• RCH
  • Biografia
  • Il disagio e la cura
    • Ascoltare il sintomo
    • Clinica e terapia
    • La logica inconscia
    • La ricerca del modo opportuno
  • Psicanalisi e cifrematica
    • Amore e sessualità
    • L’analisi
    • L’analisi e la formazione
    • La domanda l’amore il transfert
  • Video
  • Sezioni
    • Conferenze
    • Edizione
    • Glossario e Dizionario
    • Video Interviste
    • Materiali multimediali
    • Mostre
    • Recensioni
    • Oralità e Scrittura
  • Blog
  • Comunica
  • RCH
  • Biografia
  • Il disagio e la cura
    • Ascoltare il sintomo
    • Clinica e terapia
    • La logica inconscia
    • La ricerca del modo opportuno
  • Psicanalisi e cifrematica
    • Amore e sessualità
    • L’analisi
    • L’analisi e la formazione
    • La domanda l’amore il transfert
  • Video
  • Sezioni
    • Conferenze
    • Edizione
    • Glossario e Dizionario
    • Video Interviste
    • Materiali multimediali
    • Mostre
    • Recensioni
    • Oralità e Scrittura
  • Blog
  • Comunica

Secondo capitolo del libro La lampada di Aladino

La lampada dell’erotismo

 Ruggero Chinaglia C’è qualche sugge­rimento, riflessione o l’esigenza di qualche chiarimento?

Andrea È possibile avere una breve sintesi degli argomenti affrontati nello scorso dibattito?

R.C. Lei c’era la settimana scorsa? Ah, ecco, non c’era. Impossibile recuperare, perché noi facciamo l’analisi. Come si può fare la sintesi? La breve sintesi è im­possibile. La brevità è una proprietà dell’itinerario, ma non può mai giungere alla sintesi. Perché, si chiederà lei, non può giungere alla sintesi? Perché non c’è sintesi possibile. Il processo di qualifica­zione avviene per divisione, e la divi­sione è senza rimedio. Sintesi indica la ricomposizione che sarebbe togliere la divisione per attuare una ri­composizione. Ma questo sarebbe un proce­dimento “contro natura”, contro la natura delle cose, in quanto la natura delle cose ri­sente della divisione. Non è nei nostri mezzi attuare una sintesi, attuare una ri­composizione che è solo ideale, perché il processo per divisione è struttu­rale. Non è che lo vogliamo noi, ma è che, non volendolo, avverrebbe in un altro modo. Invece no, la divisione è un processo irreparabile, senza rimedio!

A. Comunque, c’è anche un modo più semplice per avere la sintesi di quel che è stato detto la settimana scorsa. Ci sono delle cassette che vengono regi­strate, quindi, se uno volesse, può fare a casa una sintesi se sono disponibili le cassette. Poi, penso che sarebbe molto divertente potere risen­tire con calma quello che viene esposto qui e pensare su quanto detto, con calma.

R.C. Sì, ma non sarebbe comunque una sintesi.

A. Ma, infatti, perché cercare la sintesi quando abbiamo la tecnologia?

R.C. Già, perché?

A. Chi lo stabilisce? È più sem­plice!

R.C. Ah, ecco, una questione di como­dità!

A. Di economia.

R.C. Di economia. Lei è capitato questa sera nel posto giusto al momento giusto.

A. Lo so.

R.C. E per di più lo sa. È per quello che è venuto?

A. Sì, perché m’interessava molto il titolo di stasera.

R.C. E conta di trovare quello che cerca?

A. Di ascoltare un interessante punto di vista.

R.C. Un punto di vista, il mero punto di vista. Ah, ho capito.

A. Stimolante.

 R.C. Pure! Uno stimolante punto di vi­sta. È per questi stessi motivi che la settimana scorsa non c’era?

A. No.

R.C. Per altri motivi?

A. Mah, non so se erano altri op­pure no, erano motivi miei.

R.C. Se erano suoi, non veniamo nean­che a sindacare. Ma lei ha letto la fiaba di Aladino e della lampada meravigliosa?

A. Me l’hanno letta da piccolo.

R.C. Da piccolo. Sempre per co­modo ha ritenuto di non andare a rileg­gerla?

A. Diciamo che comunque uno fa una selezione di quello che può leggere, giusto?

R.C. In base a cosa fa una selezione?

A. In base alle indicazioni che trova.

R.C. Quindi, a bella posta lei non l’ha letta?

A. No, perché?

R.C. Applicando questo principio di selezione.

A. No! Il fatto è che, secondo me, uno può avere buona volontà nelle cose, in tutto quello che fa, però si scontra con dei limiti che, piaccia o no, per quanto mi riguarda sono oggettivi.

R.C. Esatto.

A. Poi possiamo discutere.

R.C. Per quanto la riguarda, lei ha ra­gione.

A. Per quanto mi riguarda, sì.

R.C. Ma solo per quanto la riguarda! Effettivamente, la buona volontà non ba­sta, non basta a nulla. La buona volontà sarebbe ispirata al principio di causa suf­ficiente.

Pubblico Io volevo portare un esempio, fare una domanda: si parla della lampada…

R.C. Ne stiamo parlando.

