Vi dico il perché del fumo, dell’alcol, della droga…
Con la generosità, l’istanza artistica e inventiva trova accoglimento. Senza l’accoglimento di questa istanza, che è istanza di variazione e di differenza della vita, istanza di arte e di cultura della vita, avviene il contenimento della domanda, della combinatoria dei suoi elementi e la domanda s’irrigidisce, s’immobilizza, si paralizza pur continuando a insisterne le esigenze. Qualcosa spinge e interviene il convincimento di dovere assumere una sostanza per facilitare l’attuazione di ciò che urge, presumendo però di dovere stare calmi. Ognuno pensa di potere sedare le sensazioni della domanda con sostanze calmanti o eccitanti o inebrianti. L’uso di sostanze mira a ottenere questo scopo. Qui, allora, il fumo, qui il bere, qui la droga, qui gli psicofarmaci, qui “ogni rimedio” per arginare l’istanza inventiva e artistica che, attraverso l’inquietudine, trae alla tranquillità; può sembrare paradossale, ma il percorso dell’istanza inventiva e artistica verso la tranquillità passa per l’inquietudine, che marca l’esigenza di accogliere ciò che urge, elaborandolo: è l’esigenza dell’attività intellettuale pulsionale. Ma, senza la generosità, l’inquietudine è bandita come disturbo e allora ognuno elimina il tempo della tranquillità. E non c’è pace. Fumare, bere, assumere sostanze servono anche a scandire l’alternanza tra il feriale e il festivo, tra l’idea di premio e l’idea di punizione, fra l’idea di sacrificio e l’idea di salvezza. Questa alternanza e la ricerca dell’alternativa a ciò che accade è l’alternanza stessa tra pena e penitenza, con cui ognuno giustifica l’accettazione della morte in piccole dosi.