Recensione del film di Pupi Avati. Gli amici del bar Margherita
L’amore, l’odio e il fantasma d’incesto
C’era una volta, a Bologna, un bar dove si riuniva un gruppo di amici. Questi amici erano uniti dal compromesso fantasmatico dell’invidia sociale, per questo erano amici. Non si tratta qui, proprio dell’amicizia, ma del compromesso che impedisce e nega l’amore.
Da questa fiaba, risalta il caso di Taddeo, così come è narrato dal suo personaggio: è la fiaba degli Amici del bar Margherita, narrata nel film diretto da Pupi Avati, film che esplora propriamente il modo della ricerca dell’amore da parte di Taddeo e come questa ricerca possa convogliare verso il gruppo quando l’operatore è il fantasma materno; la fiaba racconta come ogni esponente di questo gruppo idealizzi i termini dell’amore, i personaggi dell’amore, non già per una congiuntura sociale, di epoca o di periodo, non per motivi sociologici, ma perché regge la visione del sociale come riproduzione della famiglia di origine, senza interdizione linguistica. Il film racconta dell’instaurazione dell’interdizione. Dunque la lettura consente di distinguere la fiaba degli Amici del bar Margherita, dal caso clinico di Taddeo. Il film è lo svolgimento della lettura dalla fiaba al caso clinico.
La fiaba racconta la vicenda degli Amici del bar Margherita, nell’anno 1954 a Bologna, e il narratore è un adolescente, Taddeo, che narra perché nella fotografia di gruppo che ogni anno gli amici del bar Margherita fanno come ricordo delle gesta del gruppo, ebbene, lui, quell’anno, in quella foto non c’è, pur essendo stato testimone delle gesta di quell’anno e pur essendosi meritato di figurare fra “gli amici”. Come mai non c’è? Per capirlo, occorre la lettura clinica, l’ascolto, la valutazione, la cifratura dei dettagli che il racconto propone. Il film non è da vedere, ma da ascoltare, da leggere. Tra vedere e leggere un film corre qualche virtù.
Contrariamente a quanto qualcuno può credere, andare al cinema non è un’attività visiva, non è un esercizio visivo, non è da andare al cinema per fare lo spettatore: al cinema si va per leggere. Ascoltare, leggere, capire, intendere. Se ci rechiamo due volte a leggere lo stesso film non è mai lo stesso film, se lo si vede, forse sì.
La storia racconta la ricerca del primo amore di Taddeo: la ricerca del primo amore con ciò che vi è connesso, stante la coerenza fantasmatica che da appartenente alla sua famiglia di origine conseguentemente tende a farlo diventare esponente del gruppo degli amici del Bar Margherita. Quale famiglia? Quale nesso?
Qual è la coerenza fantasmatica che trae in quella direzione? Questo è annunciato all’inizio del film. È un errore entrare a film già iniziato, non solo in questo caso, ma ciascuna volta: occorre non perdere le prime battute di ciascun film, perché il più delle volte, dato che il film non è solamente da vedere, ma è da leggere, è in quelle prime battute che viene indicata la questione. Proprio come nel preambolo dell’analisi, come nell’incontro con lo psicanalista: è nelle prime battute che si pone la questione, poi il racconto può procedere in varie direzioni, con aperture e coperture, con giri e raggiri e la questione può sembrare disperdersi; ma è solo un modo per indicare la coerenza fantasmatica in atto, di cui si tratta di cogliere le connessioni con quel che accade, nonostante la buona volontà, le giustificazioni addotte dalla buona coscienza, cose inspiegabili, senza l’analisi e senza la lettura.
Con l’analisi, con la qualificazione diventano precise, capibili e infatti, man mano che si colgono, la fantasmatica materna si dissipa. Ma nessuno può leggere per altri, nessuno può fare l’analisi al posto di altri. Un’acquisizione non può essere fatta per interposta persona, ciascuno fa il suo viaggio e questo viaggio segue anche la coerenza fantasmatica del fantasma materno, se non è dissipato. Fantasma materno: il fantasma della fine, il fantasma che le cose finiscano, il fantasma, quindi, che ci sia un agente che possa favorire la fine delle cose o la loro buona evoluzione.