Pubblico Secondo lei, se lei domani decide di fare una gara come Ben John­son, per esempio, basta la buona volontà?

R.C. Non erano male quei risultati. Per cominciare andrebbero anche bene! Eb­bene?

Pubblico Lei, che pensiero fa?

R.C. Ah, questa è la sua curiosità? Proprio Ben Johnson. Lei ha scelto pro­prio uno a caso.

Pubblico Mi sembra che sia chiara la mia domanda. Se lei vuole rispondere, bene.

R.C. La sua domanda è chiara, e adesso vediamo di rispondere. Ma lei ha chiamato in causa la buona volontà per giustificare che cosa? Accennava a dei limiti personali.

Pubblico I limiti non sono personali, esi­stono. Giusto?

R.C. E quindi?

Pubblico Quindi, la domanda… Se no la cosa si trasforma in una seduta di psicanalisi.

R.C. Addirittura!

Pubblico C’è scritto Ruggero Chinaglia, ci­frante e psicanalista.

R.C. Dove?

Pubblico Sul manifesto appeso alla porta.

R.C. Io non leggo nel manifesto le cose che lei dice.

Pubblico È vero, non c’è scritto psicoanali­sta, ma cifrante, però nel primo ciclo di conferenze a cui ho assistito c’era scritto anche psicoanalista. Giusto?

R.C. E questo farebbe problema?

Pubblico No, non ci sono problemi. C’è una domanda, non c’è una risposta e c’è una scena che sta accadendo.

R.C. Però io ho preso nota. Adesso ve­diamo se nel corso dell’incontro riu­sciamo a rispondere. Altre domande? Lei aveva terminato? Perché è stata un po’ interrotta la nostra conversazione dall’irruenza del nostro amico.

A. Forse volevo cambiare sintesi in ripetizione. È possibile?

R.C. Lei ha letto questa fiaba?

A. Grosso modo, si può dire, anni che furono.

R.C. Cioè se l’è fatta raccontare. Però è differente leggerla. Può essere anche istruttivo. Ma nel corso di queste “sedute”, come dice il nostro amico, noi faremo la lettura della fiaba, anzi la stiamo già facendo. La settimana scorsa avevamo terminato chiedendoci chi fosse Aladino, in particolare chiedendoci se fosse il figlio del sarto, come dice la fiaba, o, per caso, il figlio del sultano, dato che questo sembra essere il suo de­stino, e ci chiedevamo anche perché ha bisogno della lampada. Che cosa indica la lampada dato che nella fiaba ciascuna cosa procede dalla lam­pada? Questo ci incuriosisce assai, per­ché non bisogna nemmeno trascurare, nella lettura di questa fiaba, che a rac­contarla è Shahrazàd, la figlia del visir che la racconta al sultano. Perché gliela rac­conta? Questo è noto, ap­parentemente la racconta per impedire al sultano di ucciderla. Apparentemente. Poi, saranno da individuare motivi ulte­riori. Ma la fiaba di Aladino è rac­contata da Shahrazàd, e questo è un ele­mento di cui tenere conto. Adesso ve­diamo perché non è elemento trascura­bile.

Dunque, Aladino ritiene di essere predestinato a diventare il sultano più ricco del mondo, ha questa predestina­zione il cui segno, possiamo dire anche l’origine di questa predestinazione, sta proprio nella lampada che gli è affidata dal mago. Il Mago Africano è il personaggio che ir­rompe nella fiaba dopo che il padre di Aladino è morto. Dicevamo che il mago è lo sdoppiamento del padre morto; il padre morto si sdoppia nel padre buono e nel padre malvagio, e il Mago Africano è il padre malvagio, mentre il padre buono è il genio della lampada.

La lampada assi­curerebbe la predestinazione e la genealogia di Aladino; quindi, in questa genealogia, Aladino non è più il figlio del sarto, ma sarebbe il figlio del sultano. Ma questo è un capitolo che per il momento lasciamo in sospeso. È però un dettaglio importante il mago, in quanto è il mago a dire a Aladino che è destinato, anzi, predesti­nato a diventare il sultano più ricco del mondo. Dunque, c’è questa scena in cui al figlio del sarto poverissimo tutto sarebbe precluso e l’avvenire negato. Miseria e povertà le caratteristiche di questo avve­nire, mentre al figlio del sultano sareb­bero concessi tutti i beni e tutte le ric­chezze. Per Aladino, una volta entrato in possesso della lampada, s’instaura un in­cantesimo per il quale ogni cosa che serve viene dalla lampada in quanto tale. Lui ordina al genio della lampada e la cosa si realizza, però nei termini in cui è stata ordinata. È questo l’incantesimo: la lampada fornisce a Aladino ogni cosa senza differenza e senza variazione ri­spetto a come Aladino comanda.

In que­sto incantesimo, in questo incantamento genealogico, la differenza e la variazione sarebbero considerati un maleficio. Ogni differenza rispetto a come le cose devono essere, a come sono volute, a come sono ordinate da Aladino sarebbe il se­gno del maleficio, del male, della corruzione, il segno dell’incesto. In questa genealo­gia, in questa discendenza diretta dall’origine, dalla lampada, le cose non avvengono, non accadono, non diven­gono, ma “sono”, sono in quanto tali. È questo l’incantesimo! Aladino ordina alla lam­pada, ma è senza pa­rola. La vita di Aladino è senza parola e vive nell’oscillazione tra il beneficio e il maleficio.

