Il gatto con gli stivali
Adesso consideriamo Il gatto con gli stivali, che nella versione tedesca non c’è. È stato fatto anche un lavoro teatrale attorno a questa fiaba. Lo sapete? Dall’autore tedesco Johann Ludwig Tieck. È interessante. Oggi non l’ho portato, perché prima leggiamo questa, poi, eventualmente… ma se qualcuno è incuriosito può andare a cercarlo e leggerlo. Allora:
Un mugnaio lasciò per eredità ai suoi tre figli solo il mulino, un asino e un gatto.
C’è qui la questione dell’eredità. Eredità e ereditarietà, due aspetti. Un conto è l’eredità, un altro conto è l’ereditarietà. Alcuni trattano l’eredità come l’ereditarietà, e allora c’è qualche inghippo. Adesso andiamo avanti, però, e ci soffermiamo su questo termine eredità, che è un termine interessante, a condizione di elaborarlo.
Le parti furono presto fatte: non vi fu bisogno né di avvocati né di notai.
Già allora era in uso il notaio o l’avvocato. C’erano le cause di famiglia già nel 1600.
Costoro si sarebbero mangiati in un boccone il povero patrimonio. Il figlio maggiore ebbe il mulino, il secondo l’asino e il più giovane non ebbe che il gatto.
Dunque, qui, è considerato che avere il gatto era come non avere niente. Il più giovane non ebbe che il gatto, come dire un gatto senza valore, senza importanza. Una sfortuna avere il gatto, invece quell’altro ha avuto il mulino.
Quest’ultimo non sapeva darsi pace per avere avuto una parte così misera.
Già, aveva fatto i suoi conti: “Beh, c’è il mulino, c’è l’asino, c’è il gatto, si divide per tre e mi spetta una parte di mulino, una parte di asino e una parte di gatto”. Poi si trova solo con il gatto e dice: “Ah, che fregatura, che miseria”, lui che aveva fatto una contabilità precisa, aveva fatto i conti…
“I miei fratelli — diceva — si potranno guadagnare onestamente la vita, mettendosi in società”; — uno mette l’asino, l’altro il mulino e insieme fanno gli affari — “ma quanto a me, quando mi sarò mangiato il gatto…”.
“…e con la sua pelle mi sarò fatto un manicotto, dovrò rassegnarmi a morir di fame!”. — Come la matrigna di Hänsel e Gretel, cioè lo spettro della fame — Il Gatto, che aveva sentito questo discorso, ma aveva fatto finta di non accorgersene, gli disse con aria seria a posata: “Non state ad affliggervi, caro padrone; non dovete far altro che trovarmi un sacco e farmi fare un paio di stivali per camminare in mezzo ai boschi, e vedrete come la sorte non sia stata tanto cattiva con voi quanto credete”.
Il padrone del Gatto non faceva un grande affidamento sulle sue parole, ma gli aveva visto fare tanti di quei giochi di destrezza nel prendere topi e sorcetti (come quando il Gatto si lasciava pendere per i piedi, o si nascondeva nella farina facendo il morto) che non disperò completamente di trovare in lui un po’ d’aiuto nella sua miseria.
Lui, soggetto misero, soggetto della miseria. Il soggetto della miseria è sempre nella miseria intellettuale, è sempre l’idea di finitezza intellettuale. Quella è la miseria. Il soggetto misero è il soggetto senza idee, senza pensieri, senza intelligenza.
Quando il Gatto ebbe ottenuto quel che aveva chiesto, infilò bravamente i suoi stivali e, mettendosi il sacco in spalla, ne prese i cordoni con le due zampe davanti e se ne andò in una conigliera dove c’era un gran numero di conigli.
Mise nel sacco un po’ di crusca e di cicerbita e, sdraiatosi in terra come se fosse morto, aspettò che qualche coniglietto, ancora poco edotto delle astuzie di questo mondo, venisse a ficcarsi nel suo sacco per mangiare quel che vi aveva messo.
Non appena si fu disteso in terra, egli fu accontentato: un coniglietto sventato entrò nel sacco e il bravo gatto, tirandone subito i cordoni, lo prese e lo ammazzò senza misericordia.
Senza misericordia. Non è che lo ammazzò. No. Lo ammazzò senza misericordia.
Tutto fiero della sua preda, se ne andò dal Re — anche qui c’è un re — e domandò di parlargli. Lo fecero salire nelle stanze del Re, dov’egli entrò, fece una grande riverenza e disse al Re: “Ecco qui, Maestà, un coniglio di conigliera — come dire un coniglio non di allevamento — che il signor Marchese di Carabas” (questo era il nome che gli era saltato il ticchio di dare al suo padrone) “mi ha incaricato di presentarvi da parte sua”. “Di’ al tuo padrone — rispose il Re — che lo ringrazio e gradisco molto il suo regalo”.