Ma torniamo al film. Il film comincia con la lettura del regolamento del bar Margherita. Chi vuole far parte di questo club, di questa “famiglia allargata”, di questa comunità, che in quanto comunità è omosessuale, comunità che nega la sessualità a favore di una omologazione, deve attenersi al regolamento.
Norme, regole, motivi sono l’esca per il dispositivo di parola.
Che cosa dice questo regolamento? Per prima cosa dice che:
1°, al bar non devono entrare le donne, mogli, figlie, sorelle degli amici, tanto meno le fidanzate. Se poi addirittura ci fosse una fidanzata che volesse negare a uno degli amici la frequentazione del bar, ebbene, gli amici hanno il diritto di far decisamente naufragare il fidanzamento;
2°, al bar bisogna arrivare tardi la sera;
3°, la messa e il rosario sono credenze assolutamente consentite, ma nessuno ci deve andare, così come sono vietate le gite ai santuari;
4°, le donne, (chiamate penne), se ci sono, devono essere segrete, soprattutto devono essere già sposate, oppure prostitute.
Il regolamento è chiaro: sono le regole della famiglia. Chi appartiene alla famiglia deve seguire queste regole. E che cosa rilasciano come messaggio? Che la donna è unicamente prostituta, non c’è nessun’altra possibilità, la donna è donna di malaffare, è prostituta. La prima dichiarazione è la negazione del mito di Maria. È negato il mito della madre e il mito del tempo. La donna, ogni donna, è in assenza di verginità, di carità e grazia, quindi è sotto il segno del peccato e del male e reca il marchio di questa colpa. Che il tempo debba finire è precisamente enunciato da Al, uno dei protagonisti, che vede ogni altro “Nel suo piccolo”, quando si chiede: “Perché mai sposare una donna?”; E risponde: “Per lasciarla”. “E qual è il bello del matrimonio?” ” Il bello del matrimonio è che finisce”.
E se sorgesse l’ipotesi che le donne siano strane? Ebbene, è giusto che siano strane, perché se non fossero strane, sarebbero uomini! Se ne può inferire che le donne sarebbero quindi degli uomini strani!
Questo è il contesto del gruppo, il contesto attorno a cui si snodano le vicende del gruppo. Fantasma di fine e fantasma d’incesto.
E, accanto alla presentazione del gruppo c’è quella della famiglia. E com’è la famiglia del narratore, di Taddeo, il ragazzo che racconta la storia? La sua famiglia è questa: c’è la madre, vedova, c’è Taddeo e “uno che chiameremo il nonno”, e che la mamma chiama papà. Per seguire lo svolgimento del film, occorre prendere nota di questo dettaglio importantissimo: sin dall’inizio, il padre è annunciato come morto, è dato per morto. Con questa premessa, è ovvio che anche “quello che chiameremo il nonno”, durante il film muoia, e muore infatti, e vedremo come, con quella che viene chiamata una bella morte. Muore di eutanasia.
La storia, la vicenda, comincia procedendo da una famiglia in cui il padre è dato per morto. Il padre non c’è, la madre è vedova, il figlio è orfano e c’è “uno che chiameremo il nonno”. “Uno che chiameremo il nonno”, decide a un certo punto di prendere lezioni di piano. E da chi? Da una prostituta che fa venire in casa. Tolto il padre, dato come morto, qual è l’attività sessuale? L’incontro con la prostituta. Tutto ciò che è narrato nel film procede da questo, dall’abolizione del padre, dall’idea che il padre sia morto; tolto il padre, lo zero, la funzione di zero, ogni cosa significa, ogni cosa è sostanziale e soprattutto ogni cosa significa il male.
Infatti, cosa accade? Le donne che intervengono nella storia sono prostitute, ogni donna ha questo connotato, in parte anche la madre che se la fa con il medico in modo clandestino.
A un certo punto, Ben, un ragazzo non proprio sveglissimo, si fidanza con una ragazza piuttosto “navigata”, nota agli amici del corso, “sia dalla parte dei numeri pari sia da quella dei numeri dispari”. Gli amici decidono di salvarlo da questo matrimonio: la chance che gli viene “consentita” in cambio, è quella di vivere la sua “storia d’amore”, con la prostituta che è stata assoldata dagli amici perché gli si presentasse come una ragazza pura e innamorata, al fine di distoglierlo dalla fidanzata e di mandare a monte il matrimonio.
