Il corpo
Il corpo esige la lingua come sua sede. Senza la lingua, senza la parola, il corpo è mortificato nella sua rappresentazione spaziale e ognuno se lo rappresenta secondo la propria rappresentazione dell’origine e del destino, a sua immagine. Il corpo diventa così forma della soggettività.
Se pensato, il corpo diventa segno della possibilità anfibologica o dicotomica. Corpo perfetto o corpo imperfetto. Ma qual è il corpo della perfezione? Per la medicina è il corpo morto: corpo osservabile, studiabile, corpo figurabile e paragonabile, confrontabile rispetto a un modello.
Corpo in frammenti, corpo che si spezza, corpo che si taglia, corpo sofferente… In quanti modi ognuno può rappresentarsi il corpo per giustificarsi. E il corpo diventa allora il rappresentante di ciò che non va. Il corpo ideale ha la sua altra faccia nel corpo corruttibile, nel corpo imperfetto, nel corpo che diventa mezzo e strumento del peccato o dell’incesto.
Dato che verginità, carità e grazia non sono proprietà soggettive ma virtù del tempo, qual è il corpo che non intervenga per togliere al tempo queste sue virtù?
L’idea di avere un corpo comporta che l’Altro diventa il giudice della dicotomia bello o brutto, grasso o magro, sano o malato, alto o basso, ecc. Di chi è il corpo di cui s’imbarazza l’isteria? E l’imbarazzo non è tolto dall’idea di poterlo padroneggiare asserendone il possesso. “Il corpo è mio e lo gestisco io”, recitava uno slogan degli anni ’70. Ma l’insistenza dell’idea di attribuire un padrone al corpo è l’indice della sua impossibilità.
In quanti modi si è cercato di rappresentare il corpo: corpo celeste, il corpo del reato, il corpo morto, il corpo spirituale, il corpo delle leggi, il corpo sociale, il corpo mistico, il corpo estraneo; corpo strumento, il corpo nello spazio, il corpo della percezione, il corpo organismo, il corpo organico, il corpo astrale, la corporazione…
Ma il corpo esige la combinazione e non va senza la scena. Corpo e scena, il cielo della parola. L’apertura. Il corpo è parte integrante dell’apertura della parola, non è il supporto della fisicità.
Occorre distinguere il corpo dal soma e dal cadavere. Il corpo non appartiene alla costellazione del somatico, ma alla costellazione della relazione originaria. Corpo e scena. Il due. Giuntura e separazione, Simmetria e asimmetria.
Il corpo è in combinazione con la scena, è combinazione, altrimenti vi si applica la dicotomia e diventa in contrapposizione, per esempio la più in voga è quella fra corpo e mente: corpo dominato dalla mente, che deve sottostare ai dettati della mente. Il corpo come rappresentante e supporto dell’incapace e dell’irresponsabile se non è abitato e diretto dalla mente. Sarebbe quindi il corpo morto, il corpo animato, il corpo burattino, bambola, fantoccio.
E allora ognuno cerca del corpo la salvezza o la perfezione.
La perfezione, per quel discorso che applica la geometria del tempo e quindi si rivolge all’ultimo atto, all’ultimo gesto, si compie nell’ultima volta. Questo è il messaggio che viene dal film Il cigno nero, di Darren Aronofsky, che è valso l’Oscar a Natalie Portman. La perfezione se è attribuita al corpo diventa il segno della fine del tempo. E si rappresenta come l’ultima volta.
Il corpo dell’alternativa: sessuale/asessuato, magro o grasso, desiderato/disprezzato, salvo o perduto.
Attorno a queste rappresentazioni del corpo e a altre ancora è sorta la mitologia della malattia mentale.