La sirenetta
Oggi procediamo con il testo della Sirenetta, con cui incontriamo un altro filone rispetto a quello dei fratelli Grimm. Contrariamente alle fiabe che abbiamo letto sino a qui, che fanno capo a una tradizione popolare che è ripresa e, diciamo così, trascritta dai fratelli Grimm, qui si tratta propriamente di una scrittura di cui Andersen è l’autore. Quindi è da leggere anche in relazione a ciò che riguarda il racconto, in qualche modo, delle sue vicende. È curioso che, all’inizio della produzione, Andersen rivolga ai bambini questi suoi scritti, fiabe scritte per la lettura dei bambini; poi invece sono fiabe o, anzi, storie, che si rivolgono non più solo ai bambini. Diciamo a un pubblico infinito. È una delle fiabe più lunghe di Andersen, quindi cominciamo a leggerla, se non ci sono altre notazioni, domande, o questioni.
Lontano, lontano, in alto mare, l’acqua è azzurra come i petali del più bel fiordaliso, e limpida come il più puro cristallo. Ma è molto profonda, più profonda di ogni scandaglio; bisognerebbe mettere molti e molti campanili l’uno sopra l’altro per arrivare dal fondo sino alla superficie dell’acqua. E laggiù, nel fondo, vive la gente del mare.
Ma non dovete già credere che laggiù non ci sia altro che la nuda sabbia; no, là crescono le più strane piante, dal fusto, dal fogliame così flessibile che si agitano al più lieve moto dell’acqua, come se fossero vive; e tutti i pesci, grandi e piccini, guizzano tra i rami come da noi fanno gli uccelli tra gli alberi. Nel gorgo più profondo, c’è il castello del Re del mare: le muraglie sono di corallo e le alte finestre gotiche della più chiara ambra; il tetto è formato di conchiglie, che si aprono e si chiudono secondo la marea. E fanno un bellissimo effetto, perché in ogni conchiglia ci sono perle così lucenti che una sola basterebbe a dar pregio alla corona di una regina.
Il Re del mare era allora vedovo da molti anni, e gli governava la casa la sua vecchia mamma; brava donna, ma superba della propria posizione, tanto che portava dodici ostriche attaccate alla coda, mentre agli altri grandi della corte non era concesso di portarne che sei.
Quindi, il re del mare era vedovo da molti anni e gli governava la casa la sua vecchia mamma. Questo è già un dettaglio importante che troviamo in apertura: il re del mare, che abitava in questo castello, era vedovo.
Eccettuata questa debolezza, — cioè delle dodici ostriche — era degna di tutto il rispetto, specialmente per il gran bene che voleva alle sue nipotine. Le Principesse del mare erano sei belle bambine; la più giovane, però, era la più bella di tutte; aveva la pelle chiara e liscia come le foglie di rosa, e gli occhi azzurri come il mare più profondo; ma, al pari di tutte le altre, non aveva piedi, perché il corpo finiva in una coda di pesce. — Si trattava dunque di una sirena — Tutta la giornata potevano giocare nel castello, giù negli ampi vestiboli, dove i fiori vivi spuntavano dalle pareti. Le grandi finestre d’ambra erano aperte, e i pesci entravano nuotando, proprio come fanno le rondini da noi, che volano dentro per le finestre aperte; ma i pesci andavano difilati dalle Principesse, prendevano il cibo dalle loro mani e si lasciavano accarezzare.
Davanti al castello, c’era un grande giardino, con bei fiori di un rosso acceso o del turchino più cupo; le frutta rilucevano come l’oro, i fiori parevan fiamme di fuoco; e agitavano di continuo gli steli e il fogliame.
E segue la descrizione di questo castello, del suo giardino e degli elementi che compongono questo ambiente.
[…] Ciascuna delle piccole Principesse aveva nel giardino il suo pezzettino di terra, dove poteva zappare e piantare a suo piacimento. L’una dava alla propria aiuola la forma di una balena; l’altra quella di una sirenetta; ma la più giovane faceva sempre la sua tutta rotonda, come il sole, e i suoi fiori erano rossi e splendenti, appunto come il sole. Era una strana bambina, quieta e pensosa; — strana, una bambina quieta a pensosa — e mentre le sorelle si adornavano di tutte le belle cose avute in dono in occasione del naufragio di qualche bastimento, essa non si curava d’altro che de’ suoi fiori, rossi come il sole; né altro mai aveva voluto che una squisita statua di marmo. Questa statua rappresentava un bellissimo fanciullo, scolpito nel più puro marmo bianco, ed era colata a fondo da una nave naufragata. La Principessina aveva piantato un roseo salice piangente presso la statua; l’albero era cresciuto a meraviglia ed i freschi suoi rami pendevano sopra la statua verso l’azzurro terreno sabbioso, dove l’ombra appariva violacea e si agitava di continuo con i rami stessi: sembrava che l’estremità dei rami e le radici giocassero insieme e volessero baciarsi.
Non v’era per la sirenetta maggior piacere che l’udir raccontare del mondo degli uomini, ch’era al di sopra dei mari. Bisognava che la vecchia nonna raccontasse tutto quel che sapeva, di navi e di città, di uomini e di animali. Le pareva sopra tutto meraviglioso che lassù, sulla terra, i fiori avessero profumo, perché nel fondo del mare non sentivan di nulla; e che gli alberi fossero verdi, e che i pesci, lassù, tra gli alberi, sapessero cantare così forte e così dolcemente, ch’era una gioia lo starli a sentire. Quelli che la nonna chiamava pesci, erano uccellini; ma, se avesse detto altrimenti, la Principessa non avrebbe potuto comprenderla, perché in vita sua non aveva mai veduto un uccello.
“Quando avrete quindici anni, — diceva la nonna — vi sarà concesso di andar su, sino a fior d’acqua e di uscir dal mare, e di sedervi sulle rocce al chiaro di luna a veder passare i grandi bastimenti. Allora vedrete foreste e città! — A quindici anni, non prima, non dopo — L’anno dopo, una delle sorelle compì quindici anni; — quindi sei sorelle, le sei principesse del mare, avevano un’età di un anno differente l’una dall’altra e la prima compie quindici anni — […] ma le altre cinque avevano un anno di distanza tra loro; sicché alla più piccina toccava ancora cinque anni buoni prima di poter salire su dal fondo del mare a vedere che faccia avesse il nostro mondo. La maggiore, però, promise di raccontare alle altre quel che avrebbe veduto, e quello che le sarebbe sembrato più bello di tutto nel primo giorno del suo viaggio; perché la nonna non diceva mai abbastanza e tante cose ancora avrebbero voluto sapere!…
Quindi la nonna non dice mai abbastanza, e c’è sempre qualcosa in più da sapere.