La predestinazione di Aladino, più che la sua vita, come dicevamo all’inizio, è la sintesi della sua origine, è la sintesi della lampada, è la breve sintesi del suo de­stino; come dire che a Aladino è tolta la vita. Si chiarirà meglio nel corso della se­rata questo dettaglio. Alla vita di Ala­dino, in modo particolare, è tolto il go­dimento, il desiderio, il piacere. Ciò che dà il suo statuto alla vita è la domanda con le sue vicende, il suo svolgimento, la sua ricerca, la sua riuscita, con i disposi­tivi che la riuscita esige. Tutto ciò per Aladino è tolto. C’è la lampada, ci sono le cose, e basta ordinare alla lampada e le cose “sono”. Quindi, la lampada toglie a Aladino l’itinerario. Aladino, nella sua predestinazione, ritiene che per diventare sultano, per essere sultano, deve avere le cose, deve possederle. Avere per essere. È in questa mitologia che si trova Aladino. Per diventare sul­tano deve avere gli schiavi, le schiave, le ricchezze, il palazzo, i beni, deve avere tutte queste cose, e la lampada gliele fornisce, perché senza queste cose non sarebbe mai il sultano. Senza le cose, Aladino è il povero Aladino, miserrimo, figlio di un sarto, senza nemmeno l’indispensabile per sopravvivere. Senza le cose, senza avere le cose, non è. E la lampada sarebbe la condizione di questo avere e di questo essere.

Nes­suno sforzo per Aladino se non quello di ordinare alla lampada di procurare le cose, di avere le cose. Questo è il suo destino: per essere, deve avere! Se non ha, non è! Questo è il suo destino, questa è la sua condanna. Se non ha, muore. Se non è, muore. Per avere deve uccidere. In questa predesti­nazione sono previsti la morte e l’assassinio. Il pericolo è quello di non avere e di non essere. Corollari della condanna a questo destino sono la ven­detta, la colpa, la pena, con le rispettive rappresentazioni, corollari che indicano propriamente l’assenza della parola, l’assenza della parola originaria e la fan­tasmatica sostanzialista.

Pubblico Che termine diceva? Fantasma­tica?

R.C. Sì. Nella fantasmatica dell’idea sostanzialista non c’è il processo di qualificazione, ma le cose sono tali.

Pubblico Che cosa vuole dire “tali”?

R.C. Sostanziali, sono tali. Non en­trano nella parola, ma sono in quanto tali, per cui non esigono nessuna ricerca, nessuno sforzo, nessuna do­manda, nessun percorso, nessun cam­mino, nessuna vicenda, nessun racconto, nessuna descrizione, nessuna ingegneria, ma “sono”, sono così e arrivano così dalla lam­pada. Si tratta, dunque, di essere sulla scia della lampada, sulla linea della lampada. Si tratta di potere usufruire dei benefici della lampada, di avere la lam­pada, di conoscere la lampada, di trattare la lampada, di sapere come usare la lam­pada. Non serve altro, basta la lampada.

La formula giuridica dell’assoluzione va dal non avere commesso il fatto alla con­statazione che il fatto non sussiste. Que­sta è una formula interessante: “Il fatto non sussiste”! Formula che, se considerata nel suo estremismo, dovrebbe portare all’abolizione del reato di falsa testimo­nianza, perché, se il fatto non sussiste, come potrebbe essere testimoniato in modo univoco? Ciascuna cosa non è tale, ma entra nel racconto e in un processo di qualificazione, per cui diffe­risce e varia ciascuna volta, non da per­sona a persona, ma persino di volta in volta. Se io racconto qualcosa adesso, non è lo stesso racconto che posso fare domani o prima o dopo, perché il fatto non sussiste.

Le cose non vengono dalla lampada in quanto tali. Da dove ven­gono? E dove vanno? E come ci vanno? Vanno per via di racconto. Senza rac­conto non vanno da nessuna parte. Quindi, vanno per via di parola, per via di ricerca, per via di analisi, cioè per via di assoluzione. Cioè, la constatazione che il fatto non sussiste, che il fatto non c’è più, è il teorema dell’analisi. Da quando la parola è originaria non c’è più il fatto in quanto tale. Il fatto non sussi­ste. Dunque, il fatto non c’è più perché non c’è mai stato nella parola. Nella pa­rola originaria, il fatto non sussiste, non c’è mai stato. Allora, com’è che si è in­staurata “l’idea del fatto”, che possa esserci “il fatto”, che possano esserci le cose in quanto tali, senza differenza, senza varia­zione, senza sfumatura, senza racconto, senza funzionamento linguistico, quindi senza metafora, senza spostamento, senza catacresi? L’obiettività!

Pubblico Cos’è la catacresi?

R.C. L’abuso, l’abuso linguistico. Katà to kreon, secondo l’occorrenza. Cata­cresi, abuso linguistico.

