La democrazia
La psicanalisi senza la questione intellettuale non esiste. Diventa un modo umano della psichiatria. Il modo umano della psichiatria è il modo democratico della psichiatria, e, non a caso, Psichiatria democratica è stata una delle correnti che ha propugnato l’umanizzazione della psichiatria, cioè la condanna di ogni soggetto a meritarsela!
Come notava giustamente il nostro amico, la settimana scorsa eravamo al decimo festival della modernità dal titolo La democrazia. È stata un’occasione molto interessante per ascoltare le testimonianze di intellettuali di vari paesi, dissidenti, scrittori, filosofi, politici; dall’Italia, dalla Francia, dalla Russia, dalla Cina, dall’Iran, ciascuno con un contributo alla nozione di democrazia.
Democrazia è un termine che risulta impiegato oramai da ogni settore, ma che cosa viene inteso per democrazia? Qual è l’ipotesi democratica? Che cosa viene inteso, che cosa viene proposto quando il politico, lo psichiatra, il giudice, propone il metodo democratico?
Democrazia sociale, democrazia magistrale, democrazia psichiatrica, magistratura democratica, metodo democratico. Alcuni intendono per democrazia libertà, altri intendono uguaglianza, altri parità sociale, altri equità, altri intendono il potere del popolo, secondo l’etimo. Ma di che cosa si tratterebbe in questo potere e in questo popolo? Da chi sarebbe costituito il popolo? Chi è il popolo? Quale popolo? In molti casi per democrazia viene inteso il consenso. Il metodo democratico sarebbe il metodo che accoglie il consenso. Il consenso di chi? Di molti, della maggioranza. Ma bisognerebbe che fosse il consenso tutti. Ma, come notava già Erodoto, il modo della democrazia è il modo della maggioranza, ma questa maggioranza ha come ideale quella di divenire la totalità. Democraticamente! Con il consenso di tutti! Perché, notava Erodoto, en tò pollò estì tà pànta nel molto, nella maggioranza, ci sta ogni cosa, ci sta il tutto. È curioso, no? La maggioranza si prende tutto! E questo è il modo democratico! Ma il ciascuno? Chi si occupa del ciascuno? Il ciascuno sta nella maggioranza, deve stare nella maggioranza? E se stesse nella minoranza? Qual è il diritto di ciascuno se la democrazia si occupa del diritto della maggioranza? Anche la minoranza ha il suo diritto! Allora c’è il conflitto tra il diritto della maggioranza e il diritto della minoranza. Ma questo conflitto vale per assicurare il diritto di ciascuno?
Allora la psicopatologia. Qual è il criterio della psicopatologia? È il criterio della maggioranza! La maggioranza è normale e la minoranza è psicopatologicamente affetta da disturbi che la relegano nella minoranza: il disturbato, il minorato, il diverso. Come può la maggioranza tollerare il disturbo, la diversità della minoranza? La storia ci dice che questa diversità è risultata intollerabile. Dalla Nave dei folli agli ospedali psichiatrici, agli asili, alle varie forme di reclusione, di circoscrizione della differenza, la storia dice che la maggioranza non tollera la minoranza. Allora, questa democrazia è una democrazia intollerante, il discorso occidentale, che è il discorso sorto in nome della democrazia, è il discorso della maggioranza, è il discorso dominante. Che ne è del caso di ciascuno nel discorso dominante? La scuola può seguire il criterio democratico per assicurare a ciascuno il suo corso? Non diciamo il corso di studi, ma il corso di ciascuno; e occorre anche precisare in merito a che cosa.
Il riferimento della democrazia è il sistema. Una democrazia senza sistema non ha la maggioranza. Nell’infinito non c’è la maggioranza o la minoranza, il più e il meno, il più grande il più piccolo, la nozione di maggioranza o di minoranza hanno una loro ragion d’essere in un sistema finito, contabile, nel sistema della contabilità. In questo sistema la caratteristica qual è? Tutti sono uguali! Quindi ci sono i tutti. Chi sono questi tutti? I sudditi appartenenti al popolo eletto. Eletto o eleggibile. Il popolo, il polo democratico è il popolo eletto, che troviamo non solo in Israele, ma anche nelle democrazie occidentali. Il popolo eletto, ossia il popolo come ciò che rappresenta il plurale dell’uno, la clonazione dell’uno. Il suddito è la figura dell’uno che si divide in due e, lungo questa divisione, abbiamo il popolo. Il popolo tutto. Ma che ne è del popolo se giunge il pleonasmo, il di più, a rompere la totalità, en tò pollò estì tà pànta? Nel più non c’è più la totalità. Il più di uno dissipa la totalità. Il tutto non evita il pleonasmo, quel che si aggiunge, e quel che si aggiunge squarcia la totalità. Tutto ciò sta nella proposta della democrazia, ma chi enuncia l’ideale democratico, come si accorge del paradosso della democrazia come paradosso dell’uguaglianza, come paradosso della totalità? Occorre inventare un’altra nozione di democrazia, senza riferimento al suo etimo, senza riferimento all’ideale del discorso occidentale, ma che tenga conto della questione intellettuale, che tenga conto che la questione intellettuale non procede dall’appartenenza a un genere o a una comunità, ma procede dalla parola, non dal soggetto, ma dalla parola, dalla parola originaria, dalla sua dissidenza e dal suo modo.