La più curiosa di tutte in proposito era la più giovane, quella appunto che aveva maggior tempo da aspettare, e ch’era sempre così tranquilla e riflessiva. Per notti e notti, se ne stava presso la finestra aperta, guardando su, attraverso la cupa acqua azzurrina i pesci che sbattevano le pinne e la coda. Poteva scorgere anche la luna e le stelle; certo, mandavano una luce molto debole; ma attraverso l’acqua sembravano molto più grandi di quello che apparisse ai nostri occhi; e se ogni tanto le oscurava come una nuvola nera, la Principessina sapeva ch’era una balena che passava al di sopra del suo capo, o forse, una nave piena d’uomini. Né quegli uomini pensavano certo che una bella sirenetta di laggiù tendesse le bianche braccia verso la chiglia della loro nave.
Ora dunque, la maggiore delle Principesse aveva quindici anni, e poté salire alla superficie dell’acqua. Quando tornò, aveva cento cose da raccontare; ma il più bello di tutto, diceva, era di starsene sdraiata al chiaro di luna su un banco di sabbia nel mare immobile, guardando la grande città della costa vicina, dove i lumi palpitavano come cento stelline, ascoltando la musica e i rumori, e il frastuono delle carrozze, e il brusio degli uomini, osservando tutti quei mille campanili e sentendone sonar le campane. Appunto perché a quelle non sarebbe mai potuta arrivare, se ne struggeva più che di tutto il resto.
Dunque la prima sorella sale in superficie e racconta quello che vede. L’anno dopo tocca alla seconda, poi alla terza, poi alla quarta e ciascuna racconta di quello che vede, di ciò che trova bello guardare, di ciò che riguarda il mondo degli uomini. Poi giunse la volta della quinta sorella:
[…] Il suo natalizio veniva d’inverno, e così ella vide quello che le altre non avevano ancora potuto vedere. Il mare era tutto verde, e grandi blocchi di ghiaccio andavano galleggiando qua e là: ognuno di quei blocchi pareva una perla, diceva, e pure era molto più grande dei campanili e delle cattedrali edificate dagli uomini: avevano le forme più strane, e rilucevano come diamanti. Si era persino seduta sul più grande di tutti, ed aveva lasciato che il vento scherzasse con i suoi lunghi capelli, mentre i bastimenti le passavano dinanzi veleggiando, rapidi come frecce. Ma verso sera il cielo era divenuto tutto nero: che tuoni! che lampi! Le onde nere nere sollevavano il grande blocco di ghiaccio, sin che scintillasse su alto, nel sinistro chiarore. Su tutte le navi, le vele erano ammainate, e in tutte era spavento e angoscia. Ma essa se ne stava tranquilla sul suo blocco galleggiante, guardando i serpeggiamenti azzurrini delle saette che guizzando cadevano nel mare.
Quindi anche lei racconta. E così le sorelle, man mano, raccontano alla più piccola quello che hanno visto, e la piccola, intanto, aspetta che arrivi anche per lei il quindicesimo anno:
[…] “Ah, se avessi quindici anni!… — diceva: — So già che vorrò un gran bene al mondo di lassù ed agli uomini che ci vivono”. Finalmente compì davvero i quindici anni.
“Vedi come ti sei fatta grande! — disse la nonna, la vecchia Regina Madre: — Vieni, lascia che ti adorni come le tue sorelle”. Mise una ghirlanda di bianchi gigli tra i capelli della giovinetta; ma ogni giglio era per metà perla: e la vecchia signora permise che otto ostriche si attaccassero alla coda della Principessa a far fede della sua alta posizione.
La regina madre ritiene che la principessa debba rappresentare il censo e, perciò, le consegna il segno della sua posizione.
“Ma fanno male!” — disse la sirenetta. — “L’orgoglio ha sempre la sua pena” — rispose la vecchia signora. — Oh, come sarebbe stata felice di scuotersi di dosso quelle noiose insegne del suo grado, e di metter da parte la pesante ghirlanda! Quanto avrebbe preferito i rossi fiori del suo giardinetto! Ma non c’era rimedio.
“Addio!”, disse, e corse su, leggera e pura come una bollicina d’aria, attraverso l’acqua. Il sole era appena tramontato, quand’ella levò il capo dal mare; ma tutte le nubi erano ancora d’oro e rosa; nel pallido cielo le stelle della sera luccicavano vivide e meravigliose; l’aria era mite e fresca; il mare, del tutto calmo. — Una scena paradisiaca — E c’era un grande bastimento a tre alberi, con una sola vela spiegata, perché non tirava un alito di vento; e tutto all’ingiro, sulle sartie e sulle antenne, stavano i marinai. Sonavano e cantavano, e quando calò la sera, accesero centinaia di palloncini colorati, sì che sembrava che le bandiere di tutte le nazioni del mondo ondeggiassero nell’aria. La sirenetta nuotò subito verso la sala della nave, ed ogni volta che il mare la portava su, all’altezza dei finestrini, poteva vedere, attraverso il cristallo nitido e chiaro come specchio, molta gente vestita con grande pompa. Ma tra tutti spiccava il giovane Principe dagli occhi neri. Non poteva avere certo più di sedici anni; quel giorno era il suo natalizio, ed ecco il perché di tutta quella festa.
Dunque la sirenetta compie quindici anni e il principe ne compie sedici, e c’era una gran festa con fuochi d’artificio, con musica, balli, canti per tutta la notte.
[…] Si era fatto tardi; ma la sirenetta non poteva staccare gli occhi dal bastimento e dal bellissimo Principe. I lampioncini colorati s’erano spenti a bordo, i razzi di fuoco s’erano spenti per l’aria, i cannoni non sparavano più; ma c’era un mormorio, un brusio profondo giù nel mare; ed essa si lasciava portare dall’acqua, beata se poteva dare qualche occhiata nella cabina. Il bastimento, intanto filava, spiegando ad una ad una le vele. E le onde, a mano a mano, si sollevavano sempre più alte; si avvicinavano certi nuvoloni neri, e in lontananza si vedeva un balenìo di lampi.
Tutto andava a gonfie vele, c’era una grande festa, tutti felici, ma improvvisamente la tempesta, quando meno te l’aspetti. Tutto tranquillo, tutto bene, tutto a gonfie vele, improvvisamente la tempesta.