Pubblico Sarà la voce del verbo crino.

R.C. Crino, clino, clinein, crinein cli­nica, giudizio, piega, piegatura; è la que­stione dell’occorrenza linguistica.

Pubblico Cancellare.

R.C. No, giudicare. Clino piegare. La piega. Sono momenti differenti del pro­cesso, della procedura di qualificazione per cui le cose si dicono, e dicendosi si dividono, e dividendosi si piegano, e pie­gandosi vanno in direzione della cifra. Non sono mai tali. La clinica è in direzione della qualificazione. La cli­nica è ciò che consente di cogliere qual­cosa nello specifico. La clinica, così come il giudizio. Non è il giudizio mo­rale, è il giudizio dell’Altro, il giudizio che procede dalla molteplicità, giudizio temporale.

La complessità linguistica è intoglibile, complessità che è propria della parola e mai può essere espunta a favore del gergo, a favore di una lingua unica, comune, che sarebbe la lingua con cui Aladino si rivolge alla lampada, nell’incantamento, nell’incantesimo. Ma ciò che entra nella struttura del racconto ha la sua condizione nell’assoluto e la sua prerogativa nell’assoluzione.

Assolu­zione, analysis è lo scioglimento da qualunque origine, da qualunque signifi­cato dato, da qualunque detto predeter­minato perché la lingua si avvale della metafora, della metonimia, della cata­cresi, essenziali nel processo di qualifica­zione, imprevedibili, non certamente atti volontari o predeterminabili o predeter­minati. Possiamo dire che sono assoluta­mente senza coscienza. Il modo con cui metafora, metonimia, catacresi interven­gono parlando, è totalmente estraneo alla volontà e alla coscienza, e l’esperienza della parola originaria è innanzi tutto esperienza di questa assoluzione. E come corollario possiamo dire che non c’è più lingua comune.

Nessuno parla la stessa lingua, addirittura nessuno parla la sua lingua e nessuno dice ciò che vuole dire. L’analisi indica l’assoluzione dal volere dire, dal potere dire, dal dovere dire, dalle modalità predeterminate del dire. Cioè, il funzionamento della parola, parlando, comporta l’impadroneggiabilità della parola, l’assoluta assenza di padronanza e di controllo sulla parola, su ciò che si dice. E l’impadroneggiabilità, questa as­senza di controllo senza rimedio, ha come indici qualcosa che ha scatenato la reazione contro la pa­rola originaria, indici che sono la castrazione, la mancanza e il limite.

Castrazione, mancanza, limite: tre ter­mini, tre significanti aborriti. Castra­zione? Per carità, non ne parliamo nean­che! Mancanza? “Non manco di nulla io! Sono tutto d’un pezzo”. Limiti? “Io non ho limiti”. Oppure il contrario: “E sì, purtroppo sono stato totalmente castrato, sono mancante di ogni cosa”! In un caso o nell’altro questi termini vengono rappresentati soggettivamente come attributi dell’essere o dell’avere, attributi soggettivi, per cui la castrazione è intesa come castrazione soggettiva, la mancanza come mancanza soggettiva, mancanza di qualcosa, e il limite come limite personale, come impedimento ri­spetto a qualcosa. È il modo di ragionare di Aladino. Aladino ragiona così! Per­tanto, deve ricorrere alla lampada come rimedio alla castrazione, alla mancanza e al limite.

Ma di cosa si tratta, nella pa­rola, quanto alla castrazione, alla man­canza e al limite? La castrazione è ciò per cui c’è il godimento, e il godimento non è mai completo, non è mai finito, non raggiunge mai il colmo, cioè la castra­zione avviene in un dispendio senza conteni­mento, la castrazione è il dispendio pulsionale, è il di­spendio della parola sul versante della rimozione, è il dispendio costituito dallo sforzo di parlare, dallo sforzo intellet­tuale, dallo sforzo di dire ciò che si vuole dire senza mai potere farlo. Questa è la castrazione, perché dicendosi le cose non sono ma divengono; avvengono e divengono, entrano in un processo tem­porale per cui si dividono, dividendosi si piegano, piegandosi si odono.

Tutto ciò producendo una traduzione, un fun­zionamento che produce una traduzione. Non è la stessa parola, non è la stessa cosa. Quel che si racconta è differente e vario. In questo sta la castra­zione, in un dispendio inesauribile il cui effetto è per un verso il senso, per l’altro il godimento. Allora, la castrazione è la sensazione dell’inesauribilità del di­spendio. L’inesauribilità del dispendio è la castrazione. Quindi, castrazione di qual­cuno? No! Castrazione personale? No, affatto! Castrazione nel processo di qua­lificazione della parola, castrazione nel dire. Castrazione che si ha nel gerun­dio, dicendo.

Dicendo, dicendosi, le cose si espongono alla castrazione, esigono la castrazione. Nulla di negativo, nulla di male, anzi, è qualcosa di strutturale, è qualcosa senza cui il godimento non si effettua, ma è anche qualcosa di non pa­droneggiabile, su cui non può essere esercitato il controllo, da cui la reazione con la sua prescrizione alla padronanza.

