La grazia. Non c’è più peccato, non c’è più colpa, non c’è più vendetta
È proprio della giustizia di Dio rendere afflizione a quelli che vi affliggono 7e a voi, che ora siete afflitti, sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza 8in fuoco ardente, a far vendetta di quanti non conoscono Dio e non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. 9Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza, 10quando egli verrà per esser glorificato nei suoi santi ed esser riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto, perché è stata creduta la nostra testimonianza in mezzo a voi.
San Paolo, ai Tessalonicesi, 2a, 1, 6 10.
È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, 12che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, 13nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
San Paolo, Lettera a Tito, 2, 11 13
La legge poi è intervenuta a moltiplicare la trasgressione; ma dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata (…) Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi?
San Paolo, Romani, 5, 20; 6, 1
La vendetta è la base della civiltà occidentale e delle religioni che vi sorgono all’interno. L’istituto della vendetta è alla base della somministrazione umana della giustizia, che si regge a sua volta sugli istituti della colpa e della pena. Su questo postulato della colpa, ognuno si somministra la pena, si anticipa perfino la pena, o cerca di sfuggire alla pena, mantenendo però inalterata la credenza nella colpa. La colpa è quindi indispensabile per l’amministrazione della giustizia umana e di quella divina per le varie religioni. E è indispensabile anche per invocare la grazia.
Perfino San Paolo vi si ispira per esemplificare la portata della grazia divina. E non solo, ma anche per esaltare Dio stesso, quale agente della salvezza. Anche per la grazia, quindi, non solo per la carità, nella loro accezione sociale, la colpa è indispensabile per giustificarle. E il riferimento è alla salvezza.
Quello che San Paolo ignorava e che non aveva elaborato, è che la colpa che lui stesso propaganda e pubblicizza non è per tutti. Ci sarebbe stato un dogma, che istituisce un’eccezione. L’eccezione è Maria, concepita senza peccato. L’immacolata concezione di Maria indica che la colpa e la pena non sono per tutti. L’immacolata concezione è un dogma del 1856, quindi piuttosto recente istituito da Pio IX con la Bolla Ineffabilis Deus.
L’eccezione indica che l’originario è senza macchia. L’originario non è il prima della colpa. L’originario è senza la colpa. In questo senso nella parola originaria la grazia non è nella sua accezione giuridica di condono della pena, la grazia indica che non c’è pena. Non c’è più pena perché non c’è mai stata.
La grazia non è quindi strumentale a dissipare il peccato, ma indica che non c’è più peccato. Persino i Greci inventano le Grazie: Aglaia, splendore, Talia, fiorire, Eufrosine, mente sana, ilarità, senza la necessità di ritenerle antidoto a qualcosa. E è tutto dire.
La civiltà contemporanea sorge e si sostiene sull’ideologia del rimedio, che è sempre rimedio nei confronti del negativo. Il successo della droga è l’altra faccia del successo dello psicofarmaco, che dovrebbe dimostrare che a tutto c’è rimedio senza doversi impegnare in nulla. Qual è il rimedio all’insonnia? All’inappetenza? alla fame eccessiva? All’eccesso di grassi, di colesterolo, all’eccesso di peso, all’eccesso di magrezza? È semplice il rimedio è sempre lo stesso, una pillola, la pillola. Si tratta sempre della pillola del giorno dopo, del dopo. La pillola del rimedio. Senza la necessità di interrogare e di interrogarsi intorno a quale questione sia in atto, perché e come. Tutto è già noto, perché incomodarsi? Basta prendere la pillola, e le cose passano.
Tutto è noto, tutto è semplice, tutto è rimediabile. In assenza di particolarità e di specificità, non importa l’esempio, il paradigma, il caso specifico; si tratta di applicare la modalità per tutti. E sull’esempio, sul caso in questione cala l’omertà e il caso diventa standard. Lo standard è necessario perché possa introdursi e applicarsi il rimedio: così è tolta pure la necessità del ragionamento. E l’humanitas viene avvilita in nome del caso umano, considerato caso zoologico. E la presunta appartenenza all’umano, al genere umano, come genere zoologico, impedisce di praticare la parola originaria, impedisce di ascoltare l’esigenza di particolarità, di specificità, impedisce di ascoltare la domanda.
La grazia indica l’assenza di rimedio, enuncia il suo teorema.
La parola originaria indica che la carità e le altre virtù non sono strumentali, non sono modi del rimedio; non sono modi per acquisire la parola originaria, perché sono propri della parola originaria. La carità è originaria. E così la grazia.
La carità, come ciascuna virtù del tempo è essenziale nell’automazione.
La grazia non toglie quindi la macchia, il peccato; non è lo smacchiatore universale, ma consente di enunciare il teorema che dice: “Non c’è più peccato”. Ossia non c’è più la macchia che dovrebbe accomunare il genere umano, mortale e maculato. La macchia originale, la macchia dell’origine. Chi ricerca l’origine, o si rifà all’origine, o meglio, tenta di farlo lo fa per potere darsi un’identità di colpa. Che diventa un’identità per la morte.
Il ritorno all’origine sarebbe il ritorno alla macchia originaria, il ritorno a un’identità senza più scampo.
L’accezione di grazia come dono, istituisce il debito morale e con esso istituisce la genealogia dei sudditi. E distribuisce l’alibi per non fare.
In assenza di grazia, nell’idea della grazia assente, ognuno si sente vittima e si fa vittima di un peccato da purificare, di un peccato che sarebbe il segno di un’origine da espiare o da riscattare. Ricatto e riscatto sono i due corollari della vendetta, due corollari della coscienza di colpa.
La colpa è solo secondo coscienza, secondo la coscienza morale che crea Dio per istituirlo come agente del dono, agente donatore, agente morale. Il proprio agente del riscatto verso cui quindi esercitare il ricatto, la rivendicazione, la promessa di diventare buono e meritevole di compassione, in avvenire.
Ma, dato che la grazia è una virtù del tempo, non c’è nulla da riscattare, nessuno da ricattare, nessuno da invocare come agente benefico o malefico.
Il tempo non finisce, quindi non passa e non scorre, quindi non dura. Niente dura, perché niente finisce. Così il tempo interviene nell’automazione, nella combinatoria del processo di qualificazione. E il tempo ha queste virtù e le dispensa. Per acquisirle è indispensabile fare l’esperienza del tempo e della parola originaria.