[…] Oh, la tempesta doveva essere terribile! I marinai incominciarono ad ammainare le vele. Il grande bastimento scivolava spedito sul mare tempestoso; le onde si alzavano come grandi montagne nere, pronte a rovesciarsi sugli alberi; ma, come un cigno, il bastimento si tuffava negli avvallamenti presso le onde smisurate, e poi si lasciava portar su di nuovo. Alla sirenetta pareva un bellissimo giuoco; ma per i marinai la cosa era differente. La nave gemeva e scricchiolava; alla fine i fianchi poderosi cedettero al terribile urto, e l’acqua irruppe nel bastimento: l’albero maestro si spezzò in due come un giunco; e la nave rimase coricata sul fianco, mentre l’acqua allagava la stiva. Allora la sirenetta conobbe il pericolo che l’equipaggio correva: ella stessa doveva badar bene a evitare le assi e i rottami della nave che galleggiavano tutt’intorno. Ora il buio era così fitto che non si discerneva più nulla di nulla; ora i lampi mandavano tale chiarore che si poteva scorgere benissimo ogni persona ch’era a bordo. Fra tutti, la sirenetta teneva d’occhio il giovane Principe, e quando la nave si squarciò, lo vide cadere in mare. Ne fu tutta contenta, perché finalmente sarebbe venuto giù in fondo con lei. Ma poi rammentò che gli umani non vivono nell’acqua, e che prima di arrivare giù, al palazzo di suo padre, egli sarebbe probabilmente morto.
[…] Ella si diede a nuotare, allora, tra i rottami e le travi che ricoprivano la superficie dell’acqua, senza nemmeno pensare che una di esse avrebbe potuto ferirla. Si tuffava giù giù sotto l’acqua, poi ricompariva di nuovo, e a questo modo poté giungere vicino al Principe, il quale poco ormai avrebbe potuto durar a nuotare in quel mare burrascoso. Già si sentiva mancare, aveva già chiuso i bellissimi occhi, e sarebbe morto di sicuro, se la sirenetta non fosse venuta in suo aiuto. Ella gli sorresse il capo fuor dell’acqua, e lasciò poi che le onde li portassero tutti e due alla deriva.
Questo principe non riesce a governare il bastimento e fa naufragio e, se non fosse per la sirenetta, sarebbe bell’e spacciato.
Quando spuntò il giorno, la burrasca era finita. Della nave, neppure un frammento si vedeva più. Il sole sorgeva rosso infocato fuor dall’acqua e pareva che i suoi raggi ridonassero un po’ di calore e di vita alle gote del Principe; ma gli occhi rimanevano chiusi. La sirenetta gli baciò la bella fronte ampia, e gli ravviò i capelli bagnati; le pareva ch’ei somigliasse alla statua di marmo del suo giardinetto: lo baciò di nuovo, e sperò che non avesse a morire.
Dinanzi ad essi, stava ora la terra ferma: alte montagne azzurrine, sulle cui vette luccicavano candidi nevai, come branchi di cigni dormienti; e più basso, sulla costa, splendide foreste verdeggianti. Un grande edificio, forse una chiesa o un monastero, sorgeva là presso. Nel giardino, che gli si stendeva dinanzi, crescevano aranci e limoni, e grandi palme ondeggiavano al di sopra della cancellata. Dunque, dopo la tempesta, dove l’onda aveva gettato la sabbia più candida; nuotò col bel Principe, e lo depose sulla sabbia, avendo cura di tenergli il capo sollevato contro i raggi del sole caldo. In quella, suonarono tutte le campane del grande edifizio bianco, e molte fanciulle uscirono nel giardino.
Allora la sirenetta si allontana un po’ per vedere quel che accade e, poco dopo, una giovinetta viene proprio da quella parte.
[…] Sembrò impaurirsi, ma solo per un momento, e subito corse a chiamare le altre. La sirenetta vide che il Principe riprendeva i sensi e sorrideva a quelli che gli stavano d’intorno. Ma a lei non diede un sorriso: nemmeno sapeva che era stata lei a salvarlo. Ed ella ne fu tutta triste, e quando l’ebbe veduto entrare nel grande edifizio, si tuffò nel mare profondo e tornò al castello del padre suo. Era sempre stata mite e melanconica; tanto più ora. Le sorelle le domandarono che avesse veduto la prima volta ch’era salita a fior d’acqua; ma nulla ella volle raccontare.
Da quella volta, molte volte, mattino e sera, la sirenetta tornò alla superficie per vedere se per caso ci fosse ancora il principe da quelle parti; ma, ahimè, del principe non c’è più traccia. E quindi lei era sempre più triste, “mite e melanconica”. Adesso direbbero depressa, che le era venuta la depressione. Invece no, lei pensava al principe. È chiaro. E per questo era triste e non si occupava più del suo giardino, ma solamente della statua di marmo che le ricordava il principe.
[…] Alla fine, non poté più durare, e raccontò tutto ad una delle sue sorelle; e così anche le altre vennero a risaperlo. Del resto, nessuno ne udì parola, all’infuori di poche altre sirene, che svelarono il segreto alle loro amiche più intime. […] Aveva assistito anch’essa alla festa a bordo della nave, e raccontò per filo e per segno di dove venisse e dove fosse il suo regno.
“Vieni sorellina”, dissero le altre Principesse; e si presero tutte per mano e andarono su, in lunga fila al luogo dove sapevano ch’era il palazzo del Principe. Il palazzo era costruito d’una specie di pietra gialla e lucente, con larghe gradinate di marmo, che scendevano sino al mare; lo coronavano splendide cupole dorate, e tra i colonnati, tutto intorno all’edifizio, si ergevano magnifiche statue di marmo, che parevano proprio vive.
Dunque un palazzo bellissimo.
[…] E molte sere e molte nottate passò in quelle acque. Nuotava molto più vicino a terra di quello che alcuna delle sue sorelle solesse mai avventurarsi: anzi, risaliva addirittura lo stretto canale, sotto lo splendido terrazzo di marmo, che proiettava la grande ombra sulle acque; e là se ne stava spiando il giovane Principe, il quale si credeva solo, al chiaro di luna.
[…] Molte volte, la notte, quando i pescatori erano in mare con le torce, sentiva dire un mondo di bene del giovane Principe; ed allora si rallegrava di avergli salvato la vita, quand’era abbandonato senza difesa alla furia delle onde; e si rammentava com’egli avesse posato tranquillo il capo sulla spalla di lei, e come teneramente ella l’avesse baciato. Ma il Principe non ne sapeva nulla, e nemmeno poteva sognare di lei.
Incominciò ad amare sempre più la razza umana e a desiderare sempre più di poter vagare tra coloro che possedevano un mondo, a quanto le pareva, tanto più vasto del suo, perché potevano correre il mare sulle navi, e salire gli alti monti sin al di sopra delle nubi, e le loro terre si stendevano, per boschi e per campi, ben più lontano di quanto i suoi occhi riuscissero a scorgere. Tante cose avrebbe voluto sapere… Ma le sorelle non potevano rispondere a tutte le sue domande, e perciò ella si rivolgeva alla vecchia nonna: la vecchia conosceva molto bene quel mondo, ch’essa chiamava “i paesi al di sopra dei mari”.