La volontà: se vuoi, puoi! Vuoi chi, puoi che cosa? Tu chi? Chi sarebbe questo soggetto volente? Chi sarebbe? È il sog­getto che si esaurisce, il soggetto dell’esaurimento, soggetto esauribile. È il soggetto oggi alla moda, ossia il soggetto depresso. La depressione altro non è se non il modo con cui viene chiamata la reazione alla castrazione, l’evitamento della castrazione, il rimedio alla castra­zione. Come? Abolendo la parola, abo­lendo i dispositivi di parola e assumendo la sostanza, assumendo la prescrizione genealogica, assumendo la lampada di Aladino, la lampada che fornisce le cose così come devono essere, come dovreb­bero essere. Infatti, il godimento, in quanto effetto dell’atto di parola, è inassegnabile, non può essere assegnato, pre­visto, quantificato, predeterminato, pre­scritto, e quindi la castrazione è il corol­lario di questa non assegnabilità del go­dimento.

Contrariamente a quanto viene pubblicizzato, propagandato da ogni soggettivista, da ogni soggetto, la castrazione è ciò che lascia godere nel varco tra un equivoco e un altro equi­voco. Nel varco, non nel continuum né nella sintesi. Nel varco. Cioè, il godi­mento non è riproducibile. È proprio qui la questione. È contro la non ripro­ducibilità del godimento che sorge la rea­zione alla castrazione, tentando di isti­tuire una precettistica del godimento, una riproducibilità del godimento, cercando di localizzare dove, come, quando stia, sia, avvenga il godimento, in che misura e in che quantità. E non è l’ideologia della droga, questa? Non è la stessa ideologia della droga quella che propone una ri­producibilità scientifica del godimento con la sua posologia? “Mi faccio una dose di godimento”. “Quando?”. “Adesso, dopo, più tardi, quando ne ho voglia”. Mitologia che insegue la fantasia, l’idea di una sostanza che possa fornire il godimento in misura nota e ri­producibile.

Questa riproducibilità delle cose oggi è pubblicizzata come scientifi­cità. La scientificità di un metodo sta nella sua possibile riproduzione, riproducibilità. Ciò che è riproducibile è scientifico per­ché così non c’è castrazione, non c’è mancanza; abbiamo le cose che vogliamo e quindi siamo. Cosa siamo? Cosa? Quindi, questa mitologia sostanzialista che mira a espungere la castrazione sotto l’egida della padronanza, risponde a una certa idea di pienezza di sé, senza cui il soggetto sarebbe mancante o perdente o privo, privato di qualcosa. E dato che sarebbe mancante o privo o limitato, deve sopperire con la droga perché non ha ciò che gli consentirebbe di essere. Perché non ce l’ha? Perché gli sarebbe stato tolto o perché ne sarebbe stato pri­vato o perché ne sarebbe mancante.

E questo è il caso emblematico dell’epoca attorno a cui si è radunata l’Italia in que­sti giorni, il caso solenne di Pantani, il caso dell’eroe sfortunato che è stato pri­vato dell’aura, del titolo e che, dunque, è caduto nell’abisso della droga. Occorre analizzare allora questo caso che trova l’Italia commossa, con una commozione cerebrale di dimensione nazionale; tutti cervelli commossi. Una volta questo caso di commozione cerebrale sarebbe stato definito “buttare i cervelli all’ammasso”. Adesso no, è semplicemente un caso di commozione cerebrale nazionale che, tuttavia, fa riflettere sull’entità, la qualità di questi cervelli che, se pur commossi, dovrebbero pure essere cervelli. Ma la commozione è senza cervello, questo è il punto.

Questo è il caso di un soggetto della pienezza, della vittoria, della ricchezza, della potenza, il soggetto a cui, improvvisamente, viene tolta proprio la vittoria, la ric­chezza, il titolo e viene dichia­rato impostore. Che cosa accade a questo soggetto? Questo soggetto, che dunque non ha più un posto nella genea­logia, questo soggetto muore. Chiara­mente, muore. Ma non c’è ombra di dub­bio che sarebbe morto. Lo constatai que­sta estate dopo che comparve sui giornali la notizia che era stato ricoverato nel non plus ultra, nel luogo della resurrezione, dove veniva sottoposto a test psicodia­gnostici e a terapie motivazionali. Proprio la tecnologia per il ripristino della soggettività. Peccato non avere qui il quotidiano di ieri che celebrava i fasti di questa tecnica.

Ebbene Pantani muore perché non poteva andare differente­mente. Essendo soggetto della genealo­gia, essendo soggetto della vitto­ria, essendo soggetto sostanziale, senza parola, soggetto della lampada, muore, e al colmo, al massimo della celebrazione, la commozione na­zionale lo dichiara malato di mente. Per quello è morto: era malato, malato di mente! La nazione è salva, è morto sem­plicemente un malato di mente. Nessuno c’entra. Qualche cattiva compagnia, è chiaro, ma il sistema è salvo, il sistema è sano, è lui che era malato, era depresso, un caso di malattia. E, perbacco, ci com­muoviamo, ma prendiamone atto: era malato!

