Il teorema della redenzione
Questa è anche l’occasione per analizzare speranze, illusioni che ci sia l’automaticismo delle cose e viga un modello ideale dell’accadere, differentemente dal quale si tratterebbe di negatività. Occorre individuare, anche in ciò che accade contro ogni aspettativa, quale sia la politica in atto, e trarre le indicazioni, analizzare i riscontri che si fanno, che se ne hanno, le facili conclusioni. L’analitico non è facile e neanche armonico. Non è il modo con cui si spera che le cose accadano! Le cose accadono in modo difforme e contrastante dalle attese e dalle speranze. E, quindi, a maggior ragione, si tratta di fare l’analisi e dissipare, dissolvere mitologie, ideologie, idealità, negatività, attribuzioni, soggettività che possono rappresentarsi nella memoria. Ma, non per questo, si può togliere la parola. Niente e nessuno può togliere la parola se l’analisi avviene, se la clinica avviene.
È chiaro che analisi e clinica non sono doni elargiti, ma sono frutti che si conquistano per lo sforzo della domanda, non per inerzia o per automaticismo. Ciò è da tenere nel conto, altrimenti ognuno si condanna alla pena detentiva, alla redenzione e alla conseguente pena detentiva, cioè alla pena infinita. Fine pena, mai! Questa è la pena detentiva: la pena che ha come miraggio, come suo termine, come sua finalità la redenzione. Potete trovare alcuni contributi di un certo interesse, a questo proposito, nel film che attualmente è nelle sale, che magari qualcuno di voi ha già avuto modo di leggere, che si intitola Il professore e il pazzo. Film assolutamente recente, di quest’anno, che è l’adattamento cinematografico del romanzo L’assassino più colto del mondo. Narra la vicenda di come è sorta l’attuazione dell’Oxford English Dictionary, il dizionario della lingua inglese. È un documento interessante per l’aspetto storico e, ancor di più, per gli aspetti clinici che la storia propone e che sono da indagare, perché la vicenda del dizionario è il pretesto per presentare un’altra vicenda. E soprattutto è l’opportunità di interrogarsi su quale sia, oggi, l’incidenza sociale della redenzione, dell’idea e della mitologia della redenzione. Redenzione, ossia, che cosa? La liberazione, il riscatto, la salvezza, il rimedio, lo scampo. Redentore è il liberatore.
Qual è l’incidenza sociale, oggi, dell’idea di essere liberati? Liberati dalla droga, dal male, dalla morte, dalle malattie. Liberati! Liberati dalla colpa e dalla pena. La mitologia della liberazione come incide, non solamente nel contesto religioso, ma sociale, morale, civile? Cosa che non viene assolutamente considerata, prendendo come accettabile e ineluttabile l’alternanza della colpa e della pena e l’incidenza del tribunale morale e sociale nella vita dei cittadini, i quali attendono, auspicano, chiedono, pretendono la liberazione, la redenzione, l’intervento del redentore.
Chi è il redentore? Come interviene il redentore? Da cosa redime? Qual è l’esigenza della redenzione? Qual è l’ipostasi da cui parte la necessità della redenzione? In che modo l’ideologia e la mitologia della vendetta attingono alla questione della redenzione? Sembra una bella cosa! La redenzione, però, tra le sue righe e le sue pieghe, che cosa implica e che cosa propone? La necessità del sacrificio e dell’espiazione! La necessità della colpa e della pena! La sottomissione alla colpa e alla pena! Perché, a un certo punto, sarebbe stato necessario l’intervento del redentore? Cristo è il redentore nella religione cristiana. Perché a un certo punto deve intervenire il redentore? Per togliere cosa? Per favorire cosa? Per avviare cosa? È sempre elogiata l’attività del redentore: è arrivato e ha redento. Ma, a che pro? Con quale scopo? Per togliere l’ira di Dio. Ma, perché Dio era irato? E con chi? Dopo la redenzione, Dio invece era placato, era contento. Ma, la colpa era stata tolta? È stata tolta con il redentore? O è rimasta come toglibile mentre prima era uno stigma intoglibile? Quindi, la colpa è rimasta, la pena è rimasta, l’ideologia è rimasta, ma con la necessità del sacrificio! Qual è l’incidenza nella morale sociale e civile della necessità del sacrificio per la redenzione? Che non è solo redenzione religiosa, ma è redenzione morale, sociale, civile. Questo film è un’ottima occasione per ragionare su questi temi che, certamente, se ci si affida all’aspetto romanzesco, scenografico, sentimentale, emotivo, emozionale, possono non essere colti. Eppure ci sono.
Il film narra la vicenda di un condannato alla pena redentiva. È curiosa la vicenda. Il dottor Minor, comandante di reggimento nella guerra di secessione americana, marchia a fuoco un soldato che aveva disertato. Questo soldato diventa il suo persecutore. Lo insegue costantemente. Non con buone intenzioni, presume il dottor Minor che, infatti, cerca di scappare da tutte le parti. Finché una sera, sentitosi inseguito, tende un agguato al persecutore. “Lo” insegue e “lo” uccide con alcuni colpi di pistola, proprio sulla porta di casa del cittadino Merrett, che aveva inseguito avendolo scambiato per “lui”. Il dottor Minor viene subito prelevato e portato in tribunale, dove viene giudicato. E come viene giudicato dalla giuria popolare? Viene giudicato non colpevole, perché non aveva intenzione di uccidere Merrett. Lo aveva scambiato per il suo persecutore, ma il dottor Minor non aveva intenzione di ucciderlo. E il tribunale lo assolve, la giuria lo assolve. Minor non voleva uccidere Merrett. Ce l’aveva con un altro, quindi è innocente. Non aveva l’intenzione né la premeditazione di uccidere quella persona: va assolto.
Però, il dottor Minor, non è proprio una persona normale! Si sentiva inseguito dal suo persecutore. Ciò lo rende pericoloso e ne viene decretato il ricovero nel manicomio criminale di Broadmoor, vicino a Oxford. Un posticino non proprio ambito. Per quanti anni? Fino a quando abbia conseguito la redenzione! È condannato alla pena redentiva, la cui durata non si può prevedere. Una volta giunta la redenzione, si potrà constatare che si è redento!
È la pena a vita? Quando si può definire redento il condannato, l’imputato, il detenuto? E il condannato coincide con il colpevole? Condannato alla pena detentiva, ma non colpevole del reato ascrittogli.
Il dottor Minor non fa autocritica, non chiede perdono e accetta la sua pena. La pena inflitta da quale giudice? Dalla giuria popolare? No, perché lo assolve. Dal giudice? Il giudice infligge la pena redentiva. Non detentiva, ma redentiva! È la pena dello psichiatra, la pena che infligge lo psichiatra, che deve misurare, con la redenzione, l’adeguamento alla normalità. Minor non è condannato al carcere, ma al manicomio criminale, con finalità redentiva. Ma anche il carcere dovrebbe avere finalità redentiva. Qual è lo scopo sociale della pena? La rieducazione via redenzione. È condannato per redimersi. La pena deve avere lo scopo redentivo.
Il dottor Minor vive nel suo manicomio criminale in condizioni di isolamento, unico modo di sentirsi sicuro rispetto al suo persecutore che lo incalza, il quale potrebbe passare tra le fessure del pavimento, attraverso le inferiate, attraverso lo spioncino della porta. Il persecutore può passare per ogni dove. E il dottor Minor aspetta l’esecuzione della sua pena, che, nei termini in cui gli è stata comminata, è una pena capitale. Il dottor Minor è perseguitato dal ricordo del soldato disertore che ha marchiato a fuoco, per il quale lui non ha avuto nessuna “pena”. Eppure ritiene di avere commesso una colpa: una colpa senza pena! Allora deve commettere un’altra colpa, perché il suo senso di pena sia soddisfatto, e uccide un passante! Anche a Torino, recentemente, un passante è ucciso da un tizio, il quale, prima dice che l’ha ucciso perché aveva un’espressione felice, poi, invece dice che l’ha scambiato di persona. L’ha visto uscire dalla stessa casa dove abitava la moglie, l’ex moglie o fidanzata che sia. Quindi, l’ha ucciso per uno scambio di persona. È innocente. Non voleva ucciderlo, ha scambiato la persona. O l’ha ucciso perché era felice? Qual è la verità? Qual è la versione vera? Quale rilevanza dare alle dichiarazioni del colpevole? Il tribunale ammette che il colpevole possa mentire per difendersi, per scagionarsi. Quale rilevanza tra la colpa e la pena?
Il dottor Minor è una persona colta, molto colta, e chiede di leggere libri. Trova, in uno dei libri che gli vengono procurati, l’annuncio del dottor Murrey, il quale, incaricato di redigere il nuovo dizionario della lingua inglese, dopo alcuni anni, si ritrova al punto di partenza, per cui chiede l’intervento di volontari. Uno tra questi volontari sarà il dottor Minor, che si butterà a capofitto nell’impresa di collaborare. Darà degli apporti straordinari. Lavora e lavora. Contribuisce e contribuisce. Chiede anche, a un certo punto, di risarcire la vedova, di cui ha ammazzato il marito, la quale viveva nell’indigenza assoluta con cinque o sei figli. Chiede di risarcirla con la sua pensione, ma la vedova si oppone. Dice che non c’è possibilità di risarcimento. Non c’è possibilità di misurare la perdita del marito, l’omicidio del marito, con nessuna proposta di risarcimento.
E il dottor Minor lavora ancora di più. Si trova bene nel manicomio criminale, perché non è più tra le mura del manicomio, con il suo lavoro. Con il contributo che dà a quest’opera, è altrove. Ma, il dottor Minor propone ancora alla vedova di contribuire, di risarcire. La vedova a un certo punto, provata dall’indigenza, dalle difficoltà vere della vita, dai figli che non hanno da mangiare, acconsente. E accetta il contributo di tutta la pensione di Minor, di tutto ciò che riceveva dalla pensione di guerra. Ma, si oppone a incontrare il reo, il quale chiede e chiede finché la vedova a un certo punto acconsente e lo incontra. Però, dice che non l’ha perdonato affatto. Anzi, la sua colpa resta gravissima e imperdonabile, e non creda di cavarsela così a buon mercato.
Il dottor Minor rifiorisce, è veramente soddisfatto. Finalmente! Il suo ideale redentivo si avvicina. Più si sacrifica, più soffre e più la sua redenzione è prossima. Sono tutti contenti. Anche lo psichiatra che lo ha in cura è contento. Contento, ma non contentissimo, perché le cose vanno fin troppo bene.
A un certo punto, la vedova sente appagata la sua esigenza di vendetta. Ormai sta bene, mangia bene, veste bene. Anche i figli stanno bene. Sono tutti contenti, a parte una figlia, che non perdona. E a quel punto, la vedova scambia il suo debito, il senso del suo debito verso il dottor Minor, che eroga mensilmente la sua pensione, prende il suo debito per amore. Si sente innamorata del dottor Minor e, con la connivenza del direttore del manicomio criminale e di alcuni secondini, lo incontra. Lo incontra mentre era intento all’elaborazione di un termine del dizionario, che era “accomodamento”. Essendosi imbattuto nel termine accomodamento, la tentazione di accomodare le cose prevale.
Accomodamento, conciliazione, ossia abolizione del due. La conciliazione comporta che il due è abolito. È applicato il taglio al due, per cui i due opposti possono conciliarsi. L’accomodamento, la conciliazione prevalgono, e in nome dell’amore che sembra ispirare questo accomodamento, avviene l’incontro tra il dottor Minor e la vedova, ormai non più addolorata. E per amore, per un malinteso senso dell’amore con cui scambia il senso del suo debito, la vedova si fa amante del dottor Minor.
È lo sfacelo. La vedova si fa amante e l’Altro è abolito. Il dottor Minor, a fronte del biglietto che la vedova gli presenta dichiarando il suo amore e che dice: “Se è amore, che altro possiamo fare?”, il dottor Minor risponde: “Allora, non c’è più redenzione”!
Se c’è amore non c’è più redenzione! Ma, anziché intenderlo come teorema, teorema della redenzione: non c’è più colpa, non c’è più sacrificio, lo intende come negazione dell’espiazione che per lui era vitale, in quanto significava la sua redenzione, la liberazione dalla sua colpa.
Cosa fa allora il dottor Minor? Semplice, si evira! Perché dice che ha ucciso il morto due volte, e in più gli ha rubato la moglie. E si evira. Quale terapia in nome dell’amore, dove vige la condanna alla redenzione? L’autocondanna alla redenzione? L’accettazione della colpa e della pena?
Come intervenire quando si tratta dell’autolesionismo? Con l’amore? La mutilazione, l’autolesionismo è in nome dell’amore! In quanto non trova l’odio del tempo! L’odio, per cui le cose si fanno e non restano vincolate all’idealità della colpa e della pena, alla bilancia della colpa e della pena. E il dottor Minor, una volta travolto da questa ondata di amore che toglie l’Altro, si trova repentinamente davanti due persecutori. Non più uno solo, ma due, il soldato e la vittima, colui che ha ucciso, il morto ammazzato che dice di avere ucciso per la seconda volta, e in più l’ha derubato della moglie.
Sono solo alcuni spunti, ma direi di notevole interesse sulla questione del risarcimento, dell’accomodamento, sulla stanchezza come succedaneo, come sostitutivo impossibile dell’assoluzione. Il dottor Minor, immediatamente, va quasi in catalessi. Non è proprio una catalessi, è una stanchezza assoluta. La soluzione data dal film è un po’ dolciastra, ma non ci interessa. Ciò che interessa è il testo della questione dell’idealità della redenzione, dell’idealità del risarcimento, dell’accomodamento che in greco si dice κατά-λυμα. Accomodamento, κατάλυμα, che equivale a dire che le cose sono finite, che lo scioglimento è avvenuto. Kατάλυμα: dopo lo scioglimento, dopo che il tempo è finito, l’annichilimento, l’idea del nulla. La stanchezza come modo della catalisi, non dell’analisi, ma della catalisi.
Intanto questo, come primo riscontro del film che merita di essere letto. Soprattutto tenendo conto più della vicenda del dottor Minor che non del signor Murray, che poi diventa professor Murray, in quanto insignito di una laurea ad honorem. Certo, le vicende si intrecciano e anche questo intreccio sarebbe da valutare ulteriormente, da capire. Ma l’interesse è la questione della redenzione come modalità e come somministrazione della pena e della colpa nella forma dell’algoritmo sociale.
Seconda conferenza della serie Una lingua nuova. La lingua della parola