“Se uno non si affoga, — domandava la sirenetta: — vive sempre, allora? Non si muore lassù, come si muore qui da noi, nel mare?”. “Sì, — rispondeva la vecchia signora: — anch’essi debbono morire; anzi, la loro vita è anche più breve della nostra. Noi possiamo arrivare fino a trecento anni; ma quando cessiamo di esistere qui, siamo tramutate nelle spume vaganti sulla superficie del mare, e non abbiamo nemmeno una tomba, quaggiù, vicino a quelli che amiamo. Noi non abbiamo un’anima immortale; non abbiamo altra vita che questa, noi, siamo come le verdi alghe marine, le quali, una volta tagliate, non rifioriscono più. Gli uomini, invece, hanno un’anima che vive sempre, che continua a vivere anche quando il corpo è divenuto polvere; e questa va su per l’aria tersa, sino in cielo, in mezzo allo scintillio delle stelle! Come noi ci alziamo dalle acque, sino a contemplare tutti i paesi della terra, così si levano essi agli ignoti spazii gloriosi, che noi non possiamo mai vedere”. “E perché non fu data anche a noi un’anima immortale? — domandava la sirenetta tutta dolente: — Darei volentieri tutte le centinaia d’anni che ho ancora da vivere, per divenire un essere umano, un giorno soltanto, e per aver la speranza di entrare anch’io nel regno dei cieli”.
“Non devi pensare a queste cose, replicava la vecchia signora. — Non devi pensare a queste cose — Noi ci sentiamo molto più felici e molto migliori degli uomini di lassù”. “Mi toccherà dunque morire, e divenire una spuma del mare, senza più sentire la musica delle onde, senza più vedere i bei fiori ed il sole infuocato? Ma non potrei far niente io, per conquistarmi un’anima immortale?”. — Si chiede la sirenetta — “No, rispose la nonna”.
Prima risposta: “No!”. “Ma io potrei…?”. “No!”. “Ma se…”. “No!”. Però, poi, non è proprio così la faccenda.
“Solo se uomo ti amasse tanto che tu divenissi per lui più del padre e della madre; solo se egli si legasse a te con ogni suo pensiero e con tutto il suo amore, e volesse che un sacerdote mettesse la tua mano nella sua con una promessa di fedeltà, per la vita e per tutta l’eternità, allora un’anima pari alla sua sarebbe concessa al tuo corpo, e tu parteciperesti della felicità umana”.
Non è proprio no, ci sono delle condizioni, c’è una procedura da seguire; non è proprio facile facile, però c’è una eventualità.
“Egli darebbe a te un’anima, eppure non perderebbe la sua”.
Perché ci sono anche casi in cui uno dà l’anima a un altro e la perde; invece, in questo caso, darebbe un’anima senza perdere la sua.
“Ma questo non può mai accadere. Ciò che da noi, nel mare è reputato bellezza, — la coda di pesce — parrebbe bruttissimo sulla terra. Non se ne intendono, vedi; lassù bisogna che uno abbia due grossi trampoli che lo sostengano, per esser giudicato bello”.
Dunque sarebbe possibile, ma è difficilissimo per una questione estetica. C’è di mezzo la coda di pesce.
La sirenetta sospirò, guardandosi tristemente la coda di pesce.
Dice: “Sarebbe possibile, ma con quel corpo… Con quel corpo no!”.
“Su, su, allegri! — esclamò la vecchia signora — Balliamo e guizziamo per questi trecent’anni che abbiamo da vivere. Mi par bene che bastino! E tanto meglio riposeremo poi. Questa sera la corte darà un ballo”.
Dice di non pensarci, che trecento anni sono già una bella soddisfazione, che bisogna accontentarsi di quel che si ha e basta, e dice: “Questa sera andiamo a corte che ci sarà un ballo”. È una festa bellissima alla sera, con una sala meravigliosa, con tutti gli invitati migliori e però, dopo un primo momento di distrazione, la sirenetta torna a pensare al principe.
[…] Non poteva dimenticare il bel Principe, né il proprio dolore per non avere un’anima immortale come quella di lui. Sgusciò fuori dal palazzo di suo padre, e mentre tutto là dentro era gioia e allegria, sedette malinconicamente nel suo giardinetto. Sentì echeggiare un lungo fischio attraverso le acque, e pensò: “Ecco che ora egli salpa forse lassù, nel suo bastimento, il bel Principe per cui mi struggo, e nella mano del quale vorrei mettere la felicità della mia vita. Sono pronta a tutto, pur di conquistarmi il suo amore ed un’anima immortale. Mentre le mie sorelle danzano nella reggia, andrò dalla strega del mare, che mi faceva sempre tanta paura: chissà se mi può dare consiglio e aiuto”.
A un certo punto la sirenetta, che non può dimenticare il principe, che non può rassegnarsi a non avere un’anima immortale, avendo uno sbarramento da una parte, uno sbarramento dall’altra, un’impossibilità di qua, e di là, dice: “Vado dalla strega”. Quindi compare la strega.
Allora la sirenetta uscì dal giardino e andò al gorgo spumeggiante, dietro al quale abitava la vecchia maga. Non aveva mai fatto quel viaggio. Non crescevano fiori, colà, né erbe marine: solo la grigia sabbia nuda si stendeva verso la voragine, dove l’acqua turbinava rumoreggiando come la ruota d’un molino, strappando giù con sé nell’abisso tutto quanto potesse ghermire. — Un viaggio difficilissimo — Per arrivare ai dominii della strega, le toccò attraversare la nebbia che circondava quei vortici tumultuosi, e per un buon tratto non c’era altra via all’infuori di quella che passava sopra la gora di mota bollente, che la strega soleva chiamare il pantano delle corse. Dietro ad esso era la sua casa, in mezzo a una singolare foresta, di cui tutti gli alberi ed i cespugli erano polipi, mezzo animali e mezzo piante. Sembravano serpenti dai cento capi, che crescessero fuor del terreno: tutti i rami erano lunghe braccia viscide, con dita flessibili come vermi, e tutto si muoveva, tutto brulicava, a parte a parte, dalla radice sino alla più alta vetta; e tutto quello che potevano abbrancare nell’acqua, abbrancavano stretto, e non lasciavano andare mai più. — Un posto bruttissimo, sconsigliabile — […] Uomini, ch’eran periti in mare e colati al fondo, sporgevano come bianchi scheletri fuor dalle branche dei polipi; ed anche remi e stipi e ossami di animali marini tenevano essi abbrancati, e persino una piccola sirena, che avevano acchiappata e strangolata… e questo sembrava il più orribile di tutto alla nostra Principessa.
Nonostante questo ambientino, la sirenetta arriva dalla strega, arriva dal consulente, dal suo consulente di fiducia. Arriva, e il consulente le dice: “So quello che vuoi”. Non la lascia nemmeno parlare, sa già quello che vuole. Non ha bisogno, il consulente di fiducia della sirenetta, di ascoltare: sa già, lui sa. Sa quello che lei vuole.