Quindi, da una parte resta la mitologia sostanzialista del campione, campione innocente, dall’altra viene sal­vato l’uomo. È morto perché era malato, ma l’uomo è sano. Era un brav’uomo. L’umanità è salva. Purtroppo, alcuni si ammalano, pazienza, ma il genere è salvo, il discorso che lo sostiene è valido. Non è nemmeno il caso di indagare sulla questione, va tutto bene, è morto un ma­lato. Commuoviamoci perché dispiace sempre, un così bravo ragazzo, ma per il resto tutto bene. Nulla gli è imputabile: le scelte sbagliate, l’uso della droga, l’eventuale doping; era malato, senza re­sponsabilità. Il soggetto ammalato è il soggetto senza responsabilità.

Dunque, è salva la trimurti del discorso occidentale per cui il soggetto è soggetto debole, incapace, malato, tri­murti su cui si regge, diciamo così, tutta la schiera dei professionisti della morte, della morte bianca. D’altronde, forse si sarebbe potuto salvare, ma avrebbe do­vuto rimanere nel luogo indicato dai pro­fessionisti della morte. Allora sì, forse. Ma è stato rapito dal gorgo da cui non c’è ritorno, il gorgo della depres­sione. Avete provato a leggere i giornali?

Pubblico Dicono depressione biologica.

R.C. Biologica, certo!

Pubblico Non reattiva.

R.C. Non reattiva, biologica, cioè proprio predestinata. Era predestinato a mo­rire, biologicamente predestinato! Una depressione biologica. Chiaro!

Ora, è un caso emblematico per vari mo­tivi. Effettivamente c’è stata una perse­cuzione. Quanti processi con imputazioni senza base giuridica! Non c’è una legge per la quale potere essere imputato, ciono­nostante gli hanno istruito una serie di processi. Il giorno prima della conclu­sione di un Giro d’Italia, dicono che non è a posto e lo squalificano. Ma non è questo ciò per cui è morto. È morto per­ché si è fatto vittima. Si è fatto soggetto della persecuzione e si è lasciato andare.

È questa la questione della de­pressione, cioè del lasciarsi andare alla soggettività, perché è chiaro che a un certo punto è venuta meno la spinta, è venuta meno l’istanza di vita essendosi costituito come soggetto della sconfitta, come vittima. Chi si fa vittima, muore. Questa è la questione. L’abbiamo verifi­cato in tante circostanze. Mani pulite; quante persone si sono fatte vittima e sono morte, ma non per suicidio, in modo vario: chi ha avuto l’infarto, chi ha avuto il cancro, chi ha avuto l’ictus, chi ha avuto altre rappresentazioni del male. Farsi vittima è come dire cedere all’idea di fine. È un modo per applicare la condanna, applicare la colpa e applicare la pena.

Ognuno ha la sua idea della vendetta, della colpa e della pena e c’è anche chi si somministra, con posologia differente, ora la vendetta, ora la pena. La castra­zione, dicevamo prima, è inconscia, è originaria, è inassegnabile e inattribui­bile, così come il godimento. Ma istituire la coscienza della castrazione, cioè loca­lizzare la castrazione in qualcosa, in qualcosa che viene tolto, in qualcosa che viene strappato, in qualcosa di cui venire privati, questo istituisce la castrazione come malattia, il vittimismo come malat­tia, e di rappresentare il segno di questa ferita, il segno di ciò che è stato tolto, fino alla morte.

Ora, è il caso appena di constatare, per concludere la questione, che Pantani si è inflitto la pena, si è inflitto da sé la massima pena, evidentemente per una coscienza di colpa, credendo alla colpa che nessun tri­bunale gli aveva tuttavia riconosciuto. Nessun tribunale l’aveva condannato, ma si è inflitto la massima pena. Questo, sia che si sia suicidato il giorno in cui è stato trovato morto, sia che non si sia suicidato “volontariamente”. Si è comunque in­flitto la pena di morte.

Ci sarebbe anche da esplorare, da analizzare la mitologia del numero uno. Il numero uno. Chi è il nu­mero uno? È essere il numero uno, il soggetto della pienezza, fuori serie o il soggetto senza la castra­zione, senza mancanza. Cioè, sono tutte mitologie che non sono affrontate intellettualmente e che vengono proposte anche dal così detto mondo dello sport come qualità, come proprietà esemplari. No! Sono invece i luoghi comuni della soggetti­vità, i luoghi comuni sostanzialisti, i luoghi comuni che rientrano nella mitologia soggettivistica in ciò che costituisce la base del discorso occidentale, cioè della reazione alla parola originaria. Vari appa­rati, oggi, mirano a rendere accettabili, come segno di normalità, questi luoghi comuni, queste mitologie e a diffonderle.

Siccome vedo una certa commozione serpeggiante per la sala, che au­spico non giunga alla commozione cere­brale, mi fermo qui. Se ci sono domande, notazioni. Non so se ho risposto alle que­stioni, forse un po’ di traverso, tangen­zialmente. Ci riflettiamo magari, valu­tiamo.

Cecilia Maurantonio Prima lei di­ceva, a proposito di Aladino, avere, pos­sedere per essere sultano?

R.C. Sì. Avere le cose per essere sul­tano.

C.M. Però, non come il sultano.

