La dietetica. Lo statuto intellettuale del cibo. Il dispositivo immunitario
L’arte di questo secolo, raffinando l’orientamento della seconda metà del ‘900, sembra essere la dietetica. Non la cucina come arte della combinatoria dell’alimento, dove si tratta del gusto, del sapore, della novità, anche della degustazione, ma la dietetica come modalità del dosaggio e della depurazione della sostanza nociva. La dietetica, quindi, non già intesa come ciò che indica lo statuto intellettuale del nutrimento e del cibo, ma come ciò che rende ogni cosa divorabile o non divorabile, in quanto inscritta nell’alternativa fra rimedio o veleno.
Cosa mangiare? Farà bene o farà male? E la dietetica come religione si divide fra pasto di amore e pasto di odio.
Su questa alternativa è sorta in occidente la ricerca sulle intolleranze alimentari.
Anziché indagare intorno al dispositivo immunitario, come dispositivo intellettuale che assicura la salute a ciascuno, oggi, pur riconoscendo che l’intolleranza è verso la sostanza, se ne tenta una classificazione, facendo la scala delle intolleranze alimentari. Ci sarebbe una sostanza più sostanziale che risulterebbe nociva, altre meno. Il realismo stuporoso dello scientismo proprio non vuole accogliere la lingua e lo statuto linguistico delle cose. Né le implicazioni e gli effetti linguistici, nonostante siano a volte del tutto evidenti nella combinatoria della narrazione di ciascuno.
La dietetica si volge oggi in cannibalismo. Ogni pretesto è buono per consumare la sostanza. E il corpo stesso diventa sostanza, e mangiare è mangiare la sostanza che può anche venire rappresentata con il corpo dell’Altro, morto.
La dietetica oggi si annuncia e si scrive come l’arte, la scienza, la religione del cannibalismo. Mangiare ciò che è simile.
Mangiare la morte, mangiare il veleno, mangiare il destino è la nuova dietetica, abolizione dello statuto intellettuale del nutrimento e del cibo. Per abolire l’anoressia intellettuale e potere classificare i vari stadi dell’anoressia finalmente mentale, definita tecnologicamente, quindi non del tutto a torto, “disturbo dell’alimentazione”.