[…] “So quello che vuoi — disse la strega marina: — è stupido, da parte tua, ma sarà fatto a tuo modo, poi che altro che sventura non ti ha da portare, mia bella Principessa. Tu vuoi liberarti della tua coda di pesce, ed avere due fusti, come quelli che la gente della terra adopera per camminare, perché il giovane Principe s’innamori di te, e tu possa acquistare un’anima immortale”.
La strega dice: “Ma insomma, tu sei nata pesce e pesce devi restare. Cos’è questa storia che, essendo nata pesce, vuoi trasformarti in un’altra cosa?”.
E detto questo, la strega rise forte, di un brutto riso disgustoso, così che il rospo ed i serpenti marini scivolarono al suolo e là rimasero strisciando.
Bello questo “So quello che vuoi”. La strega sa, sa già. Non c’è bisogno di parlare e, infatti, applica alla lettera questo dettato.
“Vieni giusto in tempo! — disse: — dopo l’alba di domani, non avrei più potuto aiutarti” …
“Lei è veramente fortunata, è arrivata al momento giusto dalla persona giusta. Posso aiutarla, dato che è lei, e che è arrivata questa sera. Già domani, non avrei potuto fare più nulla”. È un vero consulente questa strega, sa vendere bene la sua merce.
[…] “Ti preparerò un filtro, — ci penso io! Tu non hai bisogno di fare nulla — e con esso devi nuotare a terra, domani, prima del levar del sole, e sederti a terra, e berlo; allora la tua coda si bipartirà e diventerà quello che la gente chiama “gambe”; ma bada che ti farà male, ti parrà di sentirti trapassare da una spada acutissima. Tutti quelli che ti vedranno, diranno che sei la più bella creatura umana che abbiano mai incontrato. Serberai l’eleganza dell’andatura e la grazia della danza; nessuna danzatrice avrà movenze così leggere, — benissimo! Bella, brava, eccellente, ma c’è l’altra faccia — ma a ogni passo che farai, sarà come se tu camminassi su coltelli appuntiti e tutto il tuo sangue avesse a spiccare a goccia a goccia. Se vuoi sopportare tutto ciò, posso aiutarti”. “Sì…”, disse la sirenetta con la voce che le tremava; e pensò al Principe ed all’anima immortale.
“Ma tieni bene a mente questo, — continuò la strega — una volta che tu abbia acquistato forma umana, non potrai mai più tornare sirena; non potrai mai più tornare nell’acqua con le tue sorelle, nel castello di tuo padre; e se non ottieni l’amore del Principe, così ch’egli abbia a dimenticare padre e madre per te, e ti dia il suo cuore e l’anima sua, e preghi il sacerdote di congiungere le vostre mani, tu non acquisirai un’anima immortale. La mattina dopo ch’egli avesse sposato un’altra, il cuore ti si spezzerebbe e diverresti spuma del mare”.
Nell’altra faccia c’è la minaccia di morte. Dunque ci sono le due facce: la faccia del positivo, ma subito. lei dice: “Può andarti bene e può andarti male”. Quindi, la strega minaccia il pericolo di morte, perché la sirenetta è danzatrice provetta, è bellissima, è bravissima. Che cosa acquisisce? Le gambe e il pericolo di morte. Cioè, non vive più trecento anni ma, l’indomani mattina del giorno in cui il principe sposasse un’altra, muore. La strega che cosa fa? Le dà le gambe al prezzo di grandi dolori e le garantisce una morte anticipata. Dunque la nonna le dà trecento anni di vita e poi muore; la strega nemmeno quello, a meno che il principe non la sposi.
“Sono disposta a tutto…” — disse la sirenetta — ma era diventata pallida come una morta. — Cioè già lì, praticamente — “E per giunta devi anche pagarmi, bada! — È consulente, mica lo fa gratis, si fa pagare — disse la strega — né ti chiedo poca cosa”.
Vera professionista, dice: “Devi pagare. Faccio tutto io. Ti garantisco non la riuscita, ma la morte, e devi pagare”.
“Tu hai la più bella voce di quante siano qui, in fondo al mare; e con codesta voce, ti crederesti forse d’incantarlo”.
Dice: “Sarebbe per te cosa di poco conto, canti, e lo conquisti. Bene, la voce no, la voce la dai a me”.
“Invece devi darla a me. La miglior cosa che tu abbia devi darmi, in cambio del mio filtro prezioso! Ti ci debbo mettere il mio sangue,” — nel filtro, lei ci mette il suo sangue, cioè è professionista in tutto e per tutto — “perché il filtro sia davvero potente come una spada a doppio taglio”. — Ci deve mettere il suo sangue — “Ma, se mi togli la voce, — disse la sirenetta — che cosa mi resterà?”. “La tua bellezza, — rispose la strega — la graziosa andatura, gli occhi che parlano; con essi, ben potrai cattivarti un cuore umano. Hai bell’e perduto il coraggio, eh? Metti fuori la tua piccola lingua, ch’io la tagli per mio pagamento, ed avrai un filtro possente”. “E sia”, disse la sirenetta. Allora la strega mise al fuoco la pentola per fare bollire il filtro. “La pulizia è la prima cosa!”, diss’ella…
Era una strega pulita. La pulizia è la prima cosa. Anche Milosevic dice così: “la pulizia è la prima cosa”. Bisogna pulire l’ambiente dallo sporco. La pulizia è la prima cosa.
…e ripulì la pentola con i serpenti, di cui aveva fatto un grosso groviglio a mo’ di cencio; poi si graffiò il petto, e lasciò colare nella pentola il nero suo sangue.
Il vapore si levava nelle più strane forme, così strane e terribili, che sarebbero bastate quelle a spaventare chi stava a vedere. Ad ogni istante, la strega buttava nella pentola nuovi ingredienti; sì che quando fu a bollore, mandava un suono come il pianto di un coccodrillo. Alla fine, il filtro fu pronto: era chiaro come l’acqua più pura.
“Eccoti servita!” — disse la strega. — E mozzò la lingua alla Principessa; ed ella divenne muta per sempre e non poté mai più cantare né parlare.
Dunque la strega propone alla sirenetta la via facile. Le dice: “Ti dico io come si fa! Fai questo e ti trasformi”. Le consiglia la via facile per trasformarsi in donna. Data la via facile, la sirenetta non può più parlare né cantare. Dunque, questa via facile è in assenza di parola.
“In caso che i polipi ti afferrassero, quando riattraverserai il mio bosco, — disse la strega — non hai che a spruzzarli con qualche goccia di questo filtro — in soprammercato le dà un altro filtro. Questo dice. Prendi tre e paghi due. Prendi due e paghi uno — e le loro branchie e le dita cadranno il mille frantumi”.
Un filtro qui, un filtro lì. È tutto automatico.
Ma la Principessa non ebbe bisogno di ciò, perché i polipi si tiravano da parte impauriti, appena vedevano il liquido fiammeggiante, che brillava tra le sue mani come una stella.
