Presentazione del libro di Sergio Dalla Val. In direzione della cifra. La scienza della parola, l’impresa, la clinica , edito da Spirali
L’impresa, la tentazione, il cedimento, la vittima
Nell’Antico Testamento il cedimento alla tentazione comporta la cacciata dal Giardino dell’Eden, il cosiddetto Paradiso terrestre; nel Nuovo Testamento, invece, non c’è cedimento, e l’idea di potere trasformare a piacimento la sostanza, per soddisfare automaticamente l’appetito, di potere invocare la presunta propria origine, e quindi l’aiuto del padre o dei suoi emissari, per potere godere della vita facile, di affidarsi all’adorazione degli idoli per potere esercitare il dominio, la padronanza sulle cose terrene ha un’altra articolazione. Occorre rilevare che le cosiddette tentazioni di satana sono in realtà i pensieri più comuni, con cui ognuno si trova quotidianamente a fare i conti.
Importa qui notare che l’analisi di queste tentazioni è essenziale per dissipare l’idea di credersi vittima o di farsi vittima e di farsi quindi soggetti della cacciata, della colpa e della punizione, ossia soggetti del ricatto o del riscatto sociale, soggetti della rivendicazione. L’esempio di Adamo e di Eva è paradigmatico: dinanzi a Dio che chiede “Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”. Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”. Il Signore Dio disse alla donna: “Che hai fatto?”. Rispose la donna: “Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”. Adamo e Eva giocano allo scaricabarile. Si giustificano, non indagano sul loro cedimento.
Ecco, è qui indicata la modalità soggettiva di farsi vittima, vittima dell’inganno, vittima della seduzione, vittima della tentazione: la vittima si giustifica, si discolpa e se può scarica ogni conseguenza sull’Altro. È quanto di più frequente accade sulla scena sociale, politica, economica dove farsi o credersi vittima è il regolatore dei rapporti sociali. La portata del vittimismo va ben oltre i casi che si possono rappresentare canonicamente dove vittima e carnefice sono rappresentati. La vittima è socialmente bene accetta: dalle vittime del sabato sera, alle vittime della droga, dell’alcol, alle vittime dell’abitudine, alle vittime del fatalismo, positivo o negativo. Si tratta della vittima della tentazione sostanzialista verso cui è stato accettato il cedimento. Ognuno è vittima, ognuno è debole di fronte alla tentazione. C’è molta comprensione umana verso la vittima, il cui aspetto metaforico indica farsi cibo degli dei o degli uomini, quindi istituire il cannibalismo bianco, e il cui aspetto metonimico indica il legame che conduce al sacrificio: tutti gli uomini sarebbero legati insieme, quindi accomunati da questo legame sacrificale.
La questione che qui proponiamo questa sera è che c’è un’altra tentazione, che va oltre anche la tentazione di Cristo, che sempre presuppone il tentatore come agente del male, e che è invece la tentazione intellettuale. Ciascuna cosa, procedendo dall’apertura, quindi non dal bene o dal positivo, né dal male o dal negativo, ma dal bene/male, dall’ossimoro, dal due, esige l’analisi e la qualificazione; esige di essere attraversata, esplorata, indagata, perché non è come può essere presentata di volta in volta dalla credenza personale o comune, dalla morale vigente, dall’ideologia corrente, cioè dal pregiudizio che ognuno ha. Allora, svolgendo la domanda per cui quel dettaglio è stato incontrato, lasciando corso alla curiosità, con umiltà, generosità, indulgenza esplorativa ciascuna cosa diviene capitale dell’itinerario e non è da escludere anche se a prima vista poteva sembrare un impiccio o addirittura potere arrecare danno.