Una delle caratteristiche, degli assunti dell’ideale democratico è il consenso, la condivisione. Ma l’idea di condivisione procede dall’idea di totalità, non dalla nozione di ciascuno, non dal diritto dell’Altro, ma dall’idea di qualcosa di ripetibile, di uguale, di condivisibile, che marchi un’appartenenza a qualcosa di comune, a qualcosa di generico, a qualcosa che è meramente ideale, a qualcosa che, in realtà, consenta il fronteggiamento. Il modo democratico è il modo dell’affrontamento. Noi e voi. Noi la maggioranza voi la minoranza.
Idealmente, noi e voi saremmo la totalità, ma il pleonasmo lo impedisce, perché la totalità, l’unità, l’unificazione è un’idea di ritorno, è un’idea di morte, è un’idea di fine. La totalità è finita, la totalità sarebbe senza il pleonasmo, senza la crescita, senza l’autorità. Che cosa più di ogni altra la democrazia non tollera? L’autorità, che viene immediatamente tacciata di autoritarismo. L’autorità che è invece ciò che indica come le cose incominciano e che comporta l’accrescimento, la crescita, l’aumento. In questo ideale democratico noi e voi non sono più l’indice dell’infinito, noi, voi, loro, ma sono noi e voi, noi contro di voi. Voi contro di noi. Loro, poi, non contano proprio nulla. Tertiun non datur! Questa nozione di democrazia, che sorge dal pensiero greco e che si è affermata nel discorso occidentale, è un fantasma di padronanza, non è altro che il fantasma di padronanza della presa di quel vuoto che impedisce il tutto per continuare a credere nella totalità come possibile. È un fantasma di padronanza in termini di governabilità, di gestione, di controllo sulle cose. Non è che per questo debba essere abolita come modo di governo, ma occorre ragionare. Democratico, antidemocratico, ma cosa vuol dire? Io sono democratico, tu sei antidemocratico, o viceversa. Intanto “io sono”, “tu sei”, “io ho”, “tu hai”, e quest’idea rende possibile la contabilità dei soggetti, la contabilità, la classificazione, l’etichettatura e tutto quello che questo metodo trae con sé.
Diceva Augusto Ponzio che democratica è la paura di commettere errori. Democratico è il sapere ritenuto trasmissibile. Rassicurante perché ritenuto comune. Democratico è l’essere umano, che democraticamente si attiene al suo destino. E notava che la democrazia è un fantasma di morte. Mentre Uwe Peters, notava che il motto democratico per eccellenza è: “Noi e voi parliamo la stessa lingua”, e in nome di questo è sorto il prontuario planetario dei disturbi mentali, per poter essere diagnosticati, classificati, scritti, comunicati nella stessa lingua. Nella unilingua, che diventa così l’ideale democratico: tutto il pianeta parla democraticamente la stessa lingua per condividere la classificazione dei disturbi! Questo è democratico, è molto democratico, è veramente democratico. Ci sono applicazioni democratiche che sono queste.
Occorre inventare la nozione intellettuale di democrazia, quella vigente è una nozione mortifera, ispirata all’idea di un potere da esercitare. Dove, come, quando, da parte di chi? Chi ha il potere? Dove sta il potere? Di chi è il potere? Potere su cosa? Come? Come gestire il potere? Demo-crazia. Ma non si tratta allora del popolo, non si tratta del soggetto, non si tratta di ognuno, non si tratta di tutti, ma si tratta del ciascuno, del caso di ciascuno. E il caso di ciascuno non attiene alla psicopatologia. La scuola può quindi fondarsi sul criterio democratico? Questo criterio esige la classificazione dei casi! L’insegnamento, la formazione possono istituirsi sul criterio democratico della classificazione? Sulla previsione? Sulla previsione del destino in base alla classificazione? Può il motto ispiratore della scuola essere “tutti sono uguali di fronte alla scuola”? Al di là del diritto all’istruzione che assicura al cittadino il diritto alla scuola dell’obbligo, può la scuola fondarsi sulla prescrizione alla parità, all’uguaglianza, all’omologazione, all’omogeneità per istituire come criterio di valutazione la classificazione delle differenze? Se il criterio è quello dell’eccellenza non può esservi parità né omologazione. Si tratta di non aderire al fantasma dell’invidia, condivisione del mondo paritaria, antisessuale, omologante, fantasma che favorisce l’elezione del debole: ecco il popolo eletto! Popolo eletto è il popolo debole, eletto in quanto debole, suddito. Il popolo d’Israele eletto da Dio, suddito di Dio, il popolo democratico, popolo eletto, suddito del suo rappresentante.