R.C. Qui c’è tutto un capitolo, che chiaramente è da elaborare, su questa questione.

C.M. La domanda che mi è sorta è questa: non è esattamente come il sul­tano, perché…

R.C. Chi ha detto “come” il sultano?

C.M. Nessuno, ma per essere sultano.

R.C. Per essere il sultano. Lei intro­duce il “come”, per essere “come il sultano”. Benissimo!

C.M. Ma invece è proprio ciò che non c’è, in quanto tutto ciò che Aladino chiede alla lampada è sempre di più di ciò che ha il sultano, dalle pietre pre­ziose alle ricchezze come il sultano non aveva mai posseduto, non aveva mai vi­sto, così il palazzo, il numero degli schiavi, delle schiave.

R.C. Perché Aladino vuole diventare il numero uno. Il sultano dei sultani. Vuole essere il sultano.

C.M. Io non lo so, perché un conto è dire che voleva essere il sultano, ma c’è evidentemente una sua osservazione di una scena che ha quantificato quali sono i beni.

R.C. Esatto. C’è una notazione di Freud molto interessante a proposito del “come”, quando dice: “Come il padre devi essere, come il padre non puoi es­sere”.

C.M. E poi una domanda attorno all’elaborazione di questa sera del ter­mine erotismo.

R.C. Non lo abbiamo nominato.

C.M. Ma è stato svolto.

R.C. Non l’abbiamo nominato, ma ab­biamo indicato. Lei vuole che lo nomi­niamo? Dev’essere nominato? Che cos’è? Questo fa parte del compito per casa. Il compito per casa per ciascuno è qualificare l’erotismo. Stante il percorso di questa sera, di cosa si tratta nell’erotismo. La prossima volta valuteremo i compiti svolti a casa, perché il mio l’abbiamo letto, l’abbiamo di­scusso. Adesso, a ciascuno il suo com­pito. Ci sono altre domande?

Pubblico Io non ho mai letto la lampada di Aladino e non mi dispiace affatto, perché non mi ha mai incantato. Adesso potrei anche dire, forse in maniera un po’ gros­solana, non provocatoria, quasi goliar­dica, che può essere vista come un cenno iniziale di truffa.

R.C. Dove lei individuerebbe la truffa? Può illustrare meglio?

Pubblico Lei ha fatto un cenno, prima, al fi­glio del sarto ipotetico, al figlio del sul­tano ipotetico, a questo mago che si fa vedere. Sono figure in una scenografia nella quale ci può stare dentro anche un riferimento, anche involontario, casuale, a quello che ho detto prima, cioè alla truffa o a un qualcosa di artifi­cioso che serve per raggiungere determi­nati risultati in maniera veloce.

R.C. Bene. Grazie. È interes­sante questo rilievo, ho preso nota, per­ché non è del tutto esente da quanto si svolge attorno a questa fantasma­tica. L’idea della truffa e l’idea dell’artificio.

Pubblico Presi un po’ come lezione, come moralità da tenere presente.

R.C. Certo, infatti la fiaba si conclude con una morale che viene illustrata. In ef­fetti, per Platone, chi non si attiene alla genealogia sarebbe o un truffatore o un impostore. Platone assegna a ognuno il suo posto su base genealogica, e chi si volesse togliere da quel posto o tentare di occuparne un altro, sarebbe passibile di pena, perché sarebbe un disturbatore dell’armonia sociale.

Pubblico Dove per curiosità?

R.C. Nella Repubblica.

Pubblico Precisamente dove?

R.C. Vuole il versetto?

Pubblico Il versetto non c’è, ma c’è nella Bibbia. Però, visto che ne parla, si pre­sume che la conosca.

R.C. Adesso, proprio i riferimenti. Beh, porteremo i riferimenti.

Pubblico Non ho mai letto, né in traduzione né in originale, riferimenti di Platone alla genealogia. Parto dalla Repubblica che è uno dei dialoghi più conosciuti di Pla­tone. Però, potremo discutere di due codici. Probabilmente lei ha visto un co­dice diverso da un altro.

R.C. Potremo provare a rileggerlo. Va bene.