E ritorna al castello del padre con il filtro; penetra nel giardino, coglie un fiore dall’aiuola di ciascuna delle sue sorelle, manda tanti baci e parte verso la dimora del principe. Dice addio per sempre alla nonna, al padre, alle sorelle.
Padre, questo, che, occorre dire, non compare mai nella fiaba; non c’è. C’è all’inizio, perché la fiaba inizia così, che, lontano lontano, c’era il palazzo di questo re del mare che era allora vedovo. Basta. C’è un re vedovo, c’è una nonna e c’è una strega. E parte.
[…] Il sole non era ancora levato, quando ella scorse il palazzo del Principe e salì lo splendido scalone di marmo. La luna mandava un meraviglioso chiarore. La sirenetta bevette il filtro, che bruciava come il fuoco, e le sembrò che una spada a due tagli le trapassasse il corpo delicato: si sentì mancare, e rimase lì come morta. Quando riprese i sensi, il sole era già alto sul mare, ed ella provò un dolore acutissimo. Ma per l’appunto in quel momento, si vide dinanzi il bel Principe, che la fissava con i suoi occhioni neri come il carbone, ed ella abbassò i suoi. Si avvide allora che la coda di pesce era sparita — trasformazione avvenuta, senza bisogno di niente se non del filtro — e che ella aveva invece i più bei piedini, che mai fanciulla al mondo abbia potuto desiderare. Ma non aveva vesti, e perciò si avvolse nei lunghi capelli. Il Principe le domandò come fosse giunta colà, ed ella lo guardò con dolcezza, ma molto tristemente, con i cupi occhi azzurri, perchè non poteva parlare.
[…] Allora egli la prese per mano e la condusse nel castello. Ogni passo che muoveva era, la strega l’aveva predetto, come se camminasse sugli aghi o sui coltelli appuntiti, ma sopportava volentieri la sua tortura. Camminava alla destra del Principe; leggera come una bolla di sapone, e tutti rimanevano attoniti per la grazia flessuosa de’ suoi movimenti.
La sirenetta viene introdotta a corte, dove le vengono dati dei vestiti e dove sente le altre schiave cantare, e lei sa che potrebbe cantare molto meglio. Ma non può, né il principe sa che lei ha rinunciato a tutto questo per lui.
Eh, lui non lo sa! Il principe le vuole bene, la tiene sempre vicino sé. Lei dorme in un cuscino fuori della sua camera. Le era molto affezionato, ma non gli era mai passato per il capo di farla sua moglie.
[…] e pure, bisognava che ella divenisse sua moglie per acquistare un’anima immortale; altrimenti, la mattina del matrimonio di lui avrebbe dovuto struggersi in spuma sul mare.
E la sirenetta, per un verso, è soddisfatta perché è vicino al suo principe e si giova della sua vista, però pensa.
[…] “Ah, egli non sa che io, invece, gli ho salvato la vita!”, pensava la sirenetta: “Io l’ho portato sulle acque sino alla spiaggia dove sorge il Tempio; e sono stata lì, nascosta tra la spuma, spiando se qualcuno venisse; ed ho veduto la bellissima fanciulla che egli ama più di me…”.
Perché il principe si ricordava di avere visto una bella fanciulla, appena aveva aperto gli occhi, e pensava che quella l’avesse salvato, e quella lui avrebbe sposato. Solo quella, quella che l’aveva salvato. Quindi il principe è innamorato della fanciulla che l’ha salvato e quella sposerà. Dice che solo quella può sposare, quella che l’ha salvato.
A un certo punto, anche il principe cresce e il re suo padre dice che deve prendere moglie, e gli annuncia che deve fare un viaggio per recarsi nel paese vicino per vedere la bella principessa di quel paese che egli doveva sposare.
[…] “Debbo fare questo viaggio — egli le aveva detto — debbo vedere questa bella Principessa: i miei genitori lo desiderano, ma non intendono però costringermi a sposarla. Né io, d’altra parte, la posso amare. Non somiglia come te alla bella fanciulla del Tempio. Se dovessi scegliermi una sposa, piuttosto sceglierei te, mia cara trovatella, mia povera mutina dagli occhi che parlano”.
Per il principe lei era trovatella, per di più era muta e non aveva discendenza regale. Partono, arrivano a questo paese e, anche lì, la gente è in festa, perché arriva il principe. Però la principessa non è lì ad attenderli, perché era andata al tempio.
Cos’era andata a fare al tempio la principessa? Era in educazione in un sacro tempio, dove apprendeva tutte le virtù regali. La principessa non beveva filtri; seguiva il suo itinerario, di formazione, di educazione, per acquisire le virtù regali. La principessa non seguiva la via facile. Seguiva la via della formazione, dell’educazione, dell’acquisizione; l’itinerario per acquisire le virtù regali.
Dunque, arriva, dopo un po’. La sirenetta era ansiosa di vedere la bellezza di questa principessa, e fu costretta ad ammettere che era bella davvero.
[…] Una più graziosa apparizione non le era mai accaduto di vedere. La carnagione della Principessa era bianca e pura e dietro le lunghe ciglia sorridevano due occhi sinceri, di un bell’azzurro cupo.
Il principe la vede, resta anche lui colpito, e dice:
“Voi siete la damigella che mi salvò, quando giacevo come morto sulla spiaggia!”.
Era proprio la ragazza che aveva visto sulla spiaggia dopo che la sirenetta l’aveva salvato e che era divenuta principessa in età di matrimonio.
[…] e si strinse al petto la giovane sposa che si era fatta rossa rossa. “Oh, son troppo, troppo felice! — gridò alla sirenetta: — La mia più cara speranza si è avverata. Tu ti rallegrerai certo della mia felicità tu, che mi sei più devota di tutti!”. E la sirenetta gli baciò la mano: le sembrava già che il cuore le si spezzasse, perché la mattina delle nozze doveva portarle la morte, e tramutarla in una lieve spuma di mare.
Le nozze sono annunciate e vengono preparate, entrambi salgono sul bastimento che li porterà nel palazzo del principe per le nozze.
[…] Era l’ultima sera in cui respirava l’aria ch’egli respirava, in cui contemplava il cielo stellato e il mare profondo: l’aspettava la notte eterna, senza pensiero e senza visioni, perché non aveva anima né poteva più acquistarla.
Improvvisamente per la sirenetta è la fine, non c’è più scampo, mentre a bordo del bastimento tutti erano gioiosi, in allegria e si danzava.
[…] Il Principe baciava la sua sposa ed ella gli accarezzava i capelli, neri come ala di corvo; poi si presero per mano ed andarono a riposare sotto lo splendido baldacchino.
Dunque, il principe e la principessa vanno a riposare.
A bordo tutto tacque; il pilota soltanto rimase al timone, e la Sirenetta appoggiò le bianche braccia alla sponda, e si diede a guardare verso l’oriente, dove l’alba stava per spuntare, l’alba che col primo suo raggio, ella purtroppo lo sapeva, — lo sapeva — l’avrebbe uccisa.