Non dell’invidia quindi si tratta, ma di favorire l’emulazione. L’emulazione in direzione del compimento del progetto e del programma di vita. Nessuna emulazione del popolo. Nessuna emulazione dell’uno rispetto all’uno uguale a se stesso. L’emulazione esige la differenza, esige la sessualità, esige la politica del tempo. Nessuna vendita senza emulazione, nessun messaggio.
A sancire il debito perenne del suddito è il fantasma di gratuità, che possiamo chiamare l’altra faccia della meritocrazia, e che si accompagna all’idea del soggetto debole, malato, incapace. La gratuità, ossia l’assenza di grazia. La gratuità, ossia il marchio assegnato a ognuno, marchio dell’assenza di grazia e l’attribuzione al soggetto, al suddito, del suo peccato. Mentre la grazia è un teorema che indica che non c’è più peccato, la gratuità sancisce il peccato e la conseguente incapacità, debolezza, malattia di ogni soggetto. Per questo soggetto debole, malato, incapace, è escluso il rendimento. È un soggetto senza rendimento. “È intelligente, ma non rende”. Quante volte nei giudizi degli insegnanti troviamo questa formula di assenza del rendimento? “È intelligente, ma non rende”, dunque, o è debole o è malato o è incapace.
Chi si interroga intorno al rendimento come proprietà del progetto e del programma di vita? Del dispositivo pragmatico che il progetto e il programma esige? No, il giudizio sanzionatorio si ferma al soggetto, sancisce il soggetto, condanna il soggetto; democraticamente.
Ma dove c’è rendimento? E come? Il rendimento è di tutti o è di ciascuno? È un rendimento ideale o è un rendimento pragmatico? Rendimento: qualcosa dovrebbe tornare indietro? Dovrebbe essere reso, restituito? Qualcosa ritorna? Dare e rendere? Una partita doppia che dovrebbe concludersi in parità? È questo il rendimento? Si tratta del rendimento scolastico o del rendimento intellettuale? Del rendimento ideale o del rendimento pragmatico? Si tratta del rendimento occasionale o del rendimento in termini di capitale intellettuale? Dove sta il rendimento? Senza esperienza intellettuale, il rendimento è escluso. Rendimento e reddito sono proprie all’impresa, sono virtù intellettuali per ciascuno, esigono la memoria come scrittura dell’esperienza, esigono il parricidio e la sessualità, l’economia e la finanza, esigono l’ipotesi dell’avvenire.
Se prevale l’idea di fine, se prevale l’idea che non c’è avvenire, quale rendimento? Quale reddito? Per il soggetto inscritto nel fantasma di morte è impossibile il rendimento. L’unico rendimento è il redde rationem, è la resa dei conti finale, e ognuno s’istituisce il suo tribunale dinanzi a cui rendere ragione, la ragione sufficiente! Rendimento e reddito non sono termini aziendali, sono termini intellettuali, sono termini dell’impresa intellettuale, sono i termini che s’istaurano in relazione all’ipotesi dell’avvenire. Ma senza questa ipotesi non s’instaurano affatto. “È intelligente, ma non rende”. Né renderà senza l’ipotesi dell’avvenire, senza il progetto e il programma di vita, senza la decisione di vivere per questo progetto e per questo programma; decisione che non può essere sostituita da nessuna volontà. Non è una decisione soggettiva, è decisone intellettuale, è la decisione per l’avvenire, per la vita. Allora, il modo per l’instaurazione del rendimento, del reddito, non può essere quello democratico, ma è il modo intellettuale, è il modo narrativo che sta nella procedura della parola, modo narrativo che esige il rischio, il rischio d’impresa, il rischio di verità, il rischio della riuscita, il rischio dell’avvenire. Rischio e rendimento qualificano il dispositivo finanziario e il dispositivo clinico. Rendimento e valore qualificano il dispositivo di cifra. Questo modo esige il rischio, l’impresa, l’avvenire, i dispositivi pragmatici, il calcolo e la narrazione e il racconto dello statuto di ciascuna cosa. Statuto non sostanziale, e esige la qualificazione, ma non secondo il criterio termodinamico, o mentalista, o psicologico, o geometrico, o algebrico, ma secondo la parola originaria e il suo idioma, secondo il criterio della qualità.
Alla scuola attiene la qualificazione e la valorizzazione del rendimento. “È intelligente ma non rende” è propriamente ammettere che non è in atto il dispositivo intellettuale, non è in atto un’esperienza intellettuale. E il rendimento viene dall’emulazione, non dall’eguaglianza, non dall’appartenenza a un genere comune. Emulazione senza rivalità e senza competizione, senza meritocrazia, per via del narcisismo, che è la vicenda della cosa. Non del soggetto, della cosa. La vicenda della pulsione! Con ciò che esige, accanto, intorno, in aggiunta, adiacentemente, secondo l’occorrenza. Non già democraticamente, ma secondo l’occorrenza! È questa la questione della clinica connessa alla scuola. Giusto per dare qualche cenno.
Quinta conferenza della serie La scuola del disagio e dell’ascolto