Non siamo spiritualisti, né religiosi, né moralisti, né atei, né superstiziosi, ma cattolici, nell’accezione originaria. Per questo ascoltiamo con interesse il grido del papa che lamenta una nuova Babele nella Chiesa, lo ascoltiamo intendendo ciò non come l’indice di un pericolo sovrastante o di un complotto, ma come la constatazione, magari tardiva, che senza direzione, senza la parola, senza dispositivi intellettuali di direzione, ognuno è o va contro l’Altro, come a Babele, e prevalgono le tentazioni vetero – testamentarie, che nemmeno la più ferrea liturgia può contenere: personalismo, soggettivismo, individualismo, idea di sé, presunzione di conoscenza, animalità circolare; vengono tolte proprio l’umiltà, la generosità, l’indulgenza.
Senza queste virtù prevale l’idea della materia inerte e ognuno si pensa si raffigura, si rappresenta come la creta che ha bisogno della mano del vasaio per acquisire una forma accettabile.
Siamo cattolici noi, perché cattolica è la parola. E la parola non può dirsi religiosa o non religiosa, però l’una o l’altra ideologia, o meglio credenza, può condurre a un discorso fondamentalista. Cosa vuol dire fondamentalista? Che deve restare confinato nella dimostrazione e nella conservazione dei fondamenti su cui si regge. Un discorso quindi circolare che esclude arte e invenzione, e soprattutto esclude la scienza come ciò che si effettua come novità. Cattolico, prima d’indicare un’appartenenza, indica la fede nell’infinito e nell’intero.
Se l’infinito allora, dio, perché simultanei. Non viceversa. L’ipotesi di un dio creatore del tempo e dell’infinito resta antropomorfica, quindi superstiziosa.
Chi spiegherà questo a Padre Gemelli e ai suoi allievi, fieri oppositori della psicanalisi?
Psicanalisi cattolica. Cifrematica. Non religiosa. Non superstiziosa
L’impresa intellettuale è l’impresa che non può prescindere dalla parola, dalle sue virtù, dalle sue proprietà. Prescindere dalla parola non vuol dire che non si parla, non è l’ambiente silente riservato, dove occorre tacere, ma vuol dire prescindere dalla logica particolare. L’ideologia corrente prescrive di abolire l’anomalia, a favore della conformazione, per l’omogeneità. L’impresa intellettuale si avvale invece dell’anomalia, quale indicazione che emerge dal transfert. Esige quindi il transfert e l’ascolto.
Nelle varie fasi che hanno caratterizzato il nostro itinerario e che hanno contribuito a istituire l’esperienza cifrematica, ciò che ha consentito all’impresa di non fermarsi è stato proprio la questione intellettuale: nessuna cosa è definitiva o ultima e l’idea di fine è un fantasma, non è una realtà da osservare o da rispettare. Nel libro, Dalla Val cita e racconta l’impresa della casa editrice Spirali, delle società di servizi, della Villa Borromeo, del suo restauro, del Museo, dell’Albergo, della Libreria-galleria “Il secondo rinascimento” di Bologna, La rivista “La città del secondo rinascimento”: ciascuna cosa entrata nell’esperienza ha a che fare con questa struttura e con i suoi criteri.
Di questo chiediamo a Sergio Dalla Val di parlarci questa sera, parlandoci anche del suo libro in cui c’è scrittura della memoria, scrittura dell’esperienza, testimonianza dei dispositivi incontrati nell’itinerario e l’annuncio di ciò che sta nel programma; e accanto a questo c’è anche l’elaborazione che l’itinerario ha prodotto.
Si avverte la combinatoria tra ciò che è stato acquisito nella scuola, all’università e ciò che ha consentito a Dalla Val di avvalersi di tutte queste acquisizioni, in altro modo da quello convenzionale, con l’analisi, con la clinica, con la cifratura, valorizzando man mano le varie cose.
I vari capitoli del libro consentono di seguire le varie fasi, le varie tappe dell’itinerario intellettuale con gli avvenimenti che lo hanno contrassegnato e che hanno dato apporti. Disegna una spirale tra ciò che ha incontrato e ciò che ha intrapreso. E con l’arbitrarietà ciascun elemento diviene capitale intellettuale del viaggio che è in corso.