata, potremo esplorare anche questo aspetto, ma atteniamoci al semplice, alla vicenda narrata, perché c’è una vicenda e è narrata con precisione, con delicatezza, senza concessioni moralistiche. Il film, sotto questo profilo, non ha intenzioni didattiche, non è didascalico, non è a fine di bene. Narra una vicenda. Qual è la vicenda?
Barbara Sanavia Forse l’idea che operava precedentemente era di sentirsi debole.
R.C. Sì, questo sì.
B.S. Era incapace di affrontare quel che gli succedeva. Poi gli arriva questo potere che lui crede, in un primo momento, gli sia dato dal costume, cioè non era un suo potere. Ce l’aveva grazie al costume.
R.C. No, questa è la superstizione. Sarebbe la superstizione questa: che la capacità di fare qualcosa venga da qualcosa di esterno. Sarebbe già nella mitologia del soggetto debole che ha bisogno dell’aiutino, la giustificazione all’abuso, all’uso o all’abuso di qualcosa che consenta di fare ciò che non sarebbe in grado. Qui è sfatata questa cosa. Non viene dal costume!
B.S. Poi, appunto, scopre che era una dote che aveva ereditato da un’altra origine, la storia racconta questo, da un’origine che non sapeva di avere, per cui c’è sempre di mezzo un po’ l’origine. Inizialmente, l’origine che credeva di avere, in quanto i genitori erano poliziotti, supereroi. Egli voleva, sembrava che volesse ripercorrere… Comunque scopre che questo potere non gli veniva da fuori, ma ce l’aveva lui. E impara a padroneggiarlo per cui non si ritiene più debole, fragile. Prima aveva questa idea di sé.
R.C. Sì, certo. C’è l’attraversamento di un’ipotesi di essere, come dire, nel gergo sarebbe “un po’ sfigato”. Ma come avviene questo attraversamento? Lei dice attraverso i superpoteri?
B.S. Impara a usarli.
R.C. È una lettura realistica. Se leggiamo il film con realismo, allora Michele ha i superpoteri. Sarebbe la storia di quello che negli anni sessanta era Nembo Kid e che adesso si chiama Superman. Infatti c’è un’allusione. Dice: “Non capisco perché quando Superman si mette gli occhiali non lo riconoscono”, il famoso sdoppiamento Clark Kent – Superman. Avete letto questi fumetti? Sono noti, classici. Sentiamo, tu come ti chiami?
Anna.
R.C. Anna, tu come hai visto la faccenda?
A. Considerando che l’argomento è la famiglia e l’altra famiglia, mi veniva in mente questo: lui ha già una famiglia, ha sua madre che non gli fa mancare niente. Lui è sempre triste, è oppresso dalla scuola, dai compagni. È semplicemente in una fase dove non si sente bene. Non è la famiglia in realtà il vero problema. E lui pensa che trovando in sé qualcosa di speciale, di originale, potrebbe piacere e, diciamo, mandare via le critiche. Potrebbe trovare qualcosa che lo facesse sembrare migliore. E pensa che la sua origine potrebbe cambiare le cose. Si rende conto che non conta avere dei superpoteri, avere una grande origine, ma che può semplicemente farsi vedere come una persona disponibile, una persona che ascolta e può capire i problemi degli altri e che potrebbe bastare solo quello.
R.C. E come si chiama la biondina? Stella? E come c’entra Stella nella faccenda? C’entra qualcosa?
A. Beh sì. Anche lei è frutto di un malessere. Lui pensa di non potere raggiungere Stella. Lui vorrebbe invece arrivare a quel punto lì. E, quindi, vede che non è importante come appari, ma come sei veramente, non serve cercare qualcosa che non sei.
R.C. Ecco, però qui stiamo andando oltre. Intanto, Stella c’entra qualcosa. Michele è interessato a Stella, molto interessato. La segue col telefonino, la filma, la guarda, controlla cosa ne dicono i compagni, cosa dice lei, è molto interessato. Però, Stella è molto riservata. Forse questo c’entra qualcosa.
A. Sennò non sarebbe citata nel film.
R.C. In questo film vediamo che c’è la mamma, il papà morto eroicamente, un altro padre che lo segue costantemente e veglia su di lui e un’altra madre. Quindi c’è un padre e un altro padre, una madre e un’altra madre, una famiglia e un’altra famiglia.
D.S. Secondo me lui cerca un’altra famiglia rispetto a quella reale, realistica che si trova intorno. Cerca e, avventurosamente, vuole raggiungere questa condizione di Speciale da Stella, visto l’interessamento.
R.C. Giampietro?
Giampietro Vezza Trovo che, come a un certo punto nel film Babadook, il sogno si spezza con la voce, Michele urla: “No, no!”, e il suo sogno termina lì, ritorna dalla famiglia che si è immaginato, alla famiglia con cui, in un certo modo, deve fare i conti. Mentre non voleva, ma nel suo sogno ne cercava un’altra.
R.C. Mi pare molto interessante questo, la voce con cui il vetro s’incrina, la scena si rompe.
Qui l’ora incalza e dobbiamo concludere, ma è chiaro che proseguiamo il dibattito anche giovedì. Però, intanto, diamo notizia di qual è la vicenda che, in qualche modo, è stata allusa. Dunque, Michele ama Stella, ma Stella è interessata più a altri, che sono più prestanti, più aitanti, quindi si considera invisibile agli occhi di Stella e trova il modo di trasformare questa carenza in un motivo d’interesse, attraverso l’altra famiglia.