Allora vide alzarsi sui flutti le sue sorelle: erano pallide come lei, né i lunghi capelli ondeggiavano più al vento… I loro bei capelli erano stati tagliati.
Anche loro avevano ritenuto utile andare dal professionista, per una consulenza, e il professionista li aveva tenuti in pagamento.
“Li abbiamo dati alla strega per poterti venire in aiuto, affinché tu non muoia questa notte. Essa ci ha dato un coltello: eccolo qui! Vedi com’è affilato? Prima che spunti il sole, devi immergerlo nel cuore del Principe; e quando il sangue caldo cadrà sui tuoi piedi, essi si riuniranno di nuovo, tramutandosi in coda di pesce, e tu ritornerai sirena, tornerai con noi, e vivrai i tuoi trecento anni…”
È il cerchio della gnosi che si chiude: dal sangue e dalla sua economia al ritorno con il sangue al punto di partenza. Dal sangue della strega al sangue del principe si compie l’economia del sangue, che deve sancire la genealogia della sirenetta: pesce sei e pesce ritornerai. Secondo la profezia della nonna: “…e vivrai i tuoi trecento anni, prima di divenire morta spuma salata sulla cresta delle onde”. Animo! O lui, o te…”. Il duello: o lui, o te. Alternativa esclusiva, mors tua, vita mea. L’affrontamento. Siamo proprio nella gnosi, nel duello, nel duello gladiatorio.
[…] “Uno dei due ha da morire prima dello spuntar del sole”.
La strega ribadisce il messaggio di morte che sta alla punta della via facile. Questa è la certezza che sta alla punta della via facile: o tu o lui, o tu o io, o io o lui. Alternativa esclusiva.
“La nostra vecchia nonna si dispera tanto che suoi bianchi capelli son tutti caduti, — sono caduti anche i capelli della nonna — come caddero i nostri sotto le forbici della strega. Uccidi il Principe e torna con noi!”.
Qual è il prezzo per rientrare nella famiglia? Uccidere il principe. O morire o uccidere il principe. E si tratta comunque di morire, perché dopo trecento anni muore, solo che è una morte dilazionata, rimandata. “Presto! Non vedi quella zona rossa nel cielo? Tra pochi minuti il sole sorgerà, e tu dovrai morire”. E con un profondo sospiro scomparvero sott’acqua.
A questo punto, la sirenetta deve decidere. Scostò la tenda del baldacchino, e vide la bellissima sposa, che dormiva col capo sulla spalla del Principe. I danesi non andavano tanto per il sottile. Quando era promessa, era promessa e dormivano assieme, non è come in altre parti.
Si chinò e lo baciò in fronte, e guardò su al cielo, dove l’aurora si accendeva d’un rosso sempre più intenso; poi guardò il coltello affilato, e fissò di nuovo gli occhi nel Principe, che nel sonno mormorava il nome della sposa. Ella sola stava in cima ai suoi pensieri… Il coltello tremò nella mano della sirenetta: ma subito ella lo gettò lungi da sé, nelle onde, che si tinsero di rosso dove andò a cadere; e gli spruzzi che rimbalzarono parvero gocciole di sangue. Ella guardò un’altra volta il Principe, con gli occhi che già si oscuravano… Poi si gettò dalla sponda del bastimento nel mare, dove sentì il suo corpo tutto dissolversi in candida spuma. In quel momento, il sole sorse fuor dall’acqua. I raggi caddero col soave tepore sulla fredda spuma del mare, e la sirenetta non sentì per nulla la morte.
Non sentì per nulla la morte. Allora, muore o non muore? Non sentì per nulla la morte.
Vide una gloria di sole, e sopra di lei un fluttuare di mille splendide forme eteree. Le scorgeva tra le bianche vele del bastimento e le nubi infuocate del cielo: il loro linguaggio era melodia, melodia così spirituale che nessun orecchio umano avrebbe potuto udirla, come nessun occhio umano poteva veder quelle forme che, senz’ali, volavano per l’aria. La sirenetta s’avvide di essere divenuta simile ad esse, e con esse s’alzava sempre più alto fuor dalla sua spuma.
“Dove vado?”, domandò.
A questo punto la sirenetta si chiede “Dove vado?”. Non sa già, non sa più dove, non sa più cosa accadrà. “Dove vado?”.
E la sua voce risonò come la voce di quegli altri esseri, così spirituale che nessuna musica terrena avrebbe potuto starle a paragone.
Quindi ha riacquisito la voce.
“Dalle figlie dell’aria!”, risposero le altre. — Ecco, si trattava delle figlie dell’aria — Le sirene non hanno anima immortale e non possono acquistarla se non ottenendo l’amore di un mortale: la loro vita eterna è sottomessa alla potestà altrui. Le figlie dell’aria non hanno, nemmeno esse, anima immortale: ma possono guadagnarsela con le buone opere.
E quali sono le buone opere della morale danese?
“Voliamo nei paesi caldi, dove la greve aria pestilenziale uccide gli uomini, e vi portiamo la nostra frescura. Spargiamo nell’aria le fragranze dei fiori, ed apportiamo ristoro e salute. Quando ci siamo ingegnate per trecento anni” — anche qui ci sono trecento anni, ma trecento anni di opere che si ingegnano a fare — “di fare tutto il bene che possiamo, ci è concessa un’anima immortale, ed abbiamo parte nella felicità eterna degli uomini. Tu, povera sirenetta, ti sei studiata con tutto il cuore di giungere il fine, dietro al quale noi pure ci struggiamo; hai penato e sopportato: per la tua bontà sei assurta al mondo degli spiriti; e di qui a trecent’anni, potrai avere anche tu un’anima immortale”.
Ora qui dopo i trecento anni non c’è più la scadenza della morte, c’è un’altra eventualità, l’eventualità dell’anima immortale.
La sirenetta alzò gli occhi snebbiati verso il sole di Dio, e per la prima volta, li sentì riempirsi di lacrime.
Sul bastimento eran tornati la vita ed il frastuono. Ella vide il Principe e la sua sposa, che la cercavano dappertutto: poi guardavano tristemente la spuma iridata, come se sapessero che la sirenetta s’era gettata nel mare. Invisibile, ella baciò la fronte della sposa, alitò leggermente sul volto del Principe e poi salì con le altre figlie dell’aria sulle rosee nubi fluttuanti per l’etere.
“Da qui a trecent’anni, voleremo tutte così in Paradiso. E può darsi che ci arriviamo anche prima! — mormorò una figlia dell’aria: — e come? — Sempre invisibili, noi visitiamo le case degli uomini dove ci sono bambini, e per ogni giorno in cui troviamo un bambino buono, che dà conforto al babbo e alla mamma e merita il loro affetto, il nostro tempo di prova ci viene un po’ abbreviato. I bambini non ci vedono volare per la stanza; ma quando sorridiamo di gioia, perché uno è buono, ci viene condonato un anno dei nostri trecento; quando, invece, vediamo un bambino cattivo, che fa le bizze, piangiamo dal dispiacere, ed ogni lacrima è un giorno di più, che si aggiunge al nostro purgatorio”.
