La scienza della vita
La cifrematica e il servizio intellettuale
Il principio della coscienza, che è il principio della confessione, è il principio che pone il sapere a fondamento del dire: si tratterebbe di dire quel che si sa, secondo il fantasma di padronanza e di controllo. La psicanalisi, già con Freud, introduce un altro criterio, con la scommessa di dire quel che non si sa. Qui, il sapere irrompe quale effetto temporale, effetto di quel che si dice e non causa di quel che si dice. La cosa travolge il sistema del discorso. Platone si era ben accorto del potere dirompente della parola, ma insistette a cercare l’autore del nome, anziché constatare che il nome è autore. Con il nome quale autore si dissipa il sistema discorsivo, il sistema della soggettività, il sistema dell’idiozia e s’instaura la parola originaria con la sua logica, con la sua cifra. Il principio della confessione è il principio della sconfessione della parola originaria. Se autore fosse il legislatore, autore e origine coinciderebbero per tutti. Il legislatore sarebbe il quantificatore universale che sancirebbe la parità di tutti gli altri.
Qual è il legislatore della cosiddetta epoca contemporanea? È chiaro che l’epoca non esiste, tuttavia c’è chi ci crede, nonostante la cifrematica, il servizio intellettuale.
La nozione di bene è ritenuta universale. Ispirarsi al bene è quindi il precetto universale, per tutti. Ogni uomo sarebbe, naturalmente, rivolto al bene, destinato al bene; in quanto predestinato. Ogni uomo è ritenuto rivolto al bene, in quanto presunto naturalmente senza cervello. C’è una disciplina che codifica questa assenza di cervello e è la psicologia. In nome del bene presunto, gli umani, aderendo a questa disciplina, si considerano senza cervello. Talvolta c’è chi reagisce a questa idea di predestinazione e si propone, allora, un’alternativa per dimostrare di avere cervello. Ma, anche quando viene proposta un’alternativa al bene, essa è sempre in direzione dell’idea di bene, di un altro bene, di un bene alternativo. “So che il mio bene sarebbe questo, tuttavia… voglio fare quest’altra cosa, perché sarà ancora meglio.”
Quest’idea di bene e della sua conoscenza dirige il discorso che si fonda sulla padronanza. E, fin qui nulla di nuovo: si tratta del discorso comune come discorso di padronanza per tentare di gestire anche la pulsione, soffocandola. Qui interviene la cifrematica, il servizio intellettuale.
Privilegiando il sapere dell’Altro il fantasma materno che tenta di realizzare la padronanza in un certo modo e che chiamiamo discorso schizofrenico “fa” senza dire nulla, “fa” dal nulla, fino a “farsi” nulla, perché postula “Io so che tu sai che io so”, e attua, per esempio, la sparizione senza preavviso, senza annunciare nulla, puntando sulla pragmatica della telepatia. Che bisogno c’è di parlare se “Io so che tu sai che io so?”.
Il discorso paranoico, un altro fantasma materno di padronanza, invece, realizzando la verità sul fantasma di sapere, propugna “Io so che tu non sai che io so” e non c’è contraddittorio possibile, né alcuna dimostrazione da dare perché “Io so che tu non sai che io so”; pertanto avverte la necessità di affermare ciò che è: “Te lo dico io, (dato che tu non sai e poco capisci) che cosa sono, ‘Io sono Napoleone’ ”. Il problematico dove sta? Nella presunta parità che viene istituita linguisticamente e logicamente, fra “io” e “Napoleone”. (Potrebbe anche essere “io sono io”).
Nel processo di alternativa algebrica il valore ha come sua controparte la svalutazione; e non si tratta del valore delle cose che si dicono, si scrivono e si fanno, quindi del valore come ciò verso cui le cose tendono, vanno e concludono. Il valore è dato preventivamente, dev’essere stabilito prima, è il valore del soggetto agente: postulato il soggetto agente in quanto valido, ogni cosa ha valore; se il soggetto è invalido, ogni cosa è priva di valore. E l’algebra applicata al tempo comporta che il tempo del negativo deve finire per dare avvio al tempo del positivo. Dopo la fine.
Che cosa distingue, allora, l’enunciato “Moi la vérité, je parle”, che J. Lacan attribuisce al discorso isterico, dall’enunciato “Io sono Napoleone”? Apparentemente sullo stesso registro, in realtà appartengono a due discorsi differenti: l’isteria dice di parlare in nome della verità, non di esserlo. Propugna la causa della verità, nella sembianza, scambiandola per il sapere: “Io parlo dal posto della verità, per come e dove mi sembra, per il miraggio che me la fa scorgere, dato che “Io non so che tu sai che io so”.
Pertanto, la polemica, l’ostilità, la contrapposizione, il ricatto, la rivendicazione, l’alternativa, l’euforia, con i suoi alti e i suoi bassi, il fatalismo ottimista o pessimista sono il retaggio dell’istituto della vendetta applicato alla rappresentazione dell’origine, presa nell’alternativa fra positivo e negativo. Ciò accade quando l’origine è localizzata nel bene o nel male, e quindi la famiglia, (o la casa, o la città, o la regione, o la classe), è intesa come il luogo di questa origine e non come traccia. Come segno e non come traccia. Per questo è indispensabile al dispositivo intellettuale aver dissipato la credenza nella rappresentazione dell’origine. Ne è il preambolo. Perché la rappresentazione dell’origine, questo animale fantastico, detta i modi della dicotomia che viene applicata alle cose, sulla base dei ricordi. Chi è propenso a considerare che i ricordi, ossia il fantasma materno, non sono originari? Cioè, che un fantasma materno è un fantasma materno?
Vantaggio e svantaggio posti dinanzi sono ricordi di copertura della soggettività, ricordi dell’origine, entrano nella previsione della fine. Vantaggio e svantaggio stanno a precludere la scommessa, tolgono la sessualità dall’itinerario.
La crescita si attua forse volendo o pretendendo qualcosa dall’altro? O da sé?
Si tratta quindi della questione intellettuale. Tentazione intellettuale. Le cose non sono mai tali e mai cessano di divenire quali. Lo statuto intellettuale attiene a questo. Senza cedimenti all’idea dell’idiozia propria o altrui, della possibile applicazione della dicotomia all’apertura e al suo modo. La cifrematica è il servizio intellettuale.
Il servizio intellettuale procede dall’instaurazione della domanda. E la domanda si rivolge alla cifra. La questione è che la pulsione non s’instaura da sé, la domanda non s’instaura da sé. Il servizio intellettuale è la provocazione e la promozione della domanda in direzione della cifra della parola, in direzione della cifra della vita. Con i dispositivi opportuni. Nessuno abita la parola, nessuno sta in pianta stabile nel paradiso della parola. Il paradiso non va senza il labirinto della ricerca. Abitare il paradiso è l’idea del discorso schizofrenico. Crearlo è l’idea del discorso paranoico.
Nel 1926 Freud teorizzava in modo preciso che la psicanalisi non era un sistema terapeutico e che “vi sarà quindi una seconda categoria di persone che la intraprenderanno per motivi intellettuali, lieti di poter in tal modo elevare le loro capacità di lavoro”.
Chi si assume, oggi, il compito di annunciare che quel tempo è arrivato?