Ma, nella storia, tra tutte queste donne segnate dal marchio d’infamia, c’è anche la donna ideale, una ragazza che rappresenta il vero amore, l’amore puro e che è inseguita per tutto il film da Taddeo, il giovane adolescente, e che finalmente dopo tanti corteggiamenti e tentativi andati a vuoto, accoglie l’invito d’intervenire alla sua festa di compleanno. L’occasione è ritenuta irripetibile per socializzare, e quindi egli tace non solo che il “nonno” stia per morire, ma addirittura che muoia durante la festa. Irrompe la madre, annuncia la morte del padre, scaccia tutti da casa e la ragazza se ne va “per prima”. Allora Taddeo capisce “che non l’avrei rivista più”. Morto il nonno, morto il padre, tolto il padre, in assenza di parricidio, nessun amore. Questa è la lezione: nessun amore senza parricidio.
Senza lo zero nessun amore, se non nelle rappresentazioni del negativo e ogni attività pensata, rappresentata è attività illecita, è sempre un’attività che mira alla truffa transitiva. Infatti, nella fiaba c’è chi che vende gli impermeabili ai religiosi e si tratta ciascuna volta, praticamente di una fregatura, c’è chi vende le automobili, e sono auto rubate: ecco, la vita diviene uno scherzo costante, uno scherzo con la morte, uno scherzo che deve dimostrare l’assunto di partenza e cioè, che non c’è il padre, che non c’è il mito del padre. Ma se non c’è il mito del padre non s’instaura nemmeno il mito della madre e in assenza del mito della madre le donne sono donne di malaffare, le mogli sono insopportabili e il loro destino è quello di seguire il destino di “tutte le donne”.
La conclusione del film sovverte la morale della fiaba in quanto segue all’analisi: il film si conclude appunto con la scena in cui si sta predisponendo la fotografia di gruppo, la foto ricordo. Nel momento in cui sta per essere scattata, Taddeo, il narratore, che nel film è chiamato sempre “Coso” dagli “amici”, al momento della foto, in cui si trattava di consacrare l’immagine del gruppo a cui ambiva di appartenere, cui sentiva di appartenere, cui viene invitato a partecipare, al momento della foto si toglie dal gruppo. E gli amici lo chiamano: “Vieni, vieni, vieni anche tu”.
“No, no, vedo meglio da qui”. “Ma no, no, vieni, vieni”. “No, è meglio da qui”, risponde.
Coso non è più Coso, non risponde più a questo nome, non risponde più ai requisiti per cui riteneva di appartenere al gruppo. Con questo gesto semplice e straordinario con cui Coso/Taddeo si sottrae alla fotografia, prende rilievo il racconto. Ciò che è stato raccontato ha incontrato la rimozione, tutto ciò che si è narrato nella fiaba, frutto di una coerenza fantasmatica, si dissipa, non è più reale. Narrando, la fantasmatica che aveva operato la rappresentazione dell’infernale, che consentiva tutte le negatività, si dissipa. Coso non è più nel gruppo, coso non crede più alla fiaba come segno del suo destino, gli elementi narrativi si scrivono nel film , nella sua conclusione; la narrazione, il racconto, il dispositivo dell’oralità ha fatto sì che intervenisse un altro statuto. Il gruppo, il gruppo degli amici del bar, il gruppo con le sue regole, la famiglia d’origine con la sua fantasmatica non c’è più.
Questo gesto dà al film un valore narrativo straordinario, perché non è più la descrizione dei mali di un’epoca, non si può più leggere sociologicamente. Interviene la lettura clinica grazie a cui ciò che viene narrato non è il fatto, anzi, il fatto, narrando non c’è più, diviene insostanziale, prende, rilievo la logica, la struttura, il viaggio, l’insostanziale, lo statuto intellettuale.
È straordinario, questo. Indica la riuscita del film, e il film indica la riuscita.