L’alleanza, la solidarietà, il patto
La logica, la struttura, la narrazione. Quale materia
C’è chi si chiede se sia meglio abbandonare o essere abbandonati. Se sia meglio la salvezza o la salute. Sono esempi di scelta impossibile; come ciascuna scelta. Impossibile scindere la relazione, se non rappresentandola come un vincolo fra soggetti che debbono essere liberati. Ecco allora Alessandro il Grande, il liberatore, con la sua spada che rescinde il nodo della vita. E ognuno è liberato. Ognuno ci pensa e si chiede: “Quando verrà la mia liberazione?”, “Come liberarsi?”.
Il fantasma di origine è adottato come il traduttore universale del male: ognuno che si fonda sulla genealogia si volge indietro a giustificare il presente e la sua visione dell’avvenire con il passato e cioè con la sua idea più o meno evidente di origine. La scommessa inaugura la via verso la cifra. Il discorso occidentale pone l’accento sulla logicità degli assunti e degli enunciati, anziché porre la questione della logica.
La logicità presupporrebbe un’ortopedia logica, una correttezza logica, una linearità causalistica che possa consentire di dire: “Sì, questo è logico”, “No, questo non è logico”. Su questa alternativa si fonda l’alternativa psichica che prende il nome di psicopatologia. La stessa nozione di psiche è istituita per consentire un modello ideale di funzionamento o di rappresentazione della logicità per inquadrare la soggettività e incasellarla. Come la causalità psichica.
Il presunto primato della logicità mira a espungere la questione della struttura come struttura temporale. Dire struttura temporale vale a indicarne l’inconoscibilità e l’imprevedibilità, quindi anche l’improbabilità. Dire struttura non significa che sia una e immutabile, anzi. Quali sono le strutture della vita? Intanto constatiamo la sintassi, la frase, il pragma, strutture dove funzionano il nome, il significante, l’Altro.
L’esperienza della parola si fa di atti e di strutture: così, il patrimonio è la struttura dove il padre è indice del nome che funziona; il matrimonio è la struttura in cui l’Altro funziona. Come s’instaurano queste strutture? Come proseguono? Come presumerne la fine? Come, dove, quando s’instaura allora il matrimonio come dispositivo? Fra chi? Fra soggetti? Fra uomini e donne? Si tratta del matrimonio sessuale, sessista o convenzionale? Religioso o laico? Il matrimonio invocato dai cosiddetti gay è osteggiato in nome di che cosa? Di uno statuto intellettuale dell’atto, della parola, della vita o di uno statuto sociale che deve garantire i ruoli e i personaggi che li rappresentano?
Qual è la materia dell’atto? Quale la materia della struttura? Quale la materia della logica?
Ricerca e impresa. Innegabili e inscindibili nella loro necessità.
Procedendo dalla relazione, il dispositivo pragmatico si può instaurare. Il dispositivo è nell’itinerario, nella struttura temporale: dove le cose si cifrano.
Giustificare e giustificarsi è il modo più comune di negare la clinica e di negare quindi la direzione verso la cifra di ciascuna cosa.
Come ascoltare. Come capire ciò che si dice, se la preoccupazione è di giustificare quel che si è detto e con quale intenzione? Le buone intenzioni, le cattive intenzioni appartengono al discorso inquisitorio e al discorso giudiziario che ne deriva. “Cosa ho detto?”, “Ma, non volevo dirlo”. Il soggetto si sostiene sul detto, e sulla coerenza con il detto si forma il personaggio.
Come può intervenire l’ascolto se il paradigma è postulato ante litteram? Come ascoltare quel che si dice se esso è sottoposto alla concettualizzazione, ossia è inserito in una lingua supposta comune per un senso e un significato supposti comuni, tali da garantire un sapere presunto comune?
Come attenersi alla parola e alle proprietà del principio tra cui l’anoressia da cui procede l’ignoranza?
Senza l’ignoranza vige il principio della rimemorazione, dell’analogia, della riconduzione al noto; vige il principio del ripristino: della significazione, dell’intenzione, della soggettivazione: “Cosa avrà voluto dire?”. La volontà di dire prevale forse sulla procedura del dire? Prevale sull’interdizione?
Dicendo. Facendo. Narrando. Raccontando. Scrivendo. Cifrando.
Chi narra? Come narrare? La narrazione procede per il contributo dell’amore e dell’odio. Infiniti.
Cosa indica la narrazione? Che non c’è la fine delle cose nel dispositivo di scrittura e di conclusione.
Le cose si dicono secondo il numero, due e tre; lealtà e dignità della parola. Per lealtà e dignità si dice la fiaba, nel registro della ricerca, e si struttura la memoria come ricerca. E l’Altro che non è escluso trae al racconto e pragmaticamente alla favola; la fiaba e la favola tendono a scriversi, con la narrazione, perché interviene la costruzione. Lo spirito costruttivo. Dio. Senza costruzione è come se ognuno stesse davanti al baratro, davanti all’ipotesi di fine; allora ognuno si ritrae e si volta indietro a considerare la sua origine, a spazializzare la sua origine, a cercare la sua origine, a giustificarsi con la sua origine rappresentata.
Non è questa la ricerca, non è la ricerca dell’origine. Il soggetto che si rappresenta umano si dibatte nelle pastoie dell’origine. E si giustifica con il ricordo della mamma o del papà, con il ricordo dei loro modi di essere.
Narrando, l’esperienza si scrive: la narrazione clinica è costitutiva della scrittura e dei suoi dispositivi. Quel che si scrive è ciò che accade, avviene, diviene. La memoria si scrive, l’esperienza si scrive. E non insegna.
Impossibile dire i fatti, narrare i fatti, raccontare i fatti. La narrazione infatti incomincia dove il fatto si dissipa per l’avvio del processo di qualificazione. L’indagine intorno alla materia, alla logica, alla struttura perché si scrivano, esige la narrazione. Che cosa si sta dicendo nel dispositivo della conversazione? Che cosa si sta dicendo nei varchi tra gli equivoci, tra la differenza da sé del significante, tra i malintesi introdotti dall’Altro? Importa ciò che si sta dicendo, non ciò che qualcuno ha detto o che voleva dire. La narrazione trae ciò che si dice al racconto che volge alla cifra, al caso di cifra.
E non c’è più liberazione.