L’alternanza tra feriale e festivo è mortifera
Ciascun istante è istante di festa se è rivolto al destino, allo svolgimento della domanda, se è rivolto al programma, al suo modo. Ciascun istante è di festa, perché la festa riguarda le cose che si dicono, non qualcosa che dovrebbe rappresentare un momento di euforia rispetto a tutte le cose che vanno male, che pesano, a tutte le cose sgradevoli, che avviliscono, a tutte le cose del feriale. Allora il feriale diventerebbe sopportabile, perché, poi, arriva la festa. Ma di quale festa si tratta? Della festa in cui viene sospesa la legge, l’etica, la clinica, quindi c’è l’euforia, bisogna impazzare: la pazza gioia, la pazza festa. Bisogna divertirsi nella festa, perché negli altri giorni si soffre, si soffre tanto. Ognuno è disposto a testimoniare che ogni giorno si soffre tanto e è avvilente; però poi, per fortuna, arriva la festa che sospende per un momento la sofferenza; e si può gioire, godere, si può fare ogni altra cosa; e bisogna che sia quanto più estrema, quanto più dirompente, perché poi, subito dopo, non c’è un’altra festa. C’è nuovamente il sacrificio, l’avvilimento! Ecco l’alternanza di bene e di male, l’alternanza che si produce sull’idea di fine. Il fine settimana, per esempio, è deputato alla festa; poi la festa finisce e inizia la settimana; che poi finisce e c’è il fine settimana, che poi finisce e inizia la settimana; questa è la modalità geometrica, che inizia e finisce, inizia e finisce; c’è una segmentazione con inizio-fine, inizio-fine. Nella festa nulla deve proseguire di ciò che sta avvenendo, ma deve essere, anzi, il rovesciamento, l’apoteosi, l’esaltazione. Diventare come dei, via tutte le regole, via tutte le norme, via tutto, trasgressione totale, euforia, ebbrezza, degradazione: “Ma solo perché è festa!”. Questa è l’accettazione della morte, perché è nel fantasma di morte.