La sua famiglia, la famiglia di origine, è ciò per cui lui è invisibile agli amici, agli insegnanti, ai coetanei, a Stella. Ma, perché? Perché lui, “in realtà”, non è figlio di Giovanna e di papà, lui è stato adottato! E se voi leggete Il romanzo famigliare dei nevrotici di Freud, potete costatare che è una delle fantasie più frequenti, in un bambino. Quando si sente escluso da qualcosa, quando non si sente al centro dell’attenzione, quando ha motivo di risentimento, di scontento, di rivendicazione nei confronti dei genitori, la prima idea qual è? Pensare: “Ma quello non è mio padre e quella non è mia madre, altrimenti mi vorrebbero bene, invece mi vogliono male. Io non sono figlio loro, sono stato adottato. In realtà, mio padre e mia madre sono la regina e il re in un altro paese importantissimo, da cui sono stato portato via”.
Dunque, Michele fantastica.
Non è che grazie al potere dell’invisibilità capisce o pensa che quella non è sua madre, ma è il contrario. In quanto nega la madre, in quanto ha motivo di rivendicazione verso la madre, allora pensa di essere stato adottato, allora costruisce l’ipotesi dei superpoteri: lui “in realtà” è un supereroe, come il papà morto.
E qui c’è la vicenda di questa fantasticheria per cui, con questi superpoteri, salva la vita di Stella e anche la vita di quei compagni che lo prendevano in giro, che erano stati a loro volta rapiti, come fu rapito lui per essere stato adottato. Questo film, se seguite la vicenda, è un capovolgimento dietro l’altro. È tutta una serie di rovesciamenti: padre morto, padre presente, padre che lo segue sempre e veglia su di lui. Andrej è il padre che è sempre vigile, è come l’angelo custode, che fa pendant con la mamma che sempre lo accudisce, mentre in realtà c’è l’altra madre che è a capo della Squadra Speciale, degli Speciali, perché lui in realtà è figlio di due Speciali, il padre e la madre che sono Speciali.
A partire, apparentemente, dall’idea che il papà e la mamma sono due persone da poco, risalta il mito sia del padre sia della madre, che sono due Speciali. Allora la vicenda è una fantasticheria. In questa fantasticheria si svolge l’idea di origine deprecabile, lui stesso è da poco, invisibile fino a divenire…
D.S. Un eroe.
R.C. No, non eroe, perché del suo eroismo non c’è più memoria perché è una fantasticheria. Questo è l’accorgimento molto interessante a livello filmico: non resta il ricordo della sua impresa memorabile perché è una fantasticheria, è un sogno. Michele sogna di essere un supereroe, di compiere un’impresa straordinaria, e l’impresa straordinaria qual è? Qual è la vera impresa straordinaria di Michele?
D.S. Di conquistare Stella.
R.C. No, di accompagnarla a casa! Di accogliere l’invito di fare la strada insieme, cosa che in realtà non era mai riuscito a formulare. Lui è interessatissimo a Stella, ma quando va a prenderla in palestra, quando la rapiscono, lui nel tragitto si ripete cosa dire per giustificarsi, per giustificare la sua presenza lì, per mitigare un atto audace e renderlo un atto banale. Quante volte c’è chi deve giustificare un atto per inscriverlo in una normalità presunta, perché altrimenti… Altrimenti! C’è sempre l’ipotesi negativa.
Giovedì prossimo esploreremo nei dettagli alcune cose, ma intanto questa è la vicenda narrata. È la vicenda di una fantasticheria di Michele che giunge, finalmente, a compiere l’impresa di lasciare che la sua domanda verso Stella – e la sua domanda verso altre cose, che evidentemente si nega per tutta una serie di idee che ha di sé – domanda non più contenuta, giunga a formularsi. Quindi, non ha poteri!
Giustamente Michele non ha superpoteri. Ha un disagio e ascoltando questo disagio e attraversandolo, giunge a capire e a accogliere la sua domanda, a lasciare che abbia corso. Quello che in moltissimi casi accade, per una serie di pregiudizi su di sé, sulla propria origine e anche sul proprio destino, è che la domanda viene contenuta, trattenuta, arginata e non giunge a compiersi.
Qui, in maniera molto delicata e semplice, è posta la questione della domanda e dell’itinerario, del viaggio che Michele compie, per lasciare che la domanda proceda. I superpoteri sono la fantasticheria che in un primo momento crede ci sia bisogno di avere, ma come questo si colleghi all’idea del padre, della madre, dell’origine, del destino e della famiglia lo vedremo meglio giovedì prossimo.
Intanto teniamo conto di questa struttura, di come talvolta si ponga l’esigenza di pensare a un’altra famiglia, perché la famiglia d’origine è pensata in maniera negativa. E qui sta la fiaba per ognuno: la fiaba dell’origine. Questa è una cosa semplice e al contempo complessa che si pone per ognuno.
D.S. Quando lui è invisibile riesce a avvicinare Stella e c’è uno scambio nel suo modo di essere invisibile, riesce a capire che Stella è sola, cioè non è solo che ha salvato Stella dai rapitori, è un procedere.
R.C. Esatto. Non ha salvato nessuno.
D.S. C’è un procedere.
R.C. Esatto. Michele non salva nessuno e questo è un dettaglio importante. L’idea di salvezza, certamente.
Bene, allora l’appuntamento è per giovedì prossimo. Grazie e arrivederci.