L’inconscio
- On 8 Marzo 2015
- inconscio
L’inconscio
Il termine inconscio è usato con molta facilità, come se fosse noto a tutti, salvo poi incorrere in imprecisioni e pressapochismi quanto a ciò di cui si tratta.
L’inconscio prende avvio con Freud. Unbewusste lo chiama. Oltre i differenti tentativi di qualificarlo e definirlo, va ascritto a Freud di avere posto una caratteristica indelebile all’inconscio. Contro ogni primato della coscienza e della conoscenza che dovrebbe caratterizzare la scienza e quindi l’uomo, Freud indica la caratteristica dell’inconscio nell’ignoranza. Sta qui un colpo decisivo vibrato da Freud all’apparato gnostico scientistico accademico, da cui nonostante ogni tentativo, l’apparato non si risolleverà più. L’inconscio, già per Freud e con Freud, è ignorante della contraddizione e del tempo. Ignora quindi la contraddizione e vanifica il principio di non contraddizione, essenziale a ogni discorso e ignora il tempo, nella sua rappresentazione per esempio della durata o della successione.
Con questa formulazione semplice ma formidabile Freud produce uno spartiacque con tutto ciò che comporta la padronanza sulle cose, in quanto rappresentabili con il loro possesso e con il loro dominio.
Il senso comune più diffuso fa dell’inconscio una proprietà umana, personale, soggettiva, una disponibilità di cui usufruire, da comandare o da cui essere comandati. Una rappresentazione dell’alternativa fra il servo o il padrone, che è una delle rappresentazioni più diffuse del ruolo sociale.
Un’altra rappresentazione fa dell’inconscio un organo umano, di cui si tratterebbe solo di capire dove si trovi. Che ci sia è ormai acclarato, ma dove sta? Così, ognuno si diletta di trovarne la sede, ma sempre come se fosse da trovarne il luogo.
Non necessariamente la sede è un luogo. Invece, un modo di negare l’inconscio, nella sua accezione freudiana e cifrematica, è quello di attribuirgli un luogo, di tentarne una localizzazione. Sia l’encefalo (nelle strutture più profonde, l’ippocampo, il diencefalo… oppure la corteccia), sia la mente, sia il cuore, sia l’anima questo luogo presunto che è ipotizzato, si pone la questione del perché sia così necessario doverlo localizzare in un organo, farne a sua volta un organismo, caratterizzarlo come un essere, pensante o no. Cercare di fotografarlo, di visualizzarlo, addirittura, è diventata l’espressione della modernità scientifica sperimentale.
A nessuno viene da pensare che voler trovare il luogo dell’inconscio, volere indicarlo come una creazione umana, ritenerlo un organo, cioè sostanziarlo, sia in realtà un modo di negare l’inconscio, sia un modo di non interrogarsi intorno a qualcosa che non è naturale e quindi sia un modo di sbarazzarsene.
Per Freud, l’inconscio non è un organo, non è un discorso, non è un sistema, non è teleologico, ossia non è programmato a un fine e men che meno non ha il fine di bene. (E qui sta una questione rilevante).
Questo aiuta a capire non già l’inconscio, ma perché sia stato osteggiato e lo sia tuttora dalle discipline con i loro apparati e da chi fonda la caratteristica prevalente dell’umano sull’esercizio della padronanza. E per padronanza occorre intendere anche il tentativo di istituire un processo comune di pensiero e di azione per ogni umano, processo che oggi va sotto il nome di processo cognitivo. Con questo termine oggi si mira a bandire ogni differenza nel processo di acquisizione, di apprendimento, di scrittura e di restituzione di ciò che costituisce l’esperienza della parola.