E così termina la fiaba della Sirenetta, la sirenetta che, dunque, puntava all’immortalità. Qual era la questione della sirenetta? Qual è? Come divenire immortale.
Una questione essenziale, ossia come non essere soggetti alla morte, soggetti della morte, come non essere soggetti del male, della morte e delle loro rappresentazioni. Come divenire immortale. Questione quindi del dispositivo per l’immortalità, del dispositivo o dei dispositivi per giungere al compimento di questo progetto, che non è a portata di mano e che presuppone una traversata.
Che cosa si frappone al compimento di questo progetto? Innanzi tutto si frappone la via facile, che presuppone dunque l’assenza di dispositivo, l’assenza di itinerario, l’assenza di traversata, ma l’automaticismo: un filtro, e la cosa è fatta. Basta un filtro, basta un patto con il diavolo o un patto con dio e la cosa è fatta. Ma è fatta in nome di che cosa? In nome della morte.
Ora, l’epilogo della fiaba indica che la sirenetta non muore, non avendo seguito la via facile. Certamente la fiaba può essere letta secondo la morale, la morale danese in questo caso, secondo una morale gnostica, una morale di purificazione; la morale che fa dire a Marcello, nell’Amleto: “C’è qualcosa di marcio nel regno di Danimarca”, in nome del quale si tratterebbe di abolire il marcio, di fare pulizia, di espiare la colpa per compiere l’economia del male e della morte; oppure possiamo leggerla secondo i termini della parola, secondo la logica della parola. In questo modo possiamo constatare che, appunto, la sirenetta non muore, non si lascia andare alla via facile, non si lascia andare alla fantasia della via facile, che sorge quando? Quando, abolita la madre, sorge la sua anfibologia.
Tolta la madre — il re del mare era vedovo — in assenza di madre, sorge l’anfibologia della mamma: la mamma buona o la mamma cattiva, la mamma positiva o la mamma negativa. Ecco la nonna e ecco la strega. Anfibologia della mamma che si situa tuttavia nella stessa fantasmatica della fine del tempo, perché è solo con il mito della madre che il tempo non finisce, che le cose sono infinite, che l’Altro non rientra nell’anfibologia del positivo o del negativo, amico o nemico, ma è Altro. Per cui non c’è conoscenza del destino, non c’è conoscenza delle cose, non so già cosa accadrà e, non sapendo già, si tratta d’istituire quei dispositivi perché il progetto giunga a compimento.
Si tratta qui della questione femminile, per la sirenetta, e dell’infinito in cui si situa. Questione femminile o, se vogliamo dire, anche questione dell’immortalità, questione dell’infinito, questione della dissipazione della padronanza sul tempo e dunque della dissipazione dell’idea di fine; ossia di un itinerario in cui la questione è quella dell’immortale, del senza fine, dell’infinito e non del colpo di mamma, della mannaia, della fine delle cose.
Perché la nonna dice: “Trecento e poi basta”, la strega dice: “O lui o te”. Entrambe confermano la fine, che c’è fine e che si tratta di mantenere il cerchio della genealogia, lì dove l’istanza è quella della traversata, del viaggio, del divenire, dell’impresa. Si tratta, nella sirenetta, dell’impresa di divenire immortale. E allora chi è la sposa del principe? Chi è la sposa del principe?
È la sirenetta. È semplice. La sirenetta è la sposa del principe, in quanto non più soggetta alla morte, non più soggetto dell’alternativa esclusiva, non più soggetto della minaccia di morte, non più figlia della strega, non più “figlia di”; non più dedita alla via facile per evitare la morte, perché così, ciò che si vuole evitare è ciò che trova conferma e consacrazione a ogni passo. La sirenetta non crede più nella via facile, non crede più nella fine del tempo, non ha bisogno di uccidere il principe, perché diviene sposa del principe in un itinerario di educazione e di formazione, e d’acquisizione delle virtù regali, senza più filtri né pozioni.
Si tratta esattamente degli impedimenti posti al progetto di divenire immortali da parte della fantasia di fine del tempo, della fantasia cioè che le cose possono essere positive o negative, che quindi le cose debbano essere giudicate secondo l’alternativa esclusiva: o bene o male, o sì o no. Che, poi, è sempre no. La dicotomia fra il bene e il male comporta sempre il male. È chiaro qui! Comporta sempre la morte e sempre il male. Una volta accettate l’idea del negativo, l’idea del male e l’idea della fine, sono accettate per sempre.
È questa la questione. Se non c’è il dispositivo intellettuale, se non c’è l’itinerario di formazione, di educazione, di insegnamento, l’itinerario di assoluzione della sostanza, il male, la morte, il negativo sono accettati per sempre e ogni cosa diventa allora negativa, ogni cosa diventa orientata verso il negativo, ogni cosa ha al suo termine la fine; magari una fine dolce, una fine “accettabile”, ma sempre fine. È solo attraverso la non accettazione intellettuale della morte che la padronanza sul tempo, quest’idea del negativo, si dissipa, ma occorre fare l’itinerario di assoluzione. Non già il cerchio, l’economia della morte nella sua circolarità, attraverso filtri, pozioni e di nuovo pozioni e filtri per un ritorno a un punto di partenza: si tratta di divenire immortale, possiamo anche dire divenire intellettuale.
Non era un segreto, lei lo racconta. Anche questo è un dettaglio importante: non c’è segreto. Per divenire immortale, nel divenire immortale, nell’itinerario, non c’è il segreto. L’idea del segreto, come l’idea del fatto, come idea della conoscenza da mantenere, sorge appunto con l’idea di fine, perché si tratta di conoscere la fine e il suo segreto. Il segreto è sempre il segreto sulla morte. Il segreto è il segreto di mamma, è il segreto della sessualità, è il segreto della morte, il segreto che non c’è; è il segreto che è creduto esserci a condizione di credere nella fine, perché allora si tratterebbe della conoscenza della fine.
Questo è il segreto di mamma. Tutto quello che mamma non vi ha detto, o che vi ha detto, è questo. La conoscenza sarebbe conoscenza della morte per sapere farne l’economia, cioè per vivere della morte giorno per giorno.
E è questo che accade alla sirenetta nella sua economia dell’itinerario: vive giorno per giorno sulla punta di coltelli e con dolori vivacissimi, con pensieri di morte, dove ogni giorno è il giorno della fine. È questa la genealogia.
Questi sono alcuni aspetti, ma ce ne possono essere degli altri.
Quarta conferenza della serie La lettura delle fiabe