Facebooktwitterlinkedin
Edizione
  • La politica del brainworker
  • Come combattere per la salute
  • Un vaccino per il linfoma follicolare
  • Con la crisi non c'è più sistema
  • Dove cogliere i frutti del tempo
  • Il criterio dell'ascolto
  • La forza del progetto e dell'ingegno
  • La scuola e l’abuso di sostanze
  • L'amore senza fine, l'odio senza rimando
  • La medicina e la cura. Non c'è rivoluzione transumanista
  • Noi, l’infinito e il gerundio della psicanalisi
  • L’istante della clinica
  • Il gerundio, la complessità, la lettura
  • Come ciascuno diviene art ambassador
  • Libertà originaria o libertà possibile?
  • Integrità e annunciazione
  • Come leggere le fiabe
  • L’inconscio trascorre in un film
  • Babadook e la fantasia dell’uomo nero
  • Il delirio e la clinica
  • La famiglia. L’amore, l’odio e il fantasma d’incesto.
  • La famiglia, il diritto, la sessualità
  • L’encefalo senza cervello. Il nuovo psichismo
  • La morsa dello psichismo tra demonologia e organicismo. Ma c’è la parola, che non si può togliere.
  • La madre, il suo mito, la sua rappresentazione
  • Sessualità e mimetismo
  • La famiglia. L’idea di Dio e l’idea del padre
  • Il padre debole e il figlio ribelle
  • L’amore e l’odio. La famiglia, il diritto, la sessualità
  • La famiglia e l’altra famiglia
  • Il mito della famiglia
  • L'amore del padre e il matricidio
  • L'avvenire e l'idea dell'avvenire
  • La realtà dell’esperienza
  • La città della differenza. Dove vivere, come vivere, senza vergogna
  • L’invito
  • L’invito alla battaglia
  • Noi, qui
  • La voglia e la realtà della cifra
  • La lettura delle fiabe
  • La follia e l'arte
  • La tentazione del cibo
  • L'educazione. Amicizia, solidarietà, relazione
  • L'inconscio e la qualità della vita
  • La scuola e l’itinerario intellettuale
  • La scommessa dell’avvenire
  • La forza, l’orgoglio, la missione
  • La scuola, l’intellettualità, il merito
  • La democrazia
  • L’autorità e la disciplina
  • La decisione
  • Chi intende. Quale programma?
  • I dispositivi economici e i dispositivi finanziari
  • L’economia e la finanza. L’educazione al valore della vita
  • La scuola: per tutti o per ciascuno?
  • Generalmente, normalmente, comunemente.
  • La scuola senza etichette
  • La necessità pragmatica
  • La direzione e la bussola
  • Hänsel e Gretel
  • Cappuccetto rosso
  • Rosaspina
  • La sirenetta
  • I cigni selvatici
  • Il gatto con gli stivali
  • Barbablù
  • Il brutto anatroccolo
  • La lingua della parola
  • Il teorema della redenzione
  • La lingua dell’autorità
  • La lingua dell’annunciazione
  • La lingua della notizia
  • La lingua della volontà e il giro della morte
  • La lingua civile
  • La lingua dell’esperienza della parola
  • Il capitalismo nuovo e la sua lingua
  • La lingua della cura
  • Particolarità, proprietà, virtù della parola non sono personali
  • Non c’è più da aspettare
  • I termini della scommessa
  • “Sì, però…”, l’ipotiposi. E non c’è più litigio
  • La lingua della vita
  • Cibo e erotismo
  • La vita come reality
  • Farsi vittima
  • Stress e relax
  • La famiglia di Aladino
  • La lampada dell’erotismo
  • La poesia dell’acqua
  • L’amore
  • I giovani e la conoscenza
  • Aladino, il cibo, il fumo
  • Come il fantasma di morte fonda la nosologia e si dilegua all’orlo della vita
  • Di una lampada che non illumina
  • Cristo, Aladino e l’annunciazione
  • Aladino, la principessa, la sessualità
  • Mamma la paura: il matricidio, l’aborto, l’infanticidio
  • L’incredibile potere dell’uovo di Rukh
  • Patrimonio e matrimonio
  • Il caso clinico della Storia di Aladino e della lampada meravigliosa
  • Il modo dell’amore
  • L’amore libero
  • In materia d’amore
  • L’amore nell’educazione
  • L’amore senza genealogia
  • L’amore più ne ha, più ne dà
  • Il figlio, la memoria, il dolore
  • Come e perché la lettura dissipa i personaggi della fiaba e instaura il caso clinico e il caso di cifra
  • La lettura e l’ascolto
  • Il vittimismo e il fantasma di assassinio
  • Bullismo e vittimismo
  • L’abbandono
  • La famiglia senza più edipismo
  • L’ascolto
  • La famiglia come traccia e la clinica
  • Amicizia, solidarietà, relazione
  • Innamoramento e amore
  • Il narcisismo
  • L’amore del padre e l’odio della madre
  • Sessualità, generosità, riuscita
  • I dispositivi sessuali nella famiglia e nella scuola
  • L’educazione, l’ambiente, la civiltà
  • L’educazione senza ostilità
  • L’efficacia dell’insegnamento
  • Il progetto e il programma di vita
  • I dispositivi di direzione
Scroll
RUGGERO CHINAGLIA
Largo Europa 16 35137 Padova
+ (39) 0498759300
ruggerochinaglia@infinito.it
Articoli recenti
  • LA VITA SENZA PAZZIA – Dibattiti
  • LA RIVOLUZIONE DELLA SESSUALITÀ
  • LA RIVOLUZIONE DELLA SESSUALITÀ
Policy
  • Policy del sito
  • Privacy Policy
  • Cookies-policy
Visita anche
cifrematicapadova.it

chiweb.net

Ruggero Chinaglia – Largo Europa 16, Padova + (39) 0498759300 – ruggerochinaglia@infinito.it – [ P.Iva 02053560286 ]

Per offrirti il miglior servizio possibile questo sito utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito acconsenti al loro impiego in conformità alla nostra Cookie Policy. Accetto No Cookie & Privacy Policy
Privacy & Cookies Policy

Privacy Overview

This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary
Sempre abilitato
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Non-necessary
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
ACCETTA E SALVA