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Il colloquio di lavoro

Il più delle volte è assunto chi non si lascia irretire dal cliché, cioè chi non fa il furbo, perché questi corsi per imparare a parlare in pubblico, per imparare come ci si deve comportare nel colloquio di lavoro, per imparare a riconoscere chi dice le bugie, la fisiognomica, la stereognomica, la minchiognomica, tutti questi corsi di furbizia, corsi per sapere come fare a ingannare l’Altro o a non essere ingannati, sono un gigantesco apparato di paranoia sociale, dove l’Altro mente, l’Altro inganna, l’Altro danneggia… E allora bisogna essere più furbi del diavolo che ti sta davanti; hai sempre il diavolo che ti sta davanti, e devi essere ancora più furbo del diavolo. Questo è lo schema.

Così non c’è più intellettualità, non c’è più il dispositivo intellettuale, non c’è più il dispositivo di parola, non c’è più l’ascolto, ma tutto è una sorta di battaglia navale, un ribattere colpo su colpo. Queste sarebbero le discipline scientifiche. La programmazione neurolinguistica punta a questo, tutto ciò che è sistematizzato punta al sapere che possa andare oltre il dubbio, oltre il disagio, oltre l’ignoranza; ma il dubbio, l’ignoranza, il disagio sono virtù del principio della parola, sono ciò da cui la parola procede per qualificarsi. Altrimenti è l’abolizione della parola in nome di un discorso di padronanza, dove non ci sono più parole, ma solo cose, cose concrete, che non si dicono ma che sono da svelare nella loro componente negativa, malvagia e quant’altro. È impressionante! Chi crede a ciò, non diciamo che è perduto, però si trova in qualche difficoltà, perché ha una rappresentazione dove è tolto l’Altro irrappresentabile, l’Altro che è costitutivo della tolleranza, l’Altro che è costitutivo dell’immunità, l’Altro che è essenziale per la salute.


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