Il banale
La psicanalisi è sorta non come nuovo codice, non per la comprensione, non come nuova disciplina da applicare, non come nuova visione del mondo, come nuova ideologia con cui sostituire qualcosa di precedente, ma la sua portata sovversiva già con Freud è stata quella di introdurre l’ascolto e, se vogliamo, proprio anche la sola ipotesi, l’ipotesi dell’ascolto, lì dove non c’era, lì dove non era praticato, lì dove non doveva esserci. Questa è la portata sovversiva che con Freud ha avuto questa proposta, che all’inizio non si chiamava nemmeno psicanalisi, ma talking cure, cura di parola. Apparentemente quanto di più aspecifico, quasi banale, ma proprio il banale dice della originarietà della parola. Ciascuna cosa è banale, ossia esige di qualificarsi, non è già dato il suo valore. Quindi niente è banale nel senso gergale, ciascuna cosa è banale nel senso che dicendosi incontra l’interdizione, e dunque esige di qualificarsi. Il banale è questo: è quel che si dice in quanto procede dalla contraddizione e dunque non è già noto. L’abitudine al sapere impedisce di ascoltare, perché ogni cosa deve inscriversi in quel sapere senza alterarlo. In questo senso ciò che odo viene convertito, deve essere convertito nella lingua comune, nel sapere comune. Questo sapere comune è la negazione della scienza. Perché ciò che oggi, nonostante Leonardo, è inteso come scienza, non è ciò che incorre nell’invenzione, ma ciò che la comunità scientifica ha approvato come sapere; cioè, il sapere come fondamento toglie anche la verità come verità effettuale, e fonda una verità fondamentale cui tutti debbono attenersi. Questa è la negazione della scienza.