L’autorità e la disciplina
É curioso che una delle figure retoriche prevalenti del discorso occidentale sia proprio la profondità, l’approfondimento, l’idea del profondo. Bisognerebbe portare a galla ciò che sta nel profondo. E peraltro c’è chi è pronto a sostenere che ogni cosa vada approfondita, come se avesse uno spessore misurabile. Questa idea della profondità, dell’approfondimento, contrasta con la nozione di superficie, tanto è vero che la superficialità è considerata un vizio. Il tizio è superficiale, perché dice cose senza profondità. Ma dove sta la profondità, dove starebbe l’approfondimento, perché la verità dovrebbe essere questione di profondità, anziché di superficie? Eppure, le cose che si dicono sono cose di superficie, sono della superficie che non è piatta, ma è una superfice in cui importa, appunto, la scabrosità, importa la piega quindi, e questa superficie che non è rappresentabile geometricamente è sia figura della relazione, sia figura dello squarcio, quindi sia figura del due, sia figura del tempo, del taglio. Contro la superficie, e quel che comporta a livello della comunicazione, della scrittura, della cifratura, dell’ascolto, dell’intendimento, contro la superficie sorge il canone con la sua mentalità, con la sua modalità. Il canone con i suoi protocolli, il canone il cui testo sarebbe senza tessitura, senza la libera combinatoria di nomi, significanti e Altro dai nomi e dai significanti. Quindi la mentalità e il canone propongono l’unilingua: l’universalità della lingua, l’universo, ossia quello che possiamo anche chiamare il collasso del numero, l’universalità. L’universalità senza il numero, senza il numero duale e dunque senza il numero triale.
Così sorge il sistema, dove ogni cosa deve mantenersi insieme con tutte le altre, con coerenza. Quindi privilegiando l’ipotesi che ogni cosa sia omogenea, uniforme, senza particolarità, senza quella particolarità che sta nel numero, numero duale e numero triale. Proprietà del sistema è quella di colmarsi, riempirsi, saturarsi, giungere alla saturazione, trovare l’equilibrio nella saturazione. Questa idea di saturazione è l’idea stessa di fine. Come dissipare l’idea di sistema? E dunque come dissipare l’idea immanente, che regge il sistema, cioè l’idea di fine? Come dissipare insomma la termodinamica applicata alla parola, applicata al cervello, applicata ai tutti? Ognuno accetta l’dea di appartenere al sistema avendo l’idea di essere un soggetto termodinamico. Come capire che questo, anziché costituire la caratteristica propria agli umani, è il pregiudizio che li accomuna? Come giungere a ammettere l’ipotesi della parola libera, come giungere a ammettere l’ipotesi della materia intellettuale, come cioè dissipare l’idea di stare nel sistema, di partecipare al sistema e dunque di partecipare della condanna del sistema, che è quello di saturarsi, dunque di finire? La questione intellettuale è la questione aperta, dunque questione senza sistema, ma la questione intellettuale esige la dissipazione della nozione di sostanza, della nozione di appartenenza, dell’ontologia delle cose, dell’idea che ogni cosa si fondi su qualcosa che sta sotto e dunque proceda dalla genealogia, per profondità. La nozione di profondità è la nozione di genealogia, è la figura retorica che richiama e propone l’idea di origine comune.
L’origine comune, cioè la sostanza comune, dove regna questo pregiudizio, connesso al canone della sostanza, cioè vige l’ipostasi del soggetto come ciò che sta sotto, dove vige l’idea che ogni cosa dipenda da ciò che ci sta sotto, per cui occorre andare in profondità per trovare l’origine, la vera origine delle cose, che sola veramente indicherà la natura di ciò che ci sta sopra. Allora, finché vige questo pregiudizio, ognuno è sordo e muto. E si bea di questa sordità e di questo mutismo, e può consentirsi la delega rispetto a capire, a intendere ciò che occorre in ciascun istante, rispetto all’istanza di vivere. Sordo, muto oppure addormentato, dormiente, come ipnotizzato. Come si pone invece la questione della parola come questione intellettuale? La cosa procede dall’analisi come teorema della sostanza, anche come teorema intellettuale, teorema che dice “non c’è più sostanza”, anche non c’è più canone, perché ciascuna cosa va udita, letta, cifrata, secondo la sua particolarità, nel dettaglio in cui quella cosa si situa, quindi senza universalità, senza standard, senza genere. Dunque l’analisi come teorema, ma questo teorema può instaurarsi lì dove, rispetto al disagio assoluto, cioè rispetto al dubbio che investe ciascuna cosa, non sia più possibile delegare il canone, il modo canonico, l’esperto, qualcun altro che dovrebbe provvedere alla risposta, “in vece di”. Questa delega è possibile dove vi sia la speranza della soluzione, per esempio di qualcosa che viene addotto come problema. In assenza di sostanza, in assenza di canone non c’è più soluzione. Ciascuna cosa esige la sua cifratura, esige di indagare, capire, intendere il particolare e lo specifico; dunque il caso in cui quella cosa si situa. Non c’è più quindi l’analogo, il simile, lo standard. La delega ha le sue figure, per esempio nella dimissione, oppure nella rinuncia, oppure nell’abdicazione, oppure nella sparizione.
Vari modi con cui chi si ritiene soggetto può giustificare l’astensione rispetto a capire, a intendere, rispetto a cogliere la sfumatura, giungere alla clinica, instaurare quindi il dispositivo intellettuale che si avvale del processo di qualificazione e di valorizzazione. Occorre una decisione, una decisione irrevocabile, la decisione dell’analisi, ossia del teorema secondo cui non c’è più sostanza, non c’è più sistema, non c’è più mentalità, non c’è più canone che possa soddisfare l’esigenza di senso, di sapere e di verità assoluti. Solamente a questa decisione, decisione irrevocabile, decisione assoluta, decisione che non ha la sua formula nell’“io decido”, ma che è decisione in atto, e che è quella decisione che avvia effettivamente il viaggio per ciascuno, in direzione della qualità. Non è possibile determinare, prestabilire quando si ponga, possa porsi, questa decisione; anche mai, soprattutto se non si pone l’eventualità, l’occasione di inventare dispositivi intellettuali. Solamente con questa decisione, che quindi è strettamente connessa alla constatazione di questo teorema. Perché il teorema che non c’è più sostanza è una constatazione, non è teorico, non è l’adesione a un concetto, non è l’adesione a una filosofia, non è l’adesione a una proposta di qualcuno, è una constatazione. Fino a che questa constatazione non interviene, è impossibile che si avvii l’itinerario intellettuale, è escluso. L’itinerario procede da questa constatazione, che non è questione di volontà quindi, né buona né cattiva, né una questione teorica. La teoria procede da questa decisione, la teoria segue a questa decisione, segue a questa constatazione, perché solamente a partire da questa constatazione è possibile qualificare le cose, altrimenti le cose stanno nel sistema, stanno coerentemente insieme tra loro, e dunque sono già significate, sono già date, risultano tali.
Alla questione intellettuale si pone invece la questione del “quale”: di cosa si tratta? In quale cosa mi sono imbattuto, mi sto imbattendo? Quale! Qual è la questione? Come qualificare ciò che sta dinanzi, e dunque l’analisi, e la psicanalisi che è l’esperienza della qualificazione, non sono teoriche. Non c’è una teoria psicanalitica da poter applicare, ma ciascuno, facendo l’esperienza della parola libera e della sua combinatoria, può giungere alla teoria e al teatro di questa esperienza, della sua esperienza. Giungendo dunque a indicare come l’esperienza si scrive, come il processo di qualificazione si scrive, come l’itinerario si scrive, come le cose si scrivono e come si cifrano, non essendo già date. Ma la credenza nella sostanza impedisce questo processo, perché se c’è credenza nella sostanza le cose sono tali, sono sostanziali, impossibile che qualcosa possa giungere alla transustanziazione. La transustanziazione non è la modificazione della sostanza, è propriamente un altro modo per constatare che non c’è sostanza, non c’è più sostanza perché non c’è mai stata, perché la nozione, la credenza di sostanza è introdotta dalla reazione alla parola. La sostanza non è originaria. Allora come accade che qualcosa possa cominciare a qualificarsi e, qualificandosi, disporsi alla crescita, all’aumento? Qualcosa comincia proprio perché non c’è sostanza, qualcosa comincia a funzionare, parlando. Questa è la rimozione, e qualcosa funziona, parlando, in assenza di sostanza. La credenza nella sostanza fa sì che ognuno ritenga di poter dire qualsiasi cosa, liberamente, ossia stupidamente, con idiozia. Questa sarebbe la libertà di dire qualsiasi cosa, idiozia! Un conto è l’idiozia e un conto è l’idioma, l’idiozia è qualcosa senza caratteristica e l’idioma, invece, è la logica particolare.
Chi crede nella sostanza crede nell’idiozia, ossia nella lingua comune, esclude l’idioma. Allora qual è lo scopo, la funzione di quello che viene chiamato “il primo colloquio”? Il primo colloquio stabilisce proprio questo, che non c’è più sostanza, prende atto della decisione irrevocabile per cui la credenza nella sostanza viene dissipata, per cui può avviarsi il dispositivo intellettuale, stabilendo norme e regole e motivi. Questo è il primo colloquio dell’esperienza di parola. Questo primo colloquio decide del proseguimento in direzione intellettuale, oppure nella direzione dell’idiozia. Lo stesso dicasi per il primo giorno di scuola, è il primo giorno di scuola a decidere se quella classe sarà un insieme idiota o un dispositivo intellettuale. Così il primo colloquio di lavoro: è quel primo colloquio a stabilire se ci sarà proseguimento oppure no. Certamente sono casi differenti, il primo giorno di scuola, il primo colloquio di lavoro, il primo colloquio per intraprendere l’esperienza intellettuale, ma sempre di questo si tratta, della dissipazione delle certezze soggettive. La dissipazione nella credenza di appartenere alla soggettività, alla comunità dei soggetti, oppure di situarsi in un altro panorama, senza la cappa dell’idiozia. Questa cappa, chiaramente, è la cappa della sostanza, è la cappa della totalità, che vi sia una totalità, che vi sia un tutto, che vi sia una possibilità di saturazione delle combinazioni e delle combinatorie possibili. È una decisione che sancisce la dissipazione del possibilismo, del probabilismo, del determinismo e dell’accettazione di tutto ciò che ha a che fare con questo. È da qui che comincia la vita, da questa decisione.
A sopravvivere, come si dice, sono buoni tutti, anche gli animali. Ma la vita intellettuale incomincia da qui, da questo atto di autorità, da questo atto con cui comincia l’autorità. E io di questo dovevo parlarvi questa sera, dell’autorità e della disciplina. Ma mi avete fuorviato, e quindi la conferenza è ancora da svolgere.
Sesta conferenza della serie La scuola del disagio e dell’ascolto