Un’altra volta, il Gatto andò a nascondersi in un campo di grano, sempre col sacco aperto, e quando due pernici vi furono entrate, tirò i cordoni e le acchiappò tutte e due. Poi andò a offrirle al Re come già aveva fatto per il coniglio di conigliera. Il Re accettò nuovamente con piacere le due pernici e gli fece dare una mancia. — È un re gentile — Il Gatto continuò in tal modo durante due o tre mesi a portare al Re, di quando in quando, la selvaggina delle bandite del suo padrone. Un giorno, avendo saputo che il Re doveva recarsi a passeggiare lungo la riva del fiume, insieme alla figlia, la più bella principessa del mondo. Anche qui c’è la più bella.
…il Gatto disse al suo padrone: “Se date retta a un mio consiglio, la vostra fortuna è bell’è fatta: dovete andare a fare un bagno nel fiume, e precisamente nel posto ch’io v’indicherò; quanto al resto, lasciate fare a me”. Il Marchese di Carabas. È già diventato Marchese di Carabas, a questo punto. Non è più il figlio del mugnaio. A questo punto, è il Marchese di Carabas. Interessante questo.
Il Marchese di Carabas seguì il consiglio del Gatto. Il Marchese di Carabas non sta lì a pensare se si è accorto o non si è accorto: segue il consiglio del gatto, perché è il Marchese che segue il consiglio, non è il figlio del mugnaio. Il testo dice che il Marchese di Carabas seguì il consiglio del gatto. E chi è il Marchese di Carabas? “[…] era questo il nome che gli era saltato il ticchio di dare al suo padrone.” Quindi è un nome inventato, ma è un nome che funziona, perché il gatto va dal padrone e gli dice: “Fai questo” e il Marchese di Carabas segue il consiglio. Ora, chi segue il consiglio del gatto? Il Marchese di Carabas. Chi era il Marchese di Carabas? È il nome. Il Marchese di Carabas è il nome.
E quindi il Marchese di Carabas segue il consiglio del gatto. Era solo per notare che a seguire il consiglio del gatto è il Marchese di Carabas. È interessantissimo qui. C’è una costruzione del racconto veramente accurata da parte di Perrault.
…senza sapere a che gli avrebbe potuto servire.
Senza sapere! Sembra che l’abbia sentita. Perrault ha ricevuto la sua richiesta e le risponde immediatamente. Avrebbe potuto…traduzione un po’… Il Marchese di Carabas non sa, non sa già a che cosa può servirgli e segue il consiglio.
Intanto che lui faceva il bagno, il Re passò di lì, e il Gatto si mise a gridare con quanto fiato aveva in gola: “Aiuto! Aiuto! Il Marchese di Carabas sta affogando”.
A queste grida, il Re si affacciò allo sportello della carrozza e riconosciuto il Gatto, che tante volte gli aveva portato la selvaggina, ordinò alle sue guardie che corressero subito in aiuto del Marchese di Carabas. Nel mentre che tiravano su dall’acqua il povero marchese, …
…il Gatto, — dunque, mentre tiravano su dall’acqua il povero marchese, che stava affogando. Era il marchese che stava affogando — si avvicinò alla berlina del Re — era una berlina, non era un’utilitaria. Il re andava in berlina. Una carrozza imponente, quindi — e gli disse che, intanto che il suo padrone faceva il bagno, alcuni ladri erano venuti a portargli via tutti i vestiti, sebbene lui avesse gridato: “al ladro!” con tutte le sue forze. Il furbacchione li aveva nascosti sotto una grossa pietra.
Il Re ordinò immediatamente agli ufficiali addetti al guardaroba reale di andare a prendere uno dei suoi abiti più sfarzosi per il Marchese di Carabas. Intanto il Re gli faceva mille cortesie: e poiché i bei vestiti che gli avevano portato mettevano in valore la sua persona (egli era assai bello e ben fatto), la figlia del Re lo trovò proprio di suo gradimento, e appena il Marchese di Carabas le ebbe lanciato due o tre occhiate molto rispettose, ma abbastanza tenere, lei ne divenne innamorata cotta.
Dunque pronta per essere mangiata. Cotta. Innamorata cotta. Eh, quest’idea…
Il Re volle ch’egli salisse sulla sua berlina e proseguisse con loro la passeggiata. Il Gatto, felice nel vedere che il suo piano cominciava a riuscire, corse avanti, e avendo incontrato alcuni contadini che falciavano in un prato, disse loro: “Brava gente che falciate, se non dite al Re che questo prato appartiene al signor Marchese di Carabas, sarete tutti triturati a pezzettini come carne di polpette”.
Ci sono anche le polpette; innamorata cotta, le polpette.
Ecco, e la ricetta prosegue, però questa sera non facciamo in tempo a leggerla e terminiamo per il momento qui.
Concluderemo la lettura la settimana prossima, quando leggeremo anche Barbablù.
Prima conferenza della serie La lettura delle fiabe