Costruzione, restauro, restituzione
L’idea di rinascita è diretta conseguenza dell’idea di mortalità e di morte. Così, la rinascita, la rigenerazione, il ritorno negano l’originarietà dell’atto, la sua irripetibilità, la sua cifratura, ossia la sua qualità. L’atto è linguistico, perciò è originario, senza rimedio, senza ritocco, senza l’idea di fine da cui potere ritornare. Il viaggio all’Ade e il suo ritorno restano un’idea romantica, nostalgica dell’attaccamento alle cose in quanto passate. Ma nulla passa, tanto meno il tempo, che quindi non finisce. E il restauro non è una rigenerazione o una rinascita, è una restituzione in qualità di ciò che non c’era prima e non c’è mai stato. È restituzione che esige la firma come scrittura dell’autorità, dell’autenticità da cui la qualità procede. Il restauro non è il ritorno allo stato precedente, non è il ripristino di qualcosa, è la costruzione di qualcosa che non c’era. È restituzione di ciò che non si è e di ciò che non si ha.
Per ciascuno si tratta della costruzione, del restauro, della restituzione di ciò che ha ricevuto, in termini di civiltà. La critica, la denigrazione, la degradazione di ciò che non sarebbe conforme all’idealità risulta un inno al canone, a un mondo ideale di cui farsi agente, senza intervenire con i talenti, con i dispositivi che il caso esige. C’è chi si dilunga e si gonfia nell’elencazione e nella classificazione dei mali del tempo: e non si accorge che si trova nel posto della demonizzazione che trova nello psichiatra il suo campione.
La restituzione si avvale della combinazione e della combinatoria. Nel gerundio della parola, nel gerundio della lingua sta l’attuale della combinazione e del suo dispositivo.