Undicesimo capitolo del libro Luigi Pirandello L’amore e l’odio
Bullismo e vittimismo (Superior stabat lupus Novella di Luigi Pirandello)
Ruggero Chinaglia Siamo arrivati a un certo punto della novella Superior stabat lupus. Per riprendere i termini della questione, che cosa è accaduto sino a qui? Chi vuole fare il “riassunto” della puntata precedente? C’è chi vuole intervenire?
Cecilia Maurantonio Corrado Tranzi, appena laureato in medicina, è chiamato per un caso urgente, ma entrato nella stanza vede una fanciulla e, anche se scarmigliata, se ne innamora immediatamente. Mentre è nella stanza con la zia moribonda, che era ospite dei genitori della fanciulla che si chiama Ebe, vede al capezzale della moribonda un ragazzo, figlio della malata e cugino di Ebe. Ebe, per consolare il cugino gli accarezza i capelli e Corrado Tranzi, infastidito da questo gesto, allontana il ragazzo dicendo che la malata ha bisogno d’aria. Tranzi cerca di affrettare i tempi e chiede la mano di Ebe temendo che la presenza del cugino potesse aggiungere qualcosa al sentimento e all’affetto che c’era già per la cugina. Lui la sposa e dopo un anno di grande amore ha una figlia, però Ebe muore dandola alla luce e lui parte all’improvviso senza nemmeno vedere la figlia. I nonni di Ebe si accorgono di una grande somiglianza della nipote con la loro figlia, la bambina infatti viene chiamata come la madre Ebe e con il diminutivo Bebé. Marco Perla, che è il cugino, si accorge anche lui di questa somiglianza che rinfocola i sentimenti forti di amore e di passione che aveva provato nei confronti della cugina. A me ha colpito il bacio che lui si ricorda della cugina. Intanto muore il nonno di Bebé, che non lascia granché di pensione. È quindi Marco Perla a pensare al sostentamento di Bebé e della zia, perché il padre è sempre in viaggio e non si sa dove sia. Perla si sente anche in obbligo nei confronti della zia, che lo aveva ospitato quando da giovane era rimasto lui orfano e provvede al sostentamento di entrambe, ma è anche mosso dalla passione e dall’amore per Bebé, per cui coglie l’occasione di questo momento difficile. Il testo parla di sentimenti, che poi sono descritti come ricordi dei giochi che lui faceva con la cuginetta, della grazia dei gesti, le risate; sono queste le cose che provocano in lui questi sentimenti. Poi non mi ricordo.
Pubblico Lui chiede aiuto alla zia.
R.C. Chiede di intercedere, di mettere una buona parola, che è una proprietà di Maria, per dire così. Lui chiede alla zia di mettere una buona parola e aspetta. Aspetta che la zia gli tolga le castagne dal fuoco; e qui entriamo nel vivo della questione. Voi non potete saperlo perché non lo avete letto, però entriamo nel vivo.
Aspettando che le parole della zia sortiscano qualche risultato …furono per Marco Perla mesi d’angoscia e di disperazione.
L’attesa! Una disperazione ancora domestica che consente di aspettare, perché la disperazione effettiva non consente di aspettare. Nella disperazione, lui si chiede se la zia aveva saputo o non saputo parlare con Ebe.
Forse la zia non aveva saputo parlare. Lo argomentava dal contegno di Bebé verso di lui.
Lui aspetta, guarda Bebé, ma non nota la svolta, non la nota e aspetta. Ha molta pazienza Marco Perla, eh!
Più tempo passava, e più profondamente vedeva egli radicati nel cuore di lei il ricordo e il rimpianto di quel giovine già partito per Roma.
Cioè, anziché dimenticarsene, questo ricordo continua e s’ingigantisce. Quindi, Marco Perla è disperato e intanto la zia deperisce …quasi rosa da quel segreto che egli le aveva confidato.
Ma poco prima di morire trova il coraggio; lui aspettava e intanto la zia non le aveva ancora detto nulla.
Lo trovò poco prima di morire, il coraggio di parlare a Bebé, la povera zia. Se la chiamò accanto al letto, e cominciò a domandarle se ella si rendesse conto della condizione in cui tra poco – la zia gliela spiega – si sarebbe trovata: sola in casa, giovinetta, con un uomo che non le era né padre, né fratello, anche lui quasi giovane ancora, senz’alcun obbligo veramente verso di lei – si sarebbe trovata sola in casa, giovinetta, con un uomo che non le era né padre, né fratello – Che cosa era egli per lei? Figlio d’una sorella della nonna. Ed ella per lui? Figlia d’un uomo, che un giorno era irrotto come una bufera in casa e l’aveva schiantata. Una pianticella quasi senza radici, era: la madre, morta; il padre, sparito.
Questo è l’habitat: la casa schiantata, la madre morta, il padre partito. È importantissimo questo passo, perché è lo scenario fantasmatico in cui si svolge la vicenda. Madre morta, padre sparito, casa schiantata e quindi nessuna famiglia, nessuna casa, il disastro totale, si apre il diluvio. In quest’inferno …non le restava altro sostegno che lui, Marco, il quale si era sacrificato per loro.
Lui si era sacrificato per loro! Quindi, dato che si era sacrificato, …bisognava dargli un compenso, un premio per i tanti sacrifizii.
Dunque, Marco vanta credito presso la zia e presso Ebe. L’anfibologia del premio. Il premio è anfibologico: da una parte premio e dall’altra pena, la nozione di premio fa pendant con quella di pena. Quindi a Marco il premio per i sacrifici e a Ebe la pena.
Egli era buono e l’amava: le sarebbe stato padre e marito insieme.
Delicatissima la zia, in punto di morte dice: “Ti dico io come stanno le cose e in che condizioni ti trovi, con la casa schiantata, la madre morta, il padre sparito e in casa la persona che vanta credito nei tuoi confronti e che sarà per te padre e marito”. Una scena dell’incesto. Io adesso muoio, tu resti qui e dove resti? Te lo dico io: all’inferno a celebrare l’incesto! Ebe, dopo avere udito quest’apparente profezia, che cosa prova?
Stupore, dolore, orrore, vergogna assaltarono e sconvolsero Bebé, a questa rivelazione inattesa. Si aggrappò al collo della nonna e, rompendo in singhiozzi, la scongiurò di non morire, per carità di lei. No no; ecco: la avrebbe tenuta stretta così, per sempre, e non le avrebbe permesso di morire, ecco, non glielo avrebbe permesso! Ora che sapeva questa cosa orribile, sola con zio Marco non voleva, non poteva più restare. Per carità! per carità! Sarebbe morta lei, piuttosto.
Il testo che ci si profila a questo punto della ricerca è in realtà il contesto in cui si svolge l’intera vicenda, un testo fantasmatico. In quale famiglia accade quanto narrato? Nella famiglia in cui la madre è morta, è data per morta e non si è instaurata la madre, cioè in assenza del mito della madre e il padre è sparito, cioè in assenza del mito del padre. Questo è il contesto in cui il fantasma di morte avvolge il padre e la madre, e nulla può accadere se non all’insegna del male, del negativo. Infatti, qual è il destino che l’aspetta? L’incesto. Nel suo destino la sessualità è negata e il segno del negativo è davanti a ogni cosa. Padre e marito insieme: ecco il fantasma dell’incesto.
Qui c’è una precisione notevole nella combinazione e nella combinatoria di ciò per cui, a un certo punto, per qualcuno può instaurarsi il fantasma d’incesto. L’incesto altro non è se non un fantasma, il modo con cui è posto dinanzi il fantasma di genealogia, il fantasma d’origine. Da dove vengo, dove vado? Vado verso l’origine, dove c’è la coincidenza dell’origine con il destino! Questo è il fantasma d’incesto: la coincidenza dell’origine e del destino, per cui dinanzi c’è sempre l’origine, l’idea di giungere all’origine. Questo è il circolo mortifero, il circolo della morte, l’idea di morte. Il fantasma d’incesto e il fantasma di morte sono molto prossimi.
Noi abbiamo letto in precedenza che questo fantasma di morte era addirittura un fantasma di assassinio:
Ebe morì di parto. La sera stessa della sciagura, Corrado Tranzi, senza voler neanche vedere la bambina che, nascendo, aveva ucciso la madre, scappò via di casa come un pazzo.
Quindi, la fantasia è l’idea di avere ucciso la madre. Fantasma di morte e fantasma di assassinio che impediscono l’instaurazione della madre e del suo mito, la madre come indice del malinteso e come mito del tempo. Se c’è madre le cose non finiscono, le cose non possono volgersi al negativo perché il tempo non finisce e la madre in quanto indice del malinteso e del tempo non finisce. Ma se la madre è data per morta, se quindi il tempo è dato per finito, se il tempo è pensato attraverso la sua negativa, cioè attraverso la sua fine, lo scenario è funesto, è macabro: nessuna chance. Quale eventualità può affacciarsi all’orizzonte? Eventualmente un altro fantasma di morte: muore la zia e Ebe piuttosto morirebbe anche lei; il fantasma di morte persiste.
Dopo c’è una notazione molto interessante, è quasi un annuncio della scena del fantasma.
Bebé non aveva mai pensato al padre scomparso: non aveva mai avuto per lui alcun sentimento, né rancore né curiosità: esso per lei non esisteva, non era mai esistito. Cominciò a esistere il giorno della morte della nonna, allorché, ritornata in casa dal camposanto, si vide insieme con Marco Perla: insieme e divisa, insieme e nemica, conoscendo in lui un sentimento al quale non sapeva e non voleva rispondere.
Qui c’è la struttura del diniego. Lei “non” aveva mai pensato al padre, “non” esisteva, “non” aveva mai avuto per lui alcun sentimento, né curiosità. Allora, com’è che ci troviamo in questa scena fantasmatica in cui la madre è morta, il padre sparito, la casa schiantata, se mai c’era stata alcuna curiosità per il padre, mai nessun pensiero rivolto al padre? Il giorno della morte della nonna … si vede insieme a Marco Perla: insieme e divisa, cioè ancora l’anfibologia, la divisione che interviene nell’idea di relazione. Però, anziché relazione originaria questa diventa relazione sociale, relazione umana, relazione incestuosa. Questo è il percorso fantasmatico: Marco Perla diventa, come dice la zia in punto di morte, fantasmaticamente marito e padre.
Ecco un’altra anfibologia, un’altra doppia possibilità, positiva e negativa. Questo è l’infernale, avere il positivo e il negativo sempre davanti, per cui occorre scegliere. E cosa scegliere? Scegliere il positivo o scegliere il negativo? Ecco la questione che la logica binaria pone a ognuno, ossia scegliere per escludere una parte, ovviamente per escludere il negativo, per escludere la parte svantaggiosa, per esercitare la conoscenza sul bene; ma se c’è una cosa che è proprio impossibile è la conoscenza. È impossibile conoscere ciò che è esposto alla differenza e alla variazione.
Dunque, Bebé sa che Marco ha verso di lei un sentimento, cui però non vuole e non sa rispondere. A questo punto cosa può accadere?
Un odio cupo e feroce – diventa una belva, si animalizza, è già un animale anfibologico lei stessa – s’impossessò di lei per il padre sconosciuto che l’aveva messa al mondo e abbandonata senza neppure vederla; che dopo averle dato la vita – è il padre che dà la vita! – le aveva negato ogni diritto di esistere per lui – il padre, dopo averla messa al mondo, perché le nega questo diritto? – solo perché lei senza sua colpa, nascendo, aveva ucciso la madre.
La quadratura del cerchio! È precisissimo. A quel punto, un odio cupo e feroce per il padre che l’aveva messa al mondo e poi abbandonata. Perché l’ha abbandonata? Perché lei, nascendo, aveva ucciso la madre. Il fantasma di abbandono è la base del vittimismo.
Dunque, Bebé ritiene di essere stata abbandonata dal padre per punizione in quanto lei ha ucciso la madre. C’è una doppia fantasia. La prima di avere ucciso la madre. Una fantasia antica quella di nascere senza la madre, la stessa fantasia per cui Atena sorge dalla mente di Zeus. E cosa fa Atena? Atena è dedita a evitare l’incesto, infatti è vergine e non madre. Così la vuole la mitologia, così la vuole il suo destino: vergine e non madre, per evitare l’incesto!
La seconda fantasia è il fantasma di abbandono: “Perché sono venuto al mondo? Che ci faccio io qui al mondo?”. Quante volte abbiamo sentito questo lamento “che ci faccio io al mondo”, sottinteso “dato che sono stato abbandonato, dato che tu mi hai abbandonato, dato che voi mi avete abbandonato?”. È il lamento del vittimista che non sa cosa ci fa al mondo. Intanto crede nel mondo, in questa costruzione fantastica che chiama mondo e anche non sa cosa farci, perché è stato abbandonato. Allora, dato che è stato abbandonato, può abbandonarsi a ogni nefandezza, si abbandona a tutto il negativo possibile e fa il pazzo, il malato, il deficiente, il carente e tutte le rappresentazioni possibili dell’impossibilità, dell’insufficienza, dell’incapacità, rivendicando il suo buon diritto a non essere abbandonato, a essere accudito, a avere una vita facile. Ogni vittimismo procede dal fantasma di abbandono, dunque è il corollario della soggettività e del fantasma di morte.
Questa è veramente una pagina straordinaria che indica da dove la vicenda, fantasmaticamente, prende avvio. Dunque …le aveva negato ogni diritto di esistere per lui – “esistere per lui” ovviamente, quindi anche qui il fantasma di genealogia, d’appartenenza, una relazione diretta – perché lei senza sua colpa, nascendo, aveva ucciso la madre; come se questa non fosse stata una sciagura anche per lei.
Lei è sciagurata, nasce da una sciagura. Qual è l’origine di Bebé? A che cosa può volgersi il suo itinerario? A un’altra sciagura.
E anziché odio e orrore, la sua vista, la vista della figliuola orfana appena nata, non avrebbe dovuto suscitare in lui una maggiore pietà, il sentimento d’un doppio dovere! Quindi è rivendicazione rivolta al padre. Alla sua vista il padre avrebbe provato odio e orrore, quello stesso odio e orrore che adesso lei, a suo modo, restituisce.
Lei viene dall’odio e dall’orrore del padre che l’ha abbandonata e dunque segnata. Crede nella predestinazione, crede nella negatività dell’origine e alla conseguente negatività del destino. Nessuna conquista da fare per chi si culla in questa fantasmatica dove tutto sarebbe dovuto e allora si abbandona, può abbandonarsi, può permettersi tutto, se fare o non fare ciascuna volta. Invece, il padre, vedendola, avrebbe dovuto avvertire il doppio dovere, mentre al contrario era fuggito, era scomparso per orrore di lei. L’orrore è orrore dell’incesto, è orrore della relazione che può diventare sociale, è orrore dell’appartenenza, di una schiavitù sentita come prescritta e come predestinata. È attribuita all’Altro, ma ognuno si affligge e si assegna la schiavitù.
Dunque, il padre era fuggito …sottraendosi a ogni responsabilità per la vita che le aveva dato.
Dare e avere, dare e prendere, dare la vita, prendere la vita, l’anfibologia della madre, le Parche che tessono e tagliano il filo della vita, la madre che dà la vita e che toglie la vita. Debito e credito ontologico, soggettività del debito e del credito. Quindi ora Bebé se la prende con i genitori.
Era fuggito, scomparso […] rovesciando questa responsabilità addosso ai due poveri vecchi, a cui aveva tolto la figlia – cioè sua madre – e ora addosso a uno, che non aveva alcun dovere di assumersela.
Bebé ignorava che anche a costui il padre aveva tolto qualche cosa.
Qui Pirandello è finissimo, con una frasetta messa lì che sembra confermare la realtà dei fatti, dice invece qual è la struttura di questo fantasma. Qual è la struttura del vittimismo? Qual è la struttura che fonda la coppia vittima/carnefice, la coppia vittimista? Perché il vittimismo non si fa da solo, c’è bisogno sia della vittima e sia del carnefice, dell’autore del misfatto. Ora, qual è l’idea? Che qualcuno mi possa dare quel qualcosa di cui ho bisogno! Il vittimismo sta lì, nell’idea che qualcuno possa dare a me ciò di cui ho bisogno e ogni rivendicazione parte da questo. È semplice capire che anche la coppia amante/amato diventa un’accoppiata vittimista. Chi dà all’altro ciò di cui ha bisogno? E in che misura? In modo paritetico, paritario oppure impari, dispari, ineguale? Questa è l’altra faccia dell’abbandono, credere di avere bisogno di qualcosa che può essere dato da un altro.
Pirandello che cosa ci dice? Sembra confermare la ragione di Bebé, che ignorava che anche a Perla il padre aveva tolto qualcosa. Questa è l’idea che sia possibile togliere qualcosa all’Altro, da cui la restrizione, da cui l’alternativa: “Non posso fare questo, perché altrimenti non posso più fare quell’altro. Se faccio questo, non faccio quello! Non posso fare questa cosa, perché altrimenti tolgo qualcosa al marito, ai figli, ai genitori, agli amici, ai compagni, alla mamma, al mondo! O questo o quello, altrimenti rischio di togliere qualcosa all’Altro e così l’Altro mi toglie qualcosa”. Ecco il ricatto, la rivendicazione, il fantasma di abbandono; c’è sempre l’idea del soggetto, della soggettività, di essere soggetto.
Qual è la colpa del padre che Bebé ignora?
Ignorava ch’egli – il padre – aveva lasciato a costui – Marco – il peso della figlia – la figlia come peso, il figlio che pesa, il figlio pesa e quindi toglie qualcosa, il peso della figlia l’aveva lasciato a costui – dopo avergli tolto l’amore della madre.
Gira e rigira questi sono i termini: le rivendicazioni, l’accusa, l’idea di una colpa, l’idea di un torto subito, l’idea d’abbandono, l’idea genealogica, l’idea d’origine macchiata dalla colpa, l’idea della macchia come origine. Da dove vengo? Dalla macchia! Per tanto ogni sciagura è possibile!
Qual è la conclusione della ricognizione che Bebé sembra fare sulla propria vicenda?
Ed ecco, uno adesso la raccoglieva, che di quanto aveva fatto per lei voleva esser pagato e in pagamento esigeva tutta lei stessa, tutta la sua vita che gli apparteneva, poiché colui, quell’altro, gliene aveva lasciato il peso.
Sembra di avere attraversato un’epoca geologica e in effetti è così, perché questi sono i fantasmi dell’epoca, questa è la struttura fantasmatica attorno a cui si svolge l’epoca; l’epoca senza l’analisi, senza il ragionamento che segue all’analisi, l’epoca senza parola, l’epoca in cui le cose sono segnate dalla demonizzazione ontologica, dove le cose “sono così”. L’epoca senza racconto, senza narrazione, senza conversazione, senza analisi.
Se noi leggessimo senza analisi questo racconto, potremo credere a tutti i torti qui rappresentati e che, effettivamente, questa è la realtà dei fatti perché è andata proprio così, mentre dal racconto sono evidenti le fantasie, nella fattispecie di Ebe ma non solo le sue. Perché sono le fantasie che ognuno esibisce a piene mani, senza risparmio, rispetto a sé e rispetto all’Altro e che sono le fantasie dell’epoca.
La novella prosegue, ma per questa sera ci fermiamo qui, perché c’è materiale che esige analisi.
Magari c’è qualche domanda, qualche chiarimento che urge attorno a quanto abbiamo letto.
C.M. Come relazione sociale c’è l’ultima frase che ha detto: “Ti ho tolto dalla strada”.
R.C. Brava. La relazione sociale comporta la scelta con l’anfibologia e questo dà l’idea di padronanza sul tempo. Pone l’idea dell’intolleranza verso la rappresentazione come spettacolo della sessualità. Lo spettacolo deve essere decente. Prescrizione al corretto uso della sessualità.
C.M. È un’idea differente che mi era venuta intorno all’inizio della lettura di questo testo. Corrado Tranzi, il personaggio che appare per primo, non c’è più, non c’è una storia che lo precede, non dice da dove viene, se ha i genitori.
Sabrina Resoli C’è una frase interessante, quando Bebé dice che odia suo padre perché le ha negato di esistere per lui. Quindi, ho pensato al fantasma di riconoscimento connesso al vittimismo, di chi attende da altri il riconoscimento.
R.C. Deve vendicarsi, è destinata a vendicarsi per amore, per ribadire quell’amore che non è stato riconosciuto. Lei lo avrebbe amato, mentre lui le ha negato di potere dedicarsi tutta a lui.
Veronica Anche l’odio è un sentimento. Tutto gira sempre attorno ai ricordi, quindi è il vittimismo dei ricordi.
R.C. Esatto.
- Lei si è fermato così sull’odio, ma l’odio è un sentimento. L’indifferenza uccide.
R.C. L’odio transitivo apparentemente uccide. Ma la struttura dell’odio è impersonale, è intransitivo, come l’amore. L’odio è essenziale come l’amore, ma non è un sentimento! Il passo da fare è di dissipare l’idea che l’odio e l’amore siano sentimenti. Sono sentimenti nella situazione di Bebé. Bebé li ha trasformati in sentimenti, cioè in rivendicazione. Ma lo statuto originario dell’odio e dell’amore non è sentimentale, non è nemmeno personale, non è soggettivo. Fino a che vengono considerati sentimenti, possono essere gestiti, padroneggiati: “Io ti odio, tu mi odi, io ti amo, non ti amo, ti amerò sempre”. Cose facili da dire! Ma dove stanno l’amore e l’odio?
Sentimenti, lei dice, come la tristezza o la noia. Sarebbero tutti sentimenti, cioè vanno, vengono… “Oggi ce l’ho, domani chissà”. No! Lei non può odiare e non può nemmeno amare. L’amore è essenziale, ma non è che uno se ne accorge. L’amore è essenziale proprio quanto al modo della vivenza.
- V. L’amore è un bisogno.
R.C. Bisogno è un termine interessante, però ha avuto una pubblicità ideologica per tanti anni, sempre puntando a fare stabilire da qualcuno quali sono i bisogni reali di qualcun altro. Negli anni Sessanta e Settanta il dibattito verteva sui bisogni reali delle masse, poi sui reali bisogni dei giovani, poi sui reali bisogni delle donne, adesso su quali sono i reali bisogni degli omosessuali. Il bisogno non è nemmeno lo stato di bisogno. Il bisogno non è in relazione a qualcosa che manca. Curioso, no?
Pubblico È importante il bisogno di amare o di sentirsi amati?
R.C. È proprio il tema della settimana prossima, proseguendo la lettura, quello dell’importanza del bisogno di amare o di